“Fine serie mai”, il saggio che analizza il fenomeno delle serie Tv

Prima o poi le fanno tutti. Alcuni ci si appassionano, o – persino Steven Spielberg – le vedono come ultima sfida in un curriculum densissimo. Altri invece non le amano: da registi, sentono che il potere del set non appartiene più a loro, a tirare le fila non sono più loro ma gli showrunner.

In più, racconta per esempio Gabriele Salvatores, il fatto che qui non esista una parola “fine” rovina il piacere, sia nel fare sia nel vedere. Eppure, anche a lui è capitato tempo fa di farne una, e un’altra la progettava di recente, salvo complicazioni logistiche e pandemiche.

Dalle serie tv, insomma, nessun autore scampa.

Anche perché, secondo il rapporto dell’APA (Associazione dei produttori audiovisivi) 2022, le serie risultano la componente dell’audiovisivo che ha registrato la crescita maggiore nei quattro anni precedenti: +62%.

Crescono le produzioni, aumentano gli investimenti, si trasformano i linguaggi e i codici. E mentre gli stili e le produzioni si evolvono, per soddisfare la sempre maggiore richiesta del pubblico, aumentano anche libri e saggi che studiano il fenomeno.

Fine serie mai, a cura di Giusi de Santis, è scritto a più mani. Con lei, Natascia Di Vito, Guido Silei e Piero Spila affrontano il tema suddividendolo in: “Produzione e consumo”, “Origini, storia, affermazione e successo”, “Struttura e personaggi”, “Scrittura”, “La sceneggiatura e lo sguardo”, “La critica”, “La creatività”.

 

Seguono alcune interviste. Fra, queste una a Emanuele Scaringi, regista che sta uscendo al cinema con Pantafa, ma anche produttore e sceneggiatore. Scaringi racconta come dal film Bangla abbia tratto la serie omonima, come nella fiction L’Alligatore abbia adattato i diversi libri di Massimo Carlotto con protagonista l’omonimo investigatore dal passato delinquenziale, come abbia portato sugli schermi la graphic novel di Zerocalcare La profezia dell’armadillo: come, quindi, il suo lavoro seriale per la tv si incroci con altre scritture seriali.

All’origine, dice Scaringi, ma il tema è presente ovunque, è sempre la forza della storia, che può trovare forme diverse. E infