Collodi e Guareschi: scrittori satirici e popolari

Due umoristi nell’olimpo degli autori più tradotti nel mondo: Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, e Giovannino Guareschi, due scrittori che collaborano e creano giornali umoristici (Il Lampione Collodi, Candido Guareschi), due autori che fanno parte di quella tradizione satirico-umoristica che non troverete mai citata nelle storie della letteratura tra Otto e Novecento. Due scrittori che guardano al pubblico inventando un italiano raffinato e popolare insieme, che sembra inattaccabile dalle ruggini del tempo, riscuotendo un successo enorme che non conosce pause. Entrambi sono scrittori messi in ombra dai loro personaggi, Collodi da Pinocchio, Guareschi da Don Camillo, Peppone e il crocifisso che parla (è una triade non una coppia comica, come ho scritto nella mia biografia Giovannino Guareschi, un umorista nel lager, Rizzoli, 2014). Inoltre dovrebbe far riflettere il fatto che entrambi sono autori di favole: il Pinocchio e le «favole vere» di don Camillo come le definisce lo stesso Guareschi, autore tra l’altro de La favola di Natale scritta e recitata in campo di concentramento tedesco la notte di Natale del 1944.

Collodi, vincitore della classifica degli autori più tradotti al mondo è stato critico d’arte e di musica, un creatore di giornali, traduttore delle favole della tradizione francese (I racconti delle fate 1875), è stato un giornalista che ha collaborato a testate per grandi e per l’infanzia, (non vi ricorda questo il lavoro di Guareschi, di Cesare Zavattini e di Gianni Rodari?) e ha scritto opere teatrali e antologie per le scuole dell’infanzia.

Abbiamo chiesto di parlarci del famoso burattino a Daniela Marcheschi, critica e studiosa di livello internazionale, che ha curato il bellissimo meridiano dedicato a Carlo Collodi nel 1995, Presidente dell’Edizione Nazionale delle opere di Carlo Lorenzini, edite dalla casa editrice Giunti, i cui volumi sono ricchi di note e di apparati critici di livello, con prefazioni autorevoli come quella di Mario Vargas Llosa proprio per Le avventure di Pinocchio.

A cosa si deve il successo internazionale di Pinocchio?

«Pinocchio è una straordinaria invenzione di Carlo Collodi, e rappresenta la condizione antropologica dell’essere umano che è, come corpo e nel corpo. Perché la materia pensa e il burattino sente di avere dentro di sé qualcosa che lo spinge ad essere altro, a diventare bambino, e questo è fondamentale per catturare l’attenzione del lettore grande e piccolo. Pinocchio vive la realtà dell’esperienza antropologica dell’essere umano: la fatica, il dolore, il male, gli affetti. È la marionetta che pensa e vive i sentimenti umani. Conosce la natura vegetale (è fatto di legno), animale, (diventa ciuchino) e alla fine anche umana. Incontra il male nelle sue diverse declinazioni: il Gatto e la Volpe, l’ipocrita malvagio che si arricchisce a spese dei bambini e diventa milionario come l’Omino di Burro, o Mangiafuoco, l’orco che non è più orco, che è un “buonuomo”».

Collodi ha molto da insegnare ancora oggi?

«Collodi non edulcora la realtà, fa vedere la cattiveria, Pinocchio infatti conosce la morte ed è sul punto di morire. C’è una visione dura e brutale del mondo. Pinocchio non è politicamente corretto, è bene che i bambini abbiano delle reazioni anche di paura, come nella notte buia dell’agguato, dell’impiccagione alla quercia grande. Pinocchio fa paura, ma la paura aiuta a crescere, a rapportarsi al mondo, con una percezione del reale molto forte. Noi siamo abituati ad una realtà smaterializzata, Pinocchio fa vedere la realtà nella sua crudezza: la fame, la purga; ma poi quando lo si legge da grandi, si capiscono i significati profondi che affascinarono Gadda, Zavattini, Sciascia, per non dire di tanti autori stranieri. Pinocchio pur derubato, finisce in prigione ed è vittima di una giustizia che si accanisce contro l’innocente e poi lo condanna».

Se guardiamo alla realtà di oggi, Pinocchio parla dell’ingiustizia e del male: pensiamo per esempio al giudice scimmione. Perché non ci sono quasi presenze femminili?

