Quelle origini “ariane” della Barbie

Ci sono cose, idee oppure oggetti, che fanno così parte del nostro immaginario che tendiamo a pensare che esistano da (quasi) sempre.

Nicoletta Bazzano, docente di Storia moderna all’Università di Cagliari ne parlava con amici anni fa: “Cominciammo a fare esempi, da Babbo Natale, alla Barbie”.

Un “cazzeggio” da cui è nata l’idea di scrivere un libro proprio sulla bambola della Mattel: La donna perfetta. Storia di Barbie, per raccontare la nascita e l’evoluzione della bambola più amata, criticata, demonizzata, comunque mai sconfitta al mondo.

Barbieland

E che, è tornata a oggetto di narrazioni e discussioni in vista dell’arrivo al cinema il 20 luglio di Barbie, il film scritto dalla coppia Greta Gerwig e Noah Baumbach e diretto da lei. Due, tanto per capirci, che prima di questa sceneggiatura si erano occupati rispettivamente di portare sullo schermo Piccole donne e Rumore bianco di Don DeLillo.

Cominciamo dalla sua esperienza di bambina?

Mia madre era quel tipo di donna che alla figlia regalava libri. La Barbie è entrata nella mia vita tardi, avevo 9 anni, e per sbaglio. Le comprai due vestitini devo dire, col senno di poi, veramente orrendi. E poi, basta, perché la mia mamma non sapeva cucire, non era una di quelle madri che si prestavano prendere in mano ago e filo e aggiungere abiti al guardaroba di Barbie. In fondo, credo di aver scritto questo libro anche per una forma di risarcimento.

Tornando alle origini di Barbie?

Inizialmente era il personaggio di una striscia a fumetti che il quotidiano Bild-Zeitung cominciò a pubblicare nel 1952. Si chiamava Lilli ed era una ragazza un po’ ingenua, un po’ maliziosa, con diversi corteggiatori. I primi modelli in plastica erano una sorta di gadget pensato per il pubblico maschile, non certo per le bambine. Non a caso si vendevano nelle tabaccherie. Non credo sia un caso che l’antesignana di Barbie sia nata in Germania. Il Paese era ancora alle prese con la devastazione del secondo dopoguerra e Lilli aveva il compito di “distrarre” le persone dalla pesantezza che si respirava nel quotidiano. Inoltre la bambola aveva fattezze “ariane” non a caso. Anche se il nazismo era finito, quel tipo di immaginario era ancora nell’aria. I primi esemplari furono creati in elastolina, una plastica durissima con cui fino a quel momento erano stati fatti i carrarmatitini.

Come avvenne il passaggio dalla Germania agli Stati Uniti?

Ruth Handler, la signora di Denver che, insieme al marito Elliot, avrebbe fondato la Mattel, se ne era innamorata durante un viaggio in Europa e aveva avuto l’intuizione di farne un giocattolo. Non si sa esattamente dove la vide, perché nelle interviste una volta diceva a Zurigo, una volta a Lucerna. Di certo, nel mondo svizzero-tedesco. La signora Handler aveva due figli, Barbara, e Kenneth, da cui appunto Barbie e Ken. E la piccola Barbara era una bambina americana, cresciuta in società dove il consumismo era una realtà a differenza di quanto ancora accadeva in Europa: voleva una bambola, ma anche i vestiti da farle indossare. Quello che è paradossale è che questa bambolina nata con le fattezze della donna ideale ariana, un’emanazione del sogno tedesco degli anni Quaranta – è praticamente identica a Marlene Dietrich – venne “esportata” e resa popolare in tutto il mondo da una donna che, come il marito, era di origini ebree. Handler prese Lilli, una ragazza di dubbia reputazione perché stava nelle tabaccherie che all’epoca erano frequentate per lo più dagli uomini, e la fece diventare una signorina americana per bene e un modello femminile a livello globale.

Ruth Handler, in effetti, fu una grande imprenditrice.

Ma qui ci troviamo di fronte a un altro paradosso. In America, le donne, che durante il conflitto avevano avuto grande spazio nella società, quando gli uomini tornarono dalla guerra, furono “rispedite” a casa. Ci fu un’inversione di tendenza e, non a caso, la Handler non si definì mai un’imprenditrice e non rivendicò mai il fatto di aver inventato la regina delle bambole. Ripeterà sempre di aver creato Barbie per la sua bambina, quasi a giustificarsi per l’enorme successo ottenuto.

Il debutto di Barbie made in USA avviene ufficialmente alla Fiera del giocattolo di New York nel 1959.

Sì. Ed è glamour da subito. Con addosso un costume da bagno a righe bianche e nere, orecchini d’oro e scarpe col tacco. Da lì i famosi piedi perennemente arcuati. Tra l’altro, negli ultimi anni, Barbie è tornata a essere un giocattolo da adulti. Molte ricerche dimostrano che le bambine smettono di giocarci verso i 4, 5 anni. Troppo presto perché si crei quel tipo di fidelizzazione che una volta portava le ragazzine ad accumulare ogni genere di accessori legati al mondo Barbie. In compenso, ci sono tanti club di collezionisti che organizzano mostre periodicamente.

Margot Robbie nel film “Barbie”

Come diventò popolare in tutto il mondo?

Non subito. All’inizio erano bambole molto costose. E una delle ragioni è che Handler per i vestitini si ispirava ai modelli delle sfilate di moda a Parigi e li faceva realizzare in tessuti pregiati. Solo negli anni Settanta sarebbe diventato un gioco alla portata di tutti. Anche grazie alle pubblicità di Topolino. È allora, tra l’altro, che il rosa diventa il suo colore identificativo. Una strategia di brandizzazione interessante.

Poi, però, negli anni Settanta iniziarono le prime critiche.

Quando le femministe si accorsero della sua esistenza, contestarono l’idea di femminilità che comunicava. E Barbie a quel punto se la vide veramente male. In effetti, a ripensarci oggi, era un giocattolo sessista: aveva abiti da sera, da pomeriggio, il grembiule e il cappello da cuoca, i mestolini… Ma il mondo esterno le era quasi del tutto precluso. Da lì partì la nuova strategia della Mattel e negli anni Ottanta cominceranno ad arrivare le Barbie celebrative, dedicate a donne famose. Anche per ovviare ad alcuni “scivoloni” precedenti. Come la Barbie parlante che diceva “La matematica è difficile”, come a dire “non è materia da femmine”. Ed ecco che man mano vengono lanciate le versioni manager, scienziata… Oggi Barbie fa centinaia di mestieri diversi, è stata anche il presidente degli Stati Uniti e solo dopo, per qualche bizzarro motivo, candidata alla presidenza. Ha fatto il pompiere, la guardia a cavallo, la guardia a cavallo canadese, ci sono Barbie che lavorano nell’esercito e nella marina americana, l’astronauta. Poi sono arrivate le versioni con misure e taglie politicamente corrette e prima ancora le Barbie dal mondo, quindi la nera, l’asiatica e così via. E le versioni “inclusive”. Ovvero in sedia a rotelle, con protesi, o senza capelli pensate per le bambine con malattie oncologiche, che svolgono un ruolo importante nell’aiutare i bambini a “normalizzare” l’handicap, la malattia. Ma prima c’era stato anche il problema dei Paesi musulmani.

Ovvero?

Furono lanciate fatwa contro Barbie. In Egitto, a un certo punto, venne messa in commercio una bambola delle stesse dimensioni, solo che si chiama Jasmine ed era dotata di velo e di tappetino da preghiera al posto di jeans e shorts.

Perché Ken è diventato l’eterno fidanzato? Cioè, è stato comunicato da Mattel in qualche modo che era quella la sua funzione o è venuto naturale alle bambine, negli anni Sessanta e Settanta, identificarlo in quel ruolo?

Forse Barbie non si può sposare perché – per un meccanismo mutuato dalla moda – ogni anno viene realizzato un nuovo abito da sposa… (Ride) Tempo fa uscì un Ken che aveva un cane al guinzaglio rosa. Mi chiamarono per un’intervista e mi chiesero: “Ma, allora, è omosessuale?”. Non lo so e non mi interessa. Di certo è un accessorio di Barbie, è come una borsetta. E, infatti, non ha mai brillato per personalità. E nessuno stilista ha mai perso tempo a vestirlo come invece è accaduto per Barbie.

Ryan Gosling nel ruolo di Ken

Possiamo immaginare che un giorno Barbie sparisca con tutti i suoi vestitini?

Non credo. Non presto. Perché, che ci piaccia o no, è l’emblema dei nostri tempi. Siamo uomini e donne che consumano, riempiamo le nostre vite di oggetti che vengono immediatamente miniaturizzati per diventare accessori di Barbie. Qualunque cosa abbiamo o vorremmo lei ce l’ha.

Il film sarà un successo?

Assolutamente sì. Lo andranno a vedere adulti, donne e uomini. Io andrò e per l’occasione mi vestirò di rosa.