L’amore a Napoli al tempo del colera

Nessuno pensa a I guappi quando si parla di Claudia Cardinale. Eppure è quello il film che le cambia la vita. Era già stata Carmelina Nicosia, Assuntina Jacovacci, Barbara Puglisi, Paolina Bonaparte, Ginetta Giannelli, Fedora Santini, Aida Zepponi, Mara Castellucci, Rosa Nicolosi, Giuditta Di Castro e poi Claudia, Angelica e Jill, ma non era se stessa. Non era libera.

È solo dopo aver interpretato Lucia Esposito, che diventa un’altra donna.

, Il Gattopardo, C’era una volta il West avevano consolidato l’attrice, non la donna. La ragazza era perduta fuori dallo schermo quanto più si ritrovava nelle proiezioni sullo schermo. Era passata da Monicelli a Germi, da Damiani a Magni, da Comencini a Bolognini, Maselli e Zurlini, oltre la tris Fellini, Visconti e Leone, da un set all’altro, da un capolavoro all’altro, giocando, come solo Marcello Mastroianni, ma era una prigioniera del cinema, come si accorse Oriana Fallaci.

Perfetta in ogni posa, a pezzi fuori. In un rovesciamento: era intera nei pezzi di vita riscritti per il cinema, e a pezzi nel lungo piano sequenza che è la vita. Un cyborg che eseguiva gli ordini, prigioniera di un contratto con Franco Cristaldi, che nella bocca e nei pensieri di Claudia non è mai stato Franco, ma solo Cristaldi. Un cognome che serviva a misurare la lontananza. Cristaldi è lo scopritore che si fa tiranno, padrone e marito, con la sua Vides la lancia e la cura, impedendole di vivere. Deve studiare, allenarsi e recitare, una sorta di gladiatore del cinema.

«Inglese, recitazione, danza. C’è nel contratto. Mi alzo ogni mattina alle sette per studiare, la sera son così stanca. Così vado a letto alle dieci, solo se indugio a guardare la televisione col babbo e la mamma, vado a letto alle undici. Sì, ho molta cura della mia salute: anche questo c’è nel contratto. Infatti son molto sana. Se non fossi sana, come farei a rispettare il contratto?».

Il contratto, lo racconta a Oriana Fallaci:

«Numero uno: non posso sposarmi. Numero due: non posso ingrassare. Numero tre: non posso tagliarmi i capelli. Però anch’io ho diritto a qualcosa». «Ah, sì?». «Numero uno: ho diritto a una automobile personale quando giro un film. Numero due: ho diritto a un parrucchiere personale. Numero tre: ho diritto a un truccatore personale». «E basta?». «Basta. Perché?». «Non ha diritto ad esempio a scegliersi i film e a discutere la pubblicità che le fanno?». «Oh, no! Queste cose le decide il Capo. È il Capo che mi ha fatto cambiare casa e andar nella villa con la piscina e il gazebo. Fosse stato per me, sarei rimasta dov’ero: chi l’adopera la piscina e il gazebo? E poi quella villa è talmente lontana: non ci sono nemmeno i negozi per fare la spesa, d’intorno. È il Capo che mi compra i vestiti: fosse per me, andrei sempre in calzoni. Sì, i vestiti appartengono al Capo, insomma alla Vides: però qualche volta me li regala».

Cristaldi è così scopertamente tiranno che non arriva a concepire il dolore dell’attrice. Era stato partigiano, aveva visto un’Italia sofferente, e aveva un carattere duro, al limite dello sbrigativo. «Gli attori» diceva «non sono mai personalità creative, sono sempre personalità create».

Prima di Claudia creerà Rosanna Schiaffino, e poi la distruggerà:

Si gira La battaglia di Austerlitz. Per il ruolo di Paolina Bonaparte, Abel Gance aveva chiesto Rosanna Schiaffino e lei era andata a Parigi. Ma Cristaldi aveva fatto notare ad Abel Gance che la Schiaffino era stata messa sotto contratto come prodotto della Vides, non come Schiaffino: non essendo più un prodotto della Vides bisogna sostituirla con la Cardinale. Ed Abel Gance, stretto dalle maglie legali, aveva dovuto ubbidire.

