Ritratto immobile di provincia

Chiunque abbia vissuto, anche solo per un po’, in una qualsiasi provincia della pianura italiana, non potrà non trovare qualcosa di familiare nelle pagine di Centomilioni di Marta Cai, nata a Canelli e ora residente a Curitiba in Brasile.

Primo romanzo per la scrittrice piemontese e finalista per il premio Campiello 2023, Centomilioni è edito da Einaudi e nelle sue poco più che 130 pagine racchiude la descrizione perfetta di un mondo che sembra impossibile oggi, ma che è invece reale e contemporaneo.

La realtà della provincia

Le grandi città sono isole cosmopolite che elaborano una cultura tutta loro. Nella provincia invece si può incontrare la cultura popolare che sfugge alle spire della globalizzazione, che continua a fare le cose in un certo modo, perché si è fatto sempre così.

A bagno in questo piccolo contesto, fatto di giorni di mercato e di vicini che sanno tutto di tutti, cerca di stare a galla la protagonista Teresa, Tére, come la chiama la madre manipolatrice, che in quarantasette anni è riuscita a tessere una ragnatela da cui la figlia non riesce a liberarsi, inchiodata in pianura, perché “l’ambizione è un sentimento per quelli di collina che hanno la fuga nelle gambe (…). La pianura è il contrario dell’ambizione. È dispiegata e grande. La guardi, non vedi niente, scruti l’orizzonte e continui a non vedere niente, se non qualche grumo di tetti e di campanili e di stalle identico a quello in cui già ti struggi, perciò resti dove sei, smetti di struggerti e aspetti che capiti qualcosa”.

Una protagonista “invisibile”

In questo romanzo la scrittura è compagna degli stati d’animo e già dalle prime pagine assale il lettore, incalzante e serrata, come le incombenze della quotidianità che descrive. La faraona da ritirare, la preparazione prima del mercato, il pesce da prendere quando è fresco.

La scrittura è anche spietata e non fa tanti giri di parole. Ci sono ad esempio le “vecchiacce”, che subissano Teresa di domande solo per sottolineare la sua condizione di zitella, per poi pavoneggiarsi dei nipotini. Persone e situazioni sono descritte con una crudezza che non suscita sdegno, ma che solleva il velo delle convenzioni e restituisce il tutto nella sua drammatica autenticità.

Teresa fuma una sigaretta dietro l’altra, unico vizio su cui la madre non può dirle niente perché fuma anche lei, e trova un piccolo sfogo tenendo un diario. Teresa è quasi invisibile, il caffè al bar lo prende liscio, per non dare troppo disturbo.

Vive con i suoi genitori, si occupa di loro, asseconda le loro manie ed è controllata come un cecchino dalla madre. Lavora anche, insegna inglese in una scuola, ma non ha il permesso di spendere i soldi che guadagna, perché è meglio tenerli da parte. Vive asfissiata dalla cultura di una generazione, quella di sua madre, che ha riversato su di lei obblighi di usi e costumi che non hanno più fondamento.

L’importante è fare bella figura, distinguersi ma senza esagerare, per non dare adito a chiacchiere. “La sua vita è tesa a comportamenti morali e sociali elevatissimi, a obiettivi non espressi, segreti, taciuti, mai nominati, forse informi, preverbali, prelogici: si manifestano come una nevicata sulla testa e un mare di cera bollente nel cuore” si legge in una delle pagine in cui l’autrice mette nero su bianco i pensieri di Teresa.

La svolta nella vita di Teresa

A interrompere questa catena di doveri e frustrazioni arriva Alessandro, un ex studente bellissimo, triste e solo come Teresa, ma con desideri molto diversi. I due protagonisti sono agli antipodi: nella vita di Teresa esiste solo la famiglia, nella vita di Alessandro la famiglia è assente, eppure entrambi sono oppressi nella propria condizione familiare.

Marta Cai racconta il tentativo di riscatto sociale dei suoi personaggi rispettandoli, lasciandoci condurre da loro tra pensieri e sofferenze, rassegnazione e accettazione.

Poi ovviamente ci sono i centomilioni di lire, quella somma che una famiglia della borghesia di provincia si sentiva ricca ad aver messo da parte, salvo ritrovarsi con l’amara sorpresa del cambio.

Arrivò l’euro, che donò loro un nuovo vestito diciamo più adulto (…), circa cinquantamila e rotti; pertanto in banca e nei fondi furono ribattezzati cinquantamilaerotti, ma a casa, nella tana dove furono accolti alla nascita, protetti e allevati, hanno continuato a essere trattati come infanti e chiamati vezzosamente Centomilioni”.