Mario Monicelli in parole sue

Il cinema di Mario Monicelli, prima di essere commedia, è stata una scuola per addestrare lo sguardo sulla società italiana: dai vizi alla generosità, dalla codardia alla furbizia; e credendo da sempre nella costruzione di un orizzonte più equo, ha realizzato i suoi film in modo che ognuno, dal bidello al preside di liceo, potesse comprenderli, discuterne, senza mancare di rispetto al pregio e alla peculiarità dell’offerta.

Un pane quotidiano e bianco con la possibilità di entrare in tutte le case, senza spazio per orpelli, manierismi e risacche per evitare di prendere posizione, schierarsi, esporsi.

E leggere Così parlò Monicelli a cura di Anna Antonelli (Cue Press, 2023) è l’occasione per assistere all’edificazione dello sguardo del regista, direttamente dalle conversazioni su politica, storia e vita.

Un libro che, senza avere la pretesa di esaurire ogni dettaglio biografico, raccoglie la grande generosità di Monicelli nel concedersi, senza paura e tentennamenti, a interviste e domande dal privato al pubblico, dall’infanzia al vivere l’Italia contemporanea.

Monicelli dalla A alla Z

Seguendo il percorso di Antonelli, la lettura procede raccogliendo i pensieri di Monicelli, così tanti e variegati che sarebbe possibile classificarli in un alfabeto: considerato Anti Italiano perché estremamente critico, diffidente nei confronti del Benessere, ma soprattutto del Capitale, Comunista per “una società senza schiavi”, osservatore prudente della Democrazia. Tutti architravi su cui costruirà l’intera filmografia non perdendo mai di vista il linguaggio universale, la disillusione per la speranza – “È una trappola” -, l’educazione all’amarezza.

E se i ricordi e la giovinezza cominciano a Viareggio, anche il suo orizzonte cinematografico inizia a tracciarsi con la definizione del mare. Come Marco Ferreri, successivamente, affermerà “La madre come il mare” (“La mère comme la mer”), per Monicelli “non è amico, né fratello, ma un padrone”.

Posta questa linea nella propria personale inquadratura, il regista completa il ritratto di sé e automaticamente del suo cinema. Una commedia, che negli anni subirà trasformazioni come la società che dipinge senza sconti, perché “è la nostra nascita”.

Il cinema come funzione civile

Film intrecciati su drammi, furti e furbizie della gente, esempi quotidiani di come inciampando in una disgrazia, sia sempre possibile uscirne con una risata: “è quella la vera catarsi. Ridere della fame e della morte, e lasciare gli stranieri a chiedersi, come sempre senza risposta: ma come fanno?”.

Anche quando i critici più severi condannano la forma, Monicelli rivendica una vera e propria “funzione civile”: cosa poteva aiutare di più gli italiani dal secondo dopoguerra per “formarsi una coscienza più critica e avvertita”, abbattendo tabù, se non un racconto estremamente contemporaneo del proprio paese per immagini e suoni?

Il cinema è servito a modificare la mentalità del cittadino medio, a elevare il livello civile della nazione, e a democratizzare gli italiani”, ma guai a prendersi troppo sul serio e a considerarsi al pari di letteratura, musica o pittura: “Il cinema è la settima arte; cioè l’ultima. Ma quale arte!”.

Lo sguardo sempre puntato sulla realtà

Così come le idee di Monicelli non conoscono timori, pause e incertezze, costruendo velocemente il ritratto della sua filmografia, così le memorie tracciano i soggetti di quelli che sono stati i capolavori: difficile non pensare che il primo conflitto mondiale raccontato attraverso i ricordi del padre – “Da noi i soldati li richiamavano da campagne e da città miserabili, vivevano nelle trincee in mezzo alla merda, ai muli, al freddo e alla fame, ma era esattamente come casa loro, non cambiava molto” – non sia diventata la base necessaria per La Grande Guerra.

La grande guerra

Ogni frammento della realtà non va sprecato, suggerisce Monicelli, perché anche l’aneddoto di un conoscente può diventare un film in uscita per la prossima stagione: mai allontanare lo sguardo dalle strade e dagli interni famigliari, dai mercati rionali e dalle fabbriche, restare in ascolto di paure e desideri, ossessioni e traguardi.

E da regista, mai distrarsi dall’osservazione di autori, produttori – “gli italiani hanno il pregio e difetto di essere poco industriali” – e soprattutto degli attori.

La scelta degli attori

Se i più sensibili sono quelli di qualità “come i cavalli”, guardarsi sempre da quelli che necessitano di tempo per calarsi nella parte o fanno domande che non c’entrano con la storia né con il personaggio in sé. Come un manuale d’istruzioni per l’uso, Così parlò Monicelli si traveste da breviario per i futuri registi per le scelte del cast, il rapporto con la troupe, come inquadrare i comici facendo risaltare mimica e gesto.

Speriamo che sia femmina

In un periodo in cui il cinema italiano appare sempre più preoccupato su come contrastare il primato degli statunitensi e dei paesi asiatici, Così parlò Monicelli aiuta a non disperdere l’opera e i pensieri di chi ha reso inimitabile la commedia all’italiana nel mondo passato.

Senza prediligere chi scrive e opera nel settore, coinvolge e interessa gli appassionati e i semplici spettatori, perché come credeva Monicelli, solo una società senza diseguaglianze, che conosce e discute liberamente, può progredire. “Un altro mondo è doveroso, non solo possibile”, a chi legge e guarda l’opportunità di iniziare a costruirlo.