Calabresi: tempo, uomini e storie perdute

Un pezzo alla volta, Mario Calabresi, sta sistemando il mosaico dei nostri anni Settanta, tanto da sembrare un personaggio di un romanzo di J. R. Moehringer. Cerca le connessioni, ricostruisce le storie, e quando la violenza diventa insopportabile, scarta e trova quello che è venuto dopo, i figli. Con delicatezza enciclopedica e gusto archeologico estrae reperti che ci fanno capire tantissimo su un passato recente che continua a condizionare senza trovare le singole verità, che sommate ci permetterebbero di pacificarci. Mentre l’Italia è ancora divisa da una memoria selettiva – destra /sinistra; Stato/anti-stato; terroristi/forze dell’ordine – lui sta andando oltre, perché ai tribunali ha sostituito le cucine, alle sigle extraparlamentari anteposto le persone. È un grande lavoro di ricostruzione e scrittura, di alto valore civile.

Leggendo Quello che non ti dicono (Mondadori) e scoprendo la straordinaria e assurda storia di Carlo Saronio, si capisce moltissimo sulle sfumature degli anni Settanta, e di come Milano fosse molto più allacciata e complicata di quella che tutti da lontano – nel tempo e nella geografia – immaginavamo. Saronio non è Majorana e nemmeno Caffè, ma forse poteva diventarlo, per larghi tratti geniale, ingegnere e ricercatore, chimico con un animo da Alex Langer, e non scompare volontariamente, ma per mano amica, rapito dai suoi stessi compagni di Potere Operaio con la collaborazione di alcuni malavitosi, che sognavano la rivoluzione e finirono per trasformarsi in banditi di piccolo taglio e grande dolore. Un ragazzo che muore per un errore maldestro durante il rapimento, il cui corpo viene ritrovato anni dopo, e la cui storia scompare, si perde nel caos di rivolte, proiettili, caduti, incarcerati, diventando un messaggio in bottiglia che raggiunge l’uomo giusto per la sua storia: Mario Calabresi, contattato dal nipote di Saronio, missionario in Algeria, e poi dalla figlia di Carlo, nata a sua insaputa, che non ha conosciuto il padre e chiede a quello che è diventato il figlio per eccellenza di ricostruire una paternità. Un percorso a ritroso, Calabresi, che ritrova suo padre nelle indagini – c’entra anche la morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli – riesce a non anteporsi mai alla riemersione della storia di Saronio, restituendocela con una vera e propria indagine.

Ritrova amici, compagni, maestri – tutti i preti che appaiono nelle pagine del libro sono la Chiesa migliore: da quella impegnata a quella colta – e restituisce il contesto, e soprattutto intervista dopo intervista, incontro dopo incontro, pezzo dopo pezzo, dettaglio dopo dettaglio, vediamo tornare Saronio, vediamo la sua vita – sì, come in un film, ci sarebbe voluto Corso Salani per ri-dare corpo a Saronio – complessa, piena di lacerazioni e contraddizioni, tortuosa eppure bellissima. Un ragazzo ricchissimo della Milano che si gode il boom degli anni Sessanta, con il complesso di colpa della ricchezza e la messa in piega del vangelo e poi della rivoluzione, una doppia vita, con l’aggiunta di una grande conoscenza nella chimica – studi in America – e grandi possibilità da migliore della sua generazione. In mezzo, però, ci sono i sogni rivoluzionari, Saronio fa da tramite in un incontro tra Renato Curcio e Toni Negri, bordeggia e nasconde l’uomo che poi lo tradirà, quello che credeva compagno e amico, e che diventa uno dei suoi assassini attraverso il suo rapimento, Carlo Fioroni, una biografia comune alla sua generazione, grandi sogni, poi grande violenza scavalcando il limite con vaghezza, e poi il dramma, il carcere, e l’avvitamento. Un intellettuale non riuscito, un terrorista di terza categoria, e un mezzo uomo. Un mediocre come tanti che è l’inciampo di vita per Saronio, uno capace di tenere insieme la ricchezza e l’impegno, consumandosi, tra la luce del miglior cristianesimo e le ombre del principio di terrorismo. Quando si stacca, muore. Quando sceglie la normalità, cade. Calabresi riesce a disegnare tutti gli incroci della biografia saroniesca, restituendo il padre non conosciuto alla figlia Marta, che col cugino chiedeva il libro. Una commissione sentimentale che copre una carenza storica, che colma un vuoto della memoria collettiva. È il suo libro migliore, che si incastona nell’intreccio complessivo di quella parte della nostra storia oscura.