«Pinocchio vive un’esperienza con il padre perché Collodi voleva far sapere che la donna poteva svolgere quel ruolo di guida morale, di riferimento etico che la pedagogia dell’ottocento attribuiva solo all’uomo; per questo Pinocchio è moderno. Collodi fa grandi battaglie perché la donna abbia gli stessi diritti dell’uomo sul lavoro, nell’istruzione, e voleva che la donna non fosse solo l’angelo del focolare. Geppetto è dolce, ha aspetti materni, sbuccia le pere, lo aiuta in maniera affettuosa…Collodi voleva dire che anche l’uomo può avere e svolgere questa educazione agli affetti, e che non è solo priorità della donna. La donna può avere quel ruolo educativo che noi riconosciamo all’uomo e che questo non è prioritario solo per la donna. Pinocchio in questo senso è un libro potentissimo».

Pochi conoscono il Collodi giornalista che ha condotto battaglie civili di grande modernità. Penso a testi come L’onorevole Cenè Tanti che anticipa il personaggio di Cetto La Qualunque di Antonio Albanese.

«Collodi è un uomo in prima linea, è osteggiato dalla politica, fa grandi battaglie criticando il nuovo parlamento italiano, e non dimentichiamo che partecipa come volontario alla Prima e alla Seconda Guerra d’indipendenza nel 1848. Collodi è un autore della tradizione comico umoristica, chiaramente non segue l’estetica del romanticismo, quindi il narratore entra nella narrazione, commenta gli eventi del personaggio, non è distaccato dalla narrazione. Collodi, alla fine, denuncia il fatto che il Pinocchio diventato bambino, stia tradendo la sua natura più profonda di burattino e marionetta che vuole affrancarsi delle servitù dei fili ed essere una persona libera e autonoma imparando dall’esperienza e dalla scuola. Quando alla fine dice  “— Com’ero buffo, quand’ero un burattino! e come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!… ―” non sancisce una fine di cambiamento necessariamente in positivo, non siamo nell’estetica del realismo ma nella letteratura umoristica e satirica, dove persiste un’altra idea di realismo. Questo Pinocchio è il Pinocchio che, in nome della mentalità borghese che aveva tradito gli ideali del Risorgimento, è contento e felice per avere raggiunto uno status: è bello, ha una bella casa, ha soldi in tasca. Ma qui interviene Collodi in maniera prepotente come autore: quel punto esclamativo e i tre puntini finali sono molto ironici, come dire, “bella roba Pinocchio la tua trasformazione!”. E riapre il discorso».

«Guareschi: Don Camillo, Peppone e il crocifisso che parla»

Guareschi al tiro a segno - Archivio Collezione Garzia
Guareschi al tiro a segno – Archivio Collezione Garzia

Guareschi è arrivato secondo in questa classifica che racconta tanto della percezione della nostra letteratura fuori confini. Andare in visita all’Archivio Guareschi di Roncole Verdi, proprio di fronte alla casa natale di Giuseppe Verdi, c’è da restare ammutoliti. Qui sono esposte tutte le traduzioni nelle diverse lingue del mondo, oggi oggetto di studio e di ricerca. Perché Guareschi ha bucato il suo tempo, è un classico della letteratura italiana che porta nel Novecento nichilistico della morte di Dio, il Cristo che parla, riallacciandosi non alle correnti della modernità ma alle tradizioni popolari della nostra letteratura, quelle della novella boccaccesca, della tradizione delle burle e delle facezie del Pievano Arlotto e della tradizione delle agiografie e dei fioretti dei santi. Siamo nell’ambito dell’epopea aperta, con personaggi che sono all’opposto di quelli del romanzo, e non bisogna confondere i piani. Guareschi e Collodi sono autori che indicano una strada per essere moderni, lavorare sulle tradizioni della nostra letteratura e non sulle mode del momento che generano romanzi e libri come fiori recisi, la loro bellezza dura solo un giorno. Abbiamo chiesto ad Alberto Guareschi, figlio di Giovannino di parlarci dell’opera del padre.

Sapere che Guareschi è l’autore italiano più tradotto nel mondo è una bella soddisfazione. Giovannino, è il caso di dirlo, ha avuto ragione su tutto e su tutti.

