Com’era Tiziano Terzani prima di diventare Tiziano Terzani

Tiziano Terzani è morto a 65 anni, nel 2004, 18 anni fa. “Ma la gente lo ricorda ancora, di quanti giornalisti si può dire lo stesso? Sono le persone comuni a volergli bene”.

Eppure c’è una parte della vita del giornalista e scrittore che in pochi conoscono: gli anni in cui Tiziano Terzani non era ancora diventato Tiziano Terzani.

Milano 1971, Terzani con Angela, i figli Saskia e Folco

Sono questi gli anni che Angela Terzani Staude, oggi 83 anni, sua moglie per 42 anni, racconta libro, L’età dell’entusiasmo. La mia vita con Tiziano, uscito per Longanesi. Si parte dal 1957, anno del loro primo incontro a Firenze, fino al 1975, la fine del conflitto in Vietnam dove Terzani lavorava come inviato di guerra per la rivista tedesca Der Spiegel.

 

Terzani con la figlia Saskia

Mi sono fermata lì un po’ perché se fossi andata avanti sarebbe diventato troppo lungo. Ma aveva anche un senso. L’età dell’illusione diceva Napoleone, è per i popoli come per gli individui l’età della felicità. Ed è stato vero per Tiziano, per me, e per tanti della nostra generazione, tutti convinti che il socialismo avrebbe portato più giustizia e uguaglianza nel mondo. Una speranza che è finita con la guerra in Vietnam e la vittoria dei comunisti. Come in Cina e in Cambogia il risultato è stato l’inizio di un regime repressivo”.

Perché ha voluto scrivere questo libro?

Tiziano Veniva da una famiglia operaia, figlio di un meccanico, a casa i soldi erano pochi. Ha dovuto impegnarsi al massimo, ha potuto studiare grazie alle borse di studio. E ce l’ha fatta. Partendo dall’idea fin da giovanissimo che nella vita bisogna essere in due.

E aveva deciso che l’altra era lei. In effetti non sbagliava. Lo ha supportato per tutta la vita.

Una volta una signora a una presentazione di uno dei libri di Tiziano mi disse: “Quello che lei ha fatto per suo marito, io per il mio non lo farei”. E io, un po’ brutalmente, le ho risposto: “Forse neanche io per il suo”. Il fatto è che io in Tiziano avevo visto un potenziale enorme, una curiosità, un talento, una visione che io non avevo. A me sarebbe bastato tradurre libri o fare l’interprete alle nazioni Unite, cosa per cui avevo studiato in Germania. L’ho appoggiato perché sentivo che stare a fianco di uno come lui avrebbe portato qualcosa di interessante anche per me. Avevo ragione: viaggiare con Tiziano era meraviglioso. Provava tutto, scovava oggetti, arte, libri ovunque. Era una scoperta continua.

Negli anni in cui lui faceva il reporter lei ha sempre tenuto un diario, da cui, in seguito sono nati i libri Giorni cinesi e Giorni giapponesi.

È stata la mia ancora di salvezza. Ci mettevo dentro i miei pensieri, le mie riflessioni. Ma sentivo anche che un giorno ne avrei fatto qualcosa. A lui piaceva dire che era un diario su di lui anche se non era vero. Non li ha quasi mai letti ma una volta, sfogliandoli, mi disse: “Mi sarebbe stato utile avere queste informazioni“.

All’inizio del libro racconta il vostro primo incontro. Lo descrive nei minimi dettagli, una sorta di eroe romantico, affascinante come Macello Mastroianni o Omar Sharif.

Era bellissimo. Io no. Ma a lui non sono mai interessate le donne bellissime. Cercava qualcuno con cui parlare. Io venivo da una famiglia un po’ particolare, cosmopolita, mamma architetto, papà pittore. Gli piacque tutto “il pacchetto”.

Lo racconta come un ragazzo pieno di entusiasmo ma anche tormentato, che a vent’anni pensava già alla morte.

Era pieno di volontà, di speranze ma anche insicuro. Inquieto, tormentato lo è stato fino alla fine, in realtà, ma era bravo a recitare una parte. Anche se poi ogni tanto si lamentava. Diceva: “Sono stufo di essere Tiziano Terzani”.

Per molti anni aveva lavorato per l’Olivetti. Che poteva diventare giornalista glielo suggerì lei.

E lui si arrabbiò perché era quello che voleva fare davvero, io lo sapevo, ma era convinto che non fosse possibile. Ne nacque una lite furiosa.

Com’era cambiato il vostro rapporto nel tempo?

All’inizio si pensa che ci si amerà sempre… Ma, non è vero. In un certo senso abbiamo vissuto due vite parallele. Quello che ci ha tenuto insieme è stata l’autonomia sua e mia. E una grande amicizia. Tante volte ho minacciato di andarmene, ma avevamo troppa storia in comune. E, infatti, lui mi diceva: “Lo sai che non si può”. È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante. È una citazione dal Piccolo principe ed è quello che Tiziano e io ci siamo detti fin dall’inizio.

Com’era il vero Tiziano della seconda parte del vostro matrimonio, quella di cui non parla nel libro?

Non si è mai dato pace di quella fine dell’illusione di cui dicevo all’inizio. Da lì è cominciata la sua depressione da cui non è mai ripreso del tutto. Lui non prendeva mai niente alla leggera e non accettava il modo in cui il mondo stava cambiando.

La malattia l’ha vissuta davvero con la serenità che mostrava in pubblico?

A 58 anni gli hanno diagnosticato il cancro e lui fin dall’inizio ha capito che doveva prepararsi a morire. Era ancora giovane, non è facile, tanto meno per uno come lui innamorato della vita. Pur restando razionale fino alla fine, lo ha aiutato trovare un contatto col mistero, con il divino. E ci è riuscito all’Orsigna in questa zona sperduta della Toscana dove era stato la prima volta bambino e un po’ alla volta si era innamorato della vita dei pastori. E dove, a 25 anni, con i primi soldi che aveva guadagnato si era costruito casa.