Federico Roncoroni, l’uomo delle parole

Uomo che amava quasi carnalmente le parole, nel suo universo librario, una biblioteca sterminata senza risultare monumentale, Federico Roncoroni aveva allineato i testi di linguistica, cullando il progetto di compilare un dizionario della materia, a lui così congeniale. Progetto senza seguito con la scomparsa del “professore” – teneva al ruolo, considerandosene militante, ancorché a distanza – così come tanti altri della sua niente affatto comune capacità di lavoro, tanto da essersi perfino sdoppiato in quel Marcello Sensini, l’alter ego noto ad ogni insegnante di italiano, imbattuto capofila dell’editoria scolastica. Un ambito coltivato con passione antica, quella per cui non c’è chi gli sia stato allievo – a Como dall’allora Istituto magistrale al liceo “Volta”, a Trieste all’Università, così come alla “Columbus” di New York – che non ne conservi un ricordo misto di rispetto e ammirazione, tradotto in debito riconoscente. Capace di sorprendere gli studenti con, compito in classe, la redazione di un telegramma alla famiglia, di una cartolina agli amici, di una breve lettera al più caro tra costoro, dalla meta della gita scolastica dalla quale erano reduci.

Attenzione, accadeva cinquant’anni fa, quando, per così dire, non usavano siffatte proposte. Incontestabili dall’alto della formazione del professore, forgiato all’Università pavese, eminenti tra le sue traduzioni La storia dei Longobardi di Paolo Diacono e le Lettere d’amore di Abelardo e Eloisa,  una conoscenza della lingua latina che l’avrebbe inopinatamente instradato verso l’incontro con lo scrittore Piero Chiara, aprendo uno scambio decisivo in percorso predestinato. All’illustre Luigi Alfonsi, latinista di cui Roncoroni era collaboratore, Chiara chiese la segnalazione di un traduttore del Satyricon: gli occorreva una trascrizione letterale, parola per parola, del testo petroniano, a riscriverlo avrebbe provveduto da par suo, come ben sappiamo. Ebbene, il lavoro non si limitò alla soddisfazione del committente. Un’affinità elettiva si era andata presto palesando e si sarebbe confermata al punto che in fin di vita Piero Chiara assegnò a Federico Roncoroni la custodia della propria eredità letteraria. Una fiducia sconfinata e assai ben riposta, un seguito di imprimatur che non hanno mai finito di valorizzare l’opera dello scrittore luinese sia con edizioni e riedizioni dei testi maggiori, sia con la pubblicazione di inediti, sempre in veste editoriale accuratissima, di regola destinati ad una cerchia di cultori che apprezzano la riproduzione degli autografi che ne è puntuale, imprescindibile corredo.

Un principio, per Federico Roncoroni, che della curatela è stato maestro. Per Piero Chiara, va da sé, ma non di meno per autori tra Ottocento e Novecento, frequentati, da Carlo Emilio Gadda a Gabriele d’Annunzio, con speciale assiduità. Ricercatore sagace, della biografia del Vate scritta da Chiara può considerarsi quasi coautore, tale è stata la dote di informazioni di cui fu latore, così come per il Casanova. Sempre di esemplare precisione, un’esattezza per cui la sua Grammatica della lingua italiana resta la più diffusa nel mondo, tornando a quell’insegnamento che gli fu carissimo e che ha lasciato una sorta di imprinting nei discenti: una spinta, una premura a fare, a fare di più. Non è un caso che, giovanissimo docente, volle intitolare “Tutti insieme appassionatamente” il periodico studentesco: un’espressa esortazione che non è mai venuta meno nella consulenza editoriale condotta a disparati livelli, sempre però con assoluta competenza. Un parere – e magari il dono di un libro – veniva sempre largito nello studio, appena fuori del centro storico di Como, del professor Roncoroni, vagamente labirintico nel rincorrersi di scaffalature, in un addensarsi aereo eppure voluttuoso di libri, di carte. “Cartivoro”: Piero Chiara aveva coniato per lui un neologismo di cui Roncoroni medesimo ha riferito nel Sillabario della memoria, quel viaggio sentimentale tra le parole amate che è un’autobiografia singolare, in ordine alfabetico. Doviziosa di aneddoti esplicativi: per tutti l’evocazione dei primi passi, fisici, mossi dentro le stanze della Mondadori, scortandovi Piero Chiara, tirature da primato. Dai grafici ai pubblicitari, a Roncoroni parve “il paese dei balocchi”, le spire di un universo che era il suo e del quale si sarebbe via via impratichito fino a riprodurlo con forme di editoria privata – per esempio sotto la denominazione Victor Fieschi d’Ugenta – rispettose dei più delicati canoni editoriali, tanto più negli amatissimi libretti in ventiquattresimo, in trentaduesimo.

E, s’intende, applicandoli nel lavoro culturale fittissimo di impegni, di memorabili conversazioni – per affascinare una platea sembrava bastargli poco: richiesto di quale fosse il termine più amato si avvicinava alla lavagna, scriveva “Paolo”, poi “Francesca”, quindi annunciava l’amore sviscerato per la parola “e” e scrivendola tra i due nomi non gli occorreva aggiungere alcunché – e di brillanti presentazioni; un’attività che da ultimo lo stato di salute aveva incrinato, ma che è stata incessante fino all’ultimo. Come il visto si stampi per il libro, l’inedita traduzione di Chiara di un nucleo delle poesie dello spagnolo Miguel Hernandez, che uscirà prossimamente, mentre non leggeremo l’opera fluviale cui Roncoroni attendeva da tempo: resterà scrittore di un solo romanzo, il sorprendente Un giorno, altrove. Adesso che lui non c’è più, quasi un appuntamento.