«Sono passati più di sessant’anni dal malinconico tramonto di uno scrittore che non era mai sorto, come scrisse L’Unità il 23 luglio 1968 in occasione della sua morte, ma il sole di Giovannino, spuntato il 1° maggio del 1908, continua a splendere alto in cielo e le sue opere, più vive che mai, sono sempre attuali tant’è vero che tutta la sua produzione – 26 opere compresi i volumi postumi – è oggi attiva nel catalogo Rizzoli – Mondadori».

L’interesse per Guareschi non si è mai spento, in questi anni è stato tradotto in Russia, in Inghilterra, con nuove traduzioni. Ci puoi raccontare, se è possibile, il lavoro fatto in questi anni, dove è uscito e quale successo ha avuto?

«Proprio in questi giorni ho raggruppato tutta la corrispondenza di lavoro che io e mia sorella abbiamo tenuto con editori, traduttori e appassionati di Giovannino. La documentazione serve per le ricerche di uno degli attuali studenti che stanno lavorando su mio padre per la tesi di laurea. Si tratta di una mole notevole di lettere e documenti che indica in modo inequivocabile il gradimento continuo dei suoi lettori in Italia ma, soprattutto, l’interesse degli editori esteri che, proprio in questi ultimi mesi, è aumentato moltissimo. Infatti, all’edizione in sette volumi di Tutto don Camillo della Slovenia e agli otto volumi attualmente attiva in catalogo in Inghilterra, si aggiungeranno presto: in Slovacchia Don Camillo e Don Camillo e il suo gregge (con un’opzione per Il compagno don Camillo e Don Camillo e don Chichì); in Croazia: Il compagno don Camillo (con un’opzione per altre sei opere della serie Mondo piccolo); in Turchia cinque opere della serie Mondo piccolo. Sono in atto trattative con la Corea del Sud per ristampare sette opere della serie Mondo piccolo e ci sono giunte due richieste da due editori spagnoli: una per la riproposta di Don Camillo e l’altra per la pubblicazione del Diario clandestino».

Come ti spieghi il successo internazionale?

«Nel 1950 il critico letterario Robert Knittel commentando la pubblicazione di Don Camillo sul supplemento letterario del New York Times scrisse: «Guareschi ha compiuto un’impresa considerevole, riuscendo a scrivere un libro soffuso di squisito umorismo, con una penna imbevuta di calda e tollerante umanità su uno dei più complicati problemi che il mondo moderno deve risolvere: “il contrasto tra i princìpi del cristianesimo e i dogmi del totalitarismo comunista”» preconizzando un grande successo del libro e rilevando che la sua morale «è spiccatamente evangelica, in quanto afferma che nessun uomo può giudicare le azioni altrui senza aver prima esaminato le proprie». Questa potrebbe essere una delle spiegazioni del successo internazionale di mio padre. Forse ha influito l’ambientazione legata al mondo contadino legato alla natura e al ciclo delle stagioni; ambientazione che, nelle pur differenti situazioni climatiche, è comprensibile in tutto il mondo. Forse questo successo nasce dal “messaggio” lanciato dai suoi personaggi: cercare, nel pieno rispetto delle diverse opinioni, un punto d’incontro sul piano umano, per il bene comune. Messaggio che secondo me rappresenta un’aspirazione comune in tutto il mondo libero».

C’è un rinnovato interesse verso il lavoro e l’opera di Guareschi nel mondo, ci sono molte richieste da diversi editori di diversi paesi, a cosa è dovuto, secondo te, questo rinnovato interesse? Il dato sulle traduzioni nel mondo aumenterà e sarà da aggiornare prestissimo.

«Forse le opere di mio padre hanno superato felicemente la prova del tempo grazie al fatto che i suoi personaggi, le situazioni che descrive e i sentimenti e le emozioni che riesce a trasmettere sono “veri” e la verità non è legata alle mode perché è sempre attuale».

Questo è anche il frutto del lavoro svolto in questi anni dall’Archivio.

«Il frutto del lavoro che mia sorella ed io abbiamo svolto in archivio dopo la morte di mio padre nasce grazie al fatto che ognuno dei numerosissimi documenti che vi raccolse fece parte della sua vita: basta saperli guardare e poi ascoltare i suoi suggerimenti».