Un giro di pacchi, che, però, erano attrici, donne, esseri umani.

E, dopo Claudia, Cristaldi creerà e sposerà Zeudi Araya, ma con un cinema e una fortuna minore.

La Cardinale prima di accettare la schiavitù di lusso cristaldiana, scappa a Tunisi, ma lui va a riprendersela e si porta via anche il segreto di una gravidanza dovuta alla violenza di uno sconosciuto. Il bimbo nato dallo stupro verrà fatto nascere a Londra e cresciuto da fratello, in una storia dickensiana riadattata al tempo.

«Un uomo che non conoscevo, molto più grande di me, mi costrinse a salire in auto e mi violentò. È stato terribile, ma la cosa più bella è che da quella violenza nacque il mio meraviglioso Patrick. Io infatti, nonostante fosse una situazione molto complicata per una ragazza madre, decisi di non abortire. Quando quell’uomo seppe della mia gravidanza, si rifece vivo, pretendendo che abortissi. Neanche per un attimo pensai a disfarmi della mia creatura».

Claudia è una selvaggia, come racconta, incarna un Mediterraneo antico, lontano, più vicino ad Omero che a Hollywood. Una selvaggia che viene rieducata col metodo Vidas, ma che poi Squitieri riporterà a galla anni dopo: «Io sono siciliana, vissuta nell’Africa del Nord, e Pasquale dice che sono molto orientale. Sì, è vero: io dipendo molto, più che da un uomo, dall’amore che ho per quest’uomo. Però è anche vero che combatto tutto questo, perché amo molto l’ indipendenza. L’incontro con Pasquale, da questo punto di vista, è stato determinante: lui mi ha aiutato ad affrontare la vita con più coraggio».

Ma prima ci sono gli anni di Cristaldi e la sua praticità che risolve il parto, occulta la “vergogna”, ma non sana la violenza, anzi la sostituisce con una più sofisticata. Con la Vidas prendono una ragazzina e ne fanno una star: «Sono stati loro che mi hanno costruita, lanciata. Mi hanno dato le copertine dei giornali di tutto il mondo, però mi hanno tolto la libertà e la mia vita personale. Per anni mi sono sentita stupida, incapace. C’era sempre qualcuno che parlava al mio posto, che decideva per me quello che dovevo fare, dire e pensare».

Mentre Claudia diventava la Cardinale, Pasquale Squitieri che poi la dirigerà ne I guappi, nato alla Sanità come Totò, si laureava in Giurisprudenza, lavorava con Alfredo De Marsico – giurista e politico –, entrava ed usciva da un impiego al Banco di Napoli, faceva il giornalista a Paese Sera, l’aiuto di Francesco Rosi e anche l’attore per Giuseppe Patroni Griffi, mostrando una inquietudine che sarà parte preponderante del suo fascino: movimentista, libertario, anarco-conservatore. Poi, con i soldi di Vittorio De Sica, fece l’esordio come regista, con Io e Dio, e un paio di regie di spaghetti western, Django sfida Sartana e La vendetta è un piatto che si serve freddo (ampiamente saccheggiato da Quentin Tarantino per Django Unchained) dove dirige Klaus Kinski che poi Werner Herzog farà recitare con Claudia Cardinale, in uno dei tanti nodi di questa storia; e soprattutto gira un grande film di genere: Camorra, di cui si dovrebbe fare la mappa dei furti o di citazioni non dichiarate.

