Un romanzo in cui la città è personaggio e in cui le leggi del tempo e dello spazio sono state sottilmente sospese.
Tramite una raccolta di vignette collegate tra loro, Fantasmi di New York di Jim Lewis esplora vite complesse attraverso la resa indelebile di ambienti: un bar, un mercato notturno, uno studio di registrazione.
Un intreccio di 4 storie
Il romanzo intreccia quattro personaggi: una fotografa appena tornata nel quartiere in cui è cresciuta, dopo anni trascorsi all’estero, che fa i conti con il ricordo della sua migliore amica morta; un ragazzo di strada dell’East Village con una voce così pura che la fama sembra preordinata; il figlio istruito alla Columbia di una potente famiglia dell’Africa occidentale, intrappolato nelle ombre del suo passato, il suo partner romantico e il suo migliore amico invischiati in una serie di relazioni con ripercussioni personali e politiche di vasta portata; un commerciante di manufatti indigeni che ha perso il suo negozio e la sua reputazione per amore di una donna.
Mescolando profezia, storia e un pizzico di narrativa speculativa, le storie sono legate tra loro anche se vengono spinte in un territorio sconosciuto. E alla base di tutto c’è una canzone, che appare, scompare e poi riappare.
La città unisce i destini degli abitanti
Man mano che romanzo prende slancio, queste e altre vite iniziano a intrecciarsi sottilmente fino a quando gli ingranaggi della narrazione di Lewis si rivelano e una sorta di ethos emerge dalla cacofonia urbana: siamo tutti collegati nella nostra disconnessione, nella nostra solitudine, nel nostro dolore, nel nostro desiderio. Siamo uniti dalla città, che dà e prende indiscriminatamente, e alla fine sopravvive a tutti noi.
Una prosa attenta ai dettagli
La prosa di Lewis attenta ai più piccoli dettagli è squisita. Ecco Stephanie, la fotografa, che rivisita dopo molti anni l’isolato in cui è cresciuta: “Le venne in mente lentamente: Le strade erano familiari, ma i dettagli erano stati rifatti. I bidoni della spazzatura erano verdi invece che grigi, non c’erano cabine telefoniche… non c’erano supervisori che guardavano dalle ringhiere dei seminterrati. New York, impegnata ad essere nuova e ad essere New York. Sola tra le cose, è diventata più giovane invece che più vecchia“.
Alla ricerca di una felicità possibile
Allo stesso tempo, Lewis avvolge la sua New York in un vago strato di sotterfugi, giocando con la tensione e la narrazione, in modo che non sia mai del tutto chiaro in quale anno – o addirittura in quale decennio – ci troviamo (per lo più tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Novanta).
Se all’inizio l’effetto può sembrare sconcertante, alla fine del libro sembra quasi inevitabile, come se la storia non potesse essere raccontata in altro modo.
La metropoli pulsante al centro del libro è così travolgente nella sua portata e impermeabile alle circostanze che è sorprendente che i cittadini che la popolano abbiano qualche possibilità di raggiungere la felicità o la realizzazione. Eppure ci provano.