Carla Fracci, la gioia della danza per tutti

Non si è mai pronti ad accettare una scomparsa e quella di Carla Fracci, l’espressione della danza in tutte le sue declinazioni, ci coglie impreparati e fragili. Ricordarla è come aprire uno spazio sconfinato abitato dai suoi duecento e più personaggi, ai quali ha dato l’alito della vita e delle emozioni. Le sue eroine costruite con studio, tecnica e stile, uniti alla sua proverbiale meticolosità, le permettevano uno scavo introspettivo, tale da poter riproporre al pubblico donne forti o fragili, vendicative o dolcissime. Un vocabolario dell’umana femminilità, dove tutte potevano riconoscersi. Carla Fracci era una bambina forte. Nata a Milano il 20 agosto del 1936, sfollata durante la guerra con la famiglia nella campagna cremonese, visse la prima infanzia godendo la libertà di correre nella natura. Una sensazione che la ghermì profondamente, come l’amore per i fiori e il giardinaggio, che non l’abbandonò mai. Tornò a Milano con la gioia di muoversi liberamente, che unita a una innata musicalità e a una bellezza non comuni, le permise di entrare alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Fu scelta da Ettorina Mazzucchelli, l’allora direttrice, proprio per «quel bel faccino». Della sua determinazione, gli insegnanti se ne accorsero in seguito. Il suo fisico, all’inizio gracile, lo rinforzò giorno dopo giorno, adattandolo al grande sforzo che la disciplina della danza richiede. Ancora allieva fu notata dal regista Luchino Visconti, trovandola adatta per un prossimo progetto. Con lui, il suo aiuto il giovane Beppe Menegatti, fu fulminato a sua volta dalla bellezza di Carlina – così in tanti l’hanno chiamata – ma soprattutto si accorse che albergava in lei lo spirito della Danza. Poco dopo andò in scena alla Scala il suo passo d’Addio.

E danzando in Lo Spettro della rosa di Fokine insieme a Mario Pistoni, che per lei coreograferà in seguito il balletto La Strada, tratto dal film di Federico Fellini, nacque la grande Carla Fracci. La platea era stellare – prima aveva cantato Maria Callas ne La Sonnambula per la regia dello stesso Visconti – c’erano tra gli altri Eugenio Montale, allora critico del Corriere della Sera, che la elogiò il giorno seguente, ma anche il coreografo inglese Anton Dolin e John Cranko. Rimasero tutti colpiti dalla sua grazia e dalla sua presenza, tanto che Dolin nell’estate del 1959 creò a Londra la sua leggendaria Giselle e John Cranko nel 1958 per lei modellò a Venezia la mitica Giulietta. Ma prima della sua consacrazione, Carla Fracci esibì il suo grande temperamento al Teatro alla Scala. Ancora diciottenne si conquistò il ruolo di protagonista in Cenerentola la notte del 31 dicembre 1955. Non era ancora solista.  Poi si susseguirono i successi, ma il Pas de Quatre al Festival di Nervi del 1957 e la londinese Giselle di Dolin, ne determinano la chiamata dell’allora celeberrimo danzatore danese Erik Bruh, con cui aveva già lavorato, per Giselle e La Sylphide al Metropolitan di New York. In più di sessant’anni di carriera si è esibita in tutti i più importanti teatri dei cinque continenti. Ma era forse più orgogliosa di aver portato la danza anche nelle piccole piazze, alle persone più semplici e averla fatta amare a tutti. Non rinunciò alla famiglia, sposò Beppe Menegatti, prima pigmalione, poi regista di innumerevoli suoi spettacoli. Divenne mamma di Francesco, la sua più grande gioia e nonna oggi di due ragazzi. E sino all’ultimo si è spesa come testimonial attivo di Fira, la Fondazione Italiana per la lotta contro l’Artrite, della quale non ne era affetta, ma ugualmente vi donò tanta energia e professionalità. Ha avuto i partner più celebri della seconda metà del Novecento. Da Erik Bruhn a Rudolf Nureyev, da Vladimir Vassiliev a Michail Baryshnikov, a Gheorghe Jancu a Massimo Murru con cui danzò Chéri, sua ultima apparizione alla Scala come protagonista di un balletto. Senza dimenticare Lo Spettro della Rosa e Giselle con Roberto Bolle.

Danzò tutti i titoli di repertorio, ma fece importanti incursioni nel modern di Antony Tudor e in quello di Béjart. Non possiamo poi dimenticare le sue divertenti presenze in Rai, quella ancora del bianco e nero del sabato sera. Celeberrimo il suo sfrenato Can Can, firmato da Gino Landi e il tip tap con le gemelle Kessler. E ancora seppe essere attrice nel ruolo di Giuseppina Strepponi, della Peppina, nella serie televisiva Verdi (che ebbe clamoroso successo negli Stati Uniti) di Renato Castellani, nel film La Dama delle camelie di Mauro Bolognini, in Le Divine (di e) con Peter Ustinof. Diresse il Ballo del Teatro San Carlo, dell’Arena di Verona e dell’Opera di Roma. Il desiderio di essere alla testa di una sua grande compagnia non riuscì a realizzarlo, come quello di dirigere il Ballo alla Scala, che lei da sempre riteneva la sua seconda casa. Solo poco tempo fa, lo scorso gennaio, Manuel Legris, il nuovo direttore, offrendole due Master Class per i primi ballerini e la preparazione della nuova edizione di Giselle, la ripagò di tanto affetto. E il suo testamento artistico lo troviamo proprio in quelle immagini, sempre visibili su internet, e nelle sue parole rivolte ai danzatori e al suo pubblico.