Pasquale non era nessuno, rispetto a Claudia. Ma è l’opposto che la seduce: alla vita regolatissima dell’attrice, contrapponeva una vita sregolata. Apparentemente sembrava che lei fosse la luce e lui il buio, ma ripetutamente lei dirà di lui che era «bello come il sole», mentre mezzo mondo lo diceva e scriveva di lei, da Moravia a salire: «Un oggetto che appare di giorno e scompare la notte». Ed è curioso che nel 1969, una delle battute più belle di Claudia Cardinale, ne L’anno del signore di Luigi Magni, sia il reiterato invito di andare a Napoli: «dove c’è il sole».

Ed è a Napoli che cambia la sua vita. Voleva portarci Leonida Montanari e Angelo Targhini (che mo’ Targhini se scrive senz’acca) per salvarli nella finzione cinematografica, non ci riesce, ma ci va lei e si salva, nella vita reale.

È a Napoli che si avvera anche la profezia della Fallaci. Quando la intervista, nel 1961, vorrebbe salvarla dal Capo, da Cristaldi, dalla vita da prigioniera, ma poi, felinamente, intuisce che sarà l’amore a salvarla, appena si innamorerà salterà la gabbia.

È tutto in questo scambio con la Fallaci: «Non trova che la gente innamorata sia buffa?». «Perché?» risposi. «Non lo è mai stata?». «Oh, no! E chi ha tempo con il lavoro che faccio». Allora mi venne in mente che nessuno le ha mai attribuito un flirt o un pettegolezzo o tanto meno uno scandalo e ricordai ciò che Fabio Rinaudo mi aveva dichiarato con voce solenne: «La Claudia non si deve innamorare. Se si innamora, crolla tutto: il suo buonsenso, il suo personaggio, il nostro paziente lavoro di anni».

Poi, nel 1973, la prigioniera Claudia recita I guappi di Pasquale Squitieri, in una Napoli invasa dal colera, tanto che attori e troupe devono vaccinarsi.

Gabriel García Márquez, ne L’amore ai tempi del colera scrive che «i sintomi dell’amore sono gli stessi del colera», e per fortuna non c’è vaccino.

Squitieri è quasi sempre alla macchina da presa, non lascia gli operatori a girare, e nel film si ritrovano molti primi piani addosso a Claudia, sulla sua scollatura, sui suoi occhi, sulla sua tristezza. Perché ne I guappi involontariamente ampia parte della biografia della Cardinale coincide con quella di Lucia Esposito, il suo personaggio. C’è la violenza subita dal delegato Aiossa, potente poliziotto, c’è l’uscita allo scoperto e la denuncia della violenza senza paura dello scandalo, e c’è il perdono del guappo Fabio Testi / don Gaetano Frungillo, detto Core ‘e Fierro. Dovrebbe ucciderla, e invece la perdona, perché sarebbe una doppia violenza, quindi tra lei e l’onore, sceglie lei. Aprendo uno squarcio nelle regole, e poi aprendone anche un altro, per amicizia verso Franco Nero / Nicola Bellizzi, detto Coppola rossa, troverà la morte.

I guappi è un piccolo film che ebbe molto successo: sette mesi in prima visione a New York, donato a Fidel Castro e trasmesso a Parigi in 11 sale degli Champs-Élysées con entusiastica recensione su Le Monde. Un piccolo film  con molte finezze nelle riprese, a parte l’esplorazione ravvicinata dell’espressività della Cardinale – una scena su tutte: lei, il suo rosario e il golfo di Napoli che compete col suo corpo, che ci dice che se non l’amava già stava cominciando – e poi c’è il finale che è un gioco col tempo, e che chiama in causa sia Michelangelo Antonioni che Sergio Leone. Ma Squitieri – regista bravissimo e sottovalutato oltre che ostracizzato poi da Cristaldi e dalla sua corte, quando proiettarono Il Prefetto di Ferro alla Casa Bianca su richiesta del presidente Jimmy Carter uscì un trafiletto su un solo giornale, pensate a Paolo Sorrentino che ci va con Roberto Benigni come mascotte di Matteo Renzi e ricordatevi la sproporzione mediatica – pur avendo molto successo e tanti incassi, verrà sempre guardato con diffidenza dalla critica, farà sempre un cinema degli esclusi, dei traditi, dei fraintesi, con altrettanti attori esclusi, traditi, fraintesi come Stefano Satta Flores, Giuliano Gemma, Fabio Testi, e a rivedere oggi molti dei suoi film si capiscono anche meglio le parole di Claudia Cardinale e i suoi gesti.

«Pasquale Squitieri per me ha rappresentato la libertà. Con lui la mia antica ribellione era tornata più viva che mai, annullando quindici anni di passività. Ero tornata ‘la ragazza’ decisa e determinata, allergica alle etichette e alle impostazioni».

Squitieri ha una fisicità guappesca, che poi è derivata dai paladini di Francia, è un Orlando, e pure furioso, che trova la sua Angelica.

«Pasquale era ruvido, mi urtava e mi attraeva fortemente, mi prendeva dentro», sentendo parlare la cardinale di Squitieri viene in mente Anna Grigor’evna – futura moglie di Dostoevskij – che nelle sue memorie, racconta il dialogo che si svolge su un libro che anticiperà la sua vita:

«Chi è il protagonista del suo romanzo?» chiede Anna. «Un artista» risponde Dostoevskij, «un uomo non più giovane, della mia età, circa. Un uomo invecchiato precocemente, malato, tetro, sospettoso, con un buon cuore, a dire il vero, ma incapace di esprimere i propri sentimenti, un artista, forse di talento ma sfortunato, che non è mai riuscito a incarnare le proprie idee nella forma che sognava da sempre…in un momento decisivo della sua vita l’artista incontra una donna giovane… della sua età, più o meno, forse un anno o due in più. Chiamiamola Anna, solo per non chiamarla la protagonista. È un bel nome… È possibile che una donna giovane, così diversa per carattere e per abitudini, possa innamorarsi del mio artista? Non sarebbe, psicologicamente, inverosimile? Era questo, che volevo chiederle». «Be’» risponde Anna, «perché dovrebbe essere inverosimile? Se, come dice lei, la sua Anna non è solo una civetta, ma ha un cuore buono, sensibile, perché non dovrebbe innamorarsi del suo artista? Perché è malato e povero? Come se ci si potesse innamorare solo per l’aspetto esteriore e per la ricchezza». Allora Dostoevskij dice: «Si metta per un attimo nei panni di Anna, della mia protagonista si immagini che questo artista, io, per esempio, si immagini che io le confessi che la amo e le chieda di essere mia moglie. Mi dica, cosa mi risponderebbe lei?». «Io le risponderei che la amo anch’io e che la amerò sempre».

Dopo tre mesi loro si sposano. I russi son più risoluti di Cristaldi, si sa. Invece, a Claudia e Pasquale serve più tempo. Lei deve divorziare da Cristaldi – che nel frattempo ha sposato – e deve convincere lui – «che era pieno di femmine», come dirà sempre ridendo, quasi che lei non fosse l’attrice che innamorava tutti da Delon a Belmondo facendo disperare Mastroianni e moltissimi altri –, e deve andare a prenderselo in America dove sta cercando di girare un film con Tomas Milian che poi non si farà mai.

Se ne faranno altri. «Ho girato con lui dieci film. Poi abbiamo avuto una figlia insieme che proprio lui ha voluto chiamare come me, Claudia, e sapete perché? Non volevo sposarmi, quindi non avrei mai acquisito il suo cognome, sarebbe stata la figlia Claudia a chiamarsi Squitieri, come se mi fossi sposata io».

Squitieri la libera, la rende felice, paga un prezzo altissimo in termini lavorativi, e poi davanti al matrimonio che le ricorda tutti i dolori della sua vita, passa la mano, sdoppiando il nome, quasi condonando la violenza che le aveva dato un figlio con una figlia che porta il suo cognome, il cognome della libertà, da contrapporre, per sempre, al cognome della schiavitù: Squitieri per Cristaldi, due Cardinale, un solo romanzo.