Diego Abatantuono riparte da Jannacci

Le battute del “terrunciello”, i Milanismi del tifoso sfegatato, le avventure gastro-cinematografiche dei Ladri di cotolette. Fra un film (ormai quasi 80, da Liberi armati pericolosi al prossimo Bello di mamma), un programma o una serie tv, una serata al cabaret, ogni tanto Diego Abatantuono inserisce anche un libro.

L’ultimo prende il titolo in prestito da Enzo Jannacci, con adattamento finale: Si potrebbe andare tutti al mio funerale, firmato con il giornalista e scrittore Giorgio Terruzzi.

Punto di partenza: un risveglio con malessere, nella stanza accanto alcune voci. Diego si alza, va a indagare e trova la zia morta che conversa, poi c’è mamma Rosa, guardarobiera del cabaret Derby che lo avvicinò a questo mondo quando lui aveva 16 anni e iniziò a occuparsi delle luci di scena.

Man mano, nel tratteggio entrano colleghi e registi viventi che tessono le lodi dell’attore, i figli e la moglie Giulia che ne ricordano le doti e le gaffe (come durante lo tsunami in Indonesia in cui per fuggire riempì bottiglie d’acqua da mettere in valigia).

Ma ci sono anche persone scomparse, da Marlon Brando che non incontrò mai a Vittorio Gassman che invece incrociò la sua strada. Un sogno? Oppure… vedi alla voce titolo.

Abatantuono ama i ricordi e ama narrare, è il suo modo per tenere viva la memoria. Così, quando Einaudi gli ha proposto di scrivere un libro, “ho detto che volevo fare una storia che partiva da uno stato che è quello in cui ti trovi quando inizi a subodorare la vecchiaia, e vedi che muoiono tanti amici, anche perché io ho frequentato sempre gente più grande, e ormai non faccio che sentirmi chiedere: Sai chi è morto?”.

Invece, da giovane – racconta – era lei che faceva sempre una domanda: “Come si sviluppa la serata?”.

Già, ma se me la faccio oggi, la risposta è solo: “Vediamo che cosa c’è in televisione”. La vita ha le sue fasi, io mi sono molto divertito, adesso un po’ meno. Ma sono stato comunque parecchio fortunato: senza averlo cercato, ho trovato un lavoro che è fatto di allegria e ho avuto molto successo subito.

E adesso immagina il suo funerale. Non è un po’ presto a 66 anni?

Il senso del libro è che voglio alzarmi e trovarmi in una festa. Non c’è niente di funebre. Anche perché potrei essere morto oppure potrebbe essere un sogno.

Ha mai sognato di essere morto?

No, e di solito non sogno neanche i morti, anche se, quando succede, mi sveglio felice.

Secondo lei, Enzo Jannacci avrebbe approvato il titolo?

Sono sicuro di sì. Anche perché il libro racconta la voglia di ricordare lui, Renato Pozzetto, Massimo Boldi, Beppe Viola, il Derby, il jazz, il Capolinea… Quel mondo lì.

Come vi siete divisi la scrittura, lei e Terruzzi?

Io racconto e lui scrive. Certo il mio racconto è più cabaret, realismo parlato, che trasmette le emozioni. Le parti del libro in cui amici, parenti, colleghi parlano di me non potevo però farmele dire io. Quindi Giorgio ha telefonato e raccolto i pareri, per esempio quelli dei miei figli: a me non avrebbero certo detto quello che pensano.

Lei non amava la scuola e ha iniziato a lavorare a 16 anni…

Io sono l’ignorante più colto mai conosciuto, in vita mia ho ascoltato tanti racconti, dei Gatti di Vicolo Miracoli, Jannacci, Dario Fo. Negli anni tutto questo si è trasformato in una “non voglia” di spegnere i ricordi. Poi, del poco che ho studiato sono stato attentissimo.

Sarà anche “ignorante” ma tempo fa l’ho “beccata” che leggeva Seneca.
Ogni tanto trovo qualcosa che leggendolo mi sviluppa un pensiero. Ma ormai di nozioni ne ho tante. Quello che mi serve è parlare. Qualche tempo fa, ci siamo seduti a scambiare pensieri a pranzo con Terruzzi e Stefano Bonaga, dopo un minuto era subito sera. Il nozionismo dello studio va elaborato, sviluppato, parlato.

Seneca a parte, che cosa legge?

Leggo copioni, leggo libri da cui potrei trarre un film, amo leggere i giornali. E non posso fare a meno di vedere le partite. Alla fine non è che mi rimane tantissimo tempo per un romanzo. Ma mi dispiace molto. Poi, sarei un grande amante dell’audiolibro….

Sarei?

Il problema è che mi fanno venire sonno. Dato che li ascolto in macchina, mezzo che già di suo mi addormenta, non vorrei piantarmi sul guardrail con Seneca. Una volta, da ragazzo, ho comprato in autogrill una cassetta sulla vita dei Sumeri: era bellissimo, ma all’epoca non crollavo al volante. Oggi rischio di prendere un palo.