Baudelaire:”Mi sono accontentato di sentire”

«Che noia, ma come avete fatto a diventare ancora più noiosi e borghesi in questi anni?».

E lei, Baudelaire, che ha fatto in tutto questo tempo?

«Ho preso una laurea in farmacia, e la  croix d’honneur  me l’ha consegnata Napoleone. Sono diventato amico di Poe, discuto di musicalità con Wagner. Ho avuto una storia con Silvana Mangano. Esco a bere con Diderot, Céline e Gide: siamo anche andati in India insieme e André  è voluto rimanere a Calcutta. Litigo con Pascal e Voltaire, e quasi tutto continua a farmi orrore».

C’è qualcosa da salvare oggi?

«Rihanna, non vedo altri Demoni».

E niente altro?

«Ha visto la mia Francia? Vuole che salvi Macron? Potrei salvare Depardieu perché è fuggito in Russia come io scappai in Belgio, ma c’è poco altro. Potrei salvare la Francia solo se fosse un oggetto da impugnare per colpire, ma è un paese non impugnabile, solo punibile».

E il calcio?

«L’unico calciatore interessante era Karim Benzema e, infatti, l’hanno estromesso. L’ha guardato il caporale Didier Deschamps? È la perfetta espressione di quello che io e pure François Truffaut odiammo: il direttore di collegio francese, tozzo, volgare, inflessibile nella ideologia a difesa della patria e della famiglia, nemmeno più voi italiani siete così».

Su questo devo darle torto, noi siamo sempre peggio di voi francesi.

«Ne è sicuro?».

Sicurissimo.

«Nemmeno le virgole?».

Soprattutto quelle.

«Le posso dire solo che l’eccesso della forma garantisce anche quella dell’emozione. Tranne che per i notai».

Continua ad odiarli?

«Perché dovrei smettere? Odio loro e i padroni di casa. Odio loro e i ritratti di famiglia. Odio loro e i direttori di giornale. Odio loro e le case editrici. Odio loro e le religioni. Odio loro e le masse. Odio loro e gli attori. Odio loro e chi non si contraddice. Odio loro e le donne fedeli. Odio loro e i romantici. Odio loro e i padri della patria. Odio loro e i colpi di stato. Odio loro e i generali. Odio loro e gli Stati Uniti. Odio loro e la barbarie. Odio loro e la democrazia liberale. Odio loro e le repubbliche mercantili. Odio loro e le dittature plebiscitarie. Odio loro e chi si impadronisce delle menti deboli, che sono sempre state una maggioranza».

E chi sono le menti deboli oggi?

«La borghesia che si manifesta negli scrittori di gialli e nei loro lettori. È il punto più alto, quindi quello di maggiore mediocrità, dove si concretizza l’illusione del piccolo sapere. Il vertice d’emozionalità intellettiva. E poi la donna».

Baudelaire, devo avvertirla sulla donna oggi non si può dire nulla.

«Ma cosa vuole che me ne importi, sono già morto e per giunta al mio funerale non vennero che poche persone, preferirono il mare e fecero bene».

E allora vadi, Baudelaire vadi.

«Sa che Paolo Villaggio mi recita a memoria?».

Sapevo che fosse un suo ammiratore, non immaginavo l’incontro. Dunque la donna?

«È diventata di spietata saggezza, una saggezza che condanna tutto, tranne il denaro. Dove prima innescava piacere ora innesca divieti. Che peccato, mi aspettavo una confusione di sensi guidata dalle donne e mi ritrovo delle legiferatrici. Ero convinto che l’avvenire appartenesse ai declassati e, invece, anche loro volevano solo andare in tv: all’avvenire hanno preferito l’avvenimento».  

Mica si sarà pentito di aver dato la parola ai vinti?

«Ma no, quelli ci saranno sempre, ma non hanno più coscienza della loro sconfitta. Oggi gli basta poter comprare scarpe e biscotti e son contenti».

E il peggio dove sta?

«Nella cessione del potere spirituale agli scienziati e del potere temporale agli industriali».

Insomma: solo l’ozio salva.

«La pigrizia feconda, diciamolo meglio. E l’insolenza e il rancore. E la decadenza alla Chateaubriand».

Trova un riconciliamento con la Natura nel mondo d’oggi?

«È solo apparente, torna limpida l’acqua a Venezia e il borghese si sente felice, ma è l’ultima delle illusioni, perché non ha nulla da dire a quell’acqua, è un estetismo – naturale – da bibelot. Solo la donna conservava quel contatto autentico col naturale, essendo natura stessa, ovviamente prima che indossasse cappottini gialli».

Ma in generale lei cosa rimpiange?

«L’infantilità della donna, che oggi è diventata adulta».

Ma non è un pensiero reazionario?

«Siamo sicuri che il potere della Merkel sia stato così diverso da quello di un maschio qualunque? Siamo sicuri che Michelle Obama sia poi così diversa? È un avvocato senza sesso né senso, una figlia del mercato con più moine, che alla giustizia sociale preferisce l’insalata biologica, i video dei delfini, i documentari Netflix».

Non mi dirà che segue Slavoj Žižek e spera che la destra costringa la sinistra a diventare migliore?

«Ma le pare, Žižek ha Nietzsche che lo aspetta con una mazza da baseball e Adorno con una da golf, non so che scadenza abbia, ma so quello che gli spetta».

Invece per lei come è stata l’esplorazione della morte?

«Una assenza proficua, tranne che per le domande di Proust sui miei finali semplici, Chopin che mi chiama fratello e per Rimbaud che mi rincorre per chiedermi scusa e darmi ragione».

E la caduta del corpo?

«Si diventa una promessa di felicità. Non pensavo che i gas potessero avere tutta questa sensualità, è questione di olfatto, memoria e pensiero, aveva ragione Swedenborg a dire che il cielo è un uomo molto grande».

Una donna che le manca anche se non l’ha conosciuta?

«Fanny Ardant, ma in realtà ci siamo conosciuti, ancora mi rilegge. Incarna l’infanzia femminile, la leggerezza dell’incompleto, portando il fuoco nell’ancheggio: è la migliore della amanti madri, solo con lei potrei tornare al Louvre».

Il suo vanto maggiore?

«Il fallimento di Mon coeur mis à nu. È nel mancato che sta l’autentico. È nell’incompleto che meglio si nasconde la possibilità di uno scrittore, che se non ha un fallimento davanti non conosce l’abisso e quindi è solo un compilatore seriale. È nel frammento che sta il vortice, il mezzo verso è il vero buco nero, i creditori assillanti sono il motore».

E Dio?

«Rimane uno scandalo».

In linea con la civiltà dello spettacolo?

«No, è oltre, è il Grande Scandalo, l’unico di cui si dovrebbe parlare, quello che accende il cervello. Dio è la grande profondità».

Quindi l’impudente e l’affliggente.

«Una immensa ragnatela, e noi all’interno: impauriti, spavaldi, persino sprezzantemente incuranti».

E c’è odore di zuppa di cavolo e di donna accaldata?

«No, di distruzione. Lo so, ha letto anche le mie corrispondenze minori, ma ormai sono immagini passate, inutili, vuote».

Ma come, lei non era quello che voleva glorificare il culto delle immagini?

«Sì, ma voi, il mondo, avete privilegiato le rappresentazioni plastiche, la banalità delle forme, l’oscurità naturale delle cose ha prevalso, tanto che ogni tanto sentiamo Stendhal maledire il bello, e Kant dargli ragione».

E il fatto che i giornali si leggano di meno è una diminuzione della perversità umana o dell’interesse per questa?

«No, solo che si racconta peggio quella perversità. Le gazzette oggi che cosa sono se non l’innalzamento del fremito di disgusto? Cosa c’è di peggio dello specialismo? Il finto specialismo, la superficialità della semplificazione quindi le rubriche. Oggi i giornali hanno la patina grigia dell’insonnia che ospitarono, non hanno stregoneria evocatoria, che poi da voi l’ebbe solo “Il Mondo”».

Non ha cambiato idea sull’uomo selvaggio?

«No, pensi che persino il vostro Roberto Calasso l’ha capito. Senza il guerriero e il poeta non esiste il mondo. Oggi che il medico non è guerriero e lo stregone non è poeta, che resta? Solo quello che è immediato non è nullo, invece, abitate un mondo di tergiversazione e rimando, con poca immaginazione e un oceano di false analogie».

E le nouveau dove sta?

«Non c’è. E forse non c’è mai stato, era la mia maschera. Ma non bisogna smettere di cercarlo, né d’esser ebbri, in rivolta e in amore – come bisogno di uscire da se stessi –perché la poesia è ciò che vi è di più reale, ciò che non è completamente vero che in un altro mondo».

Ma in fondo in fondo lei chi è stato o dovrei dire chi è?

«Un rombo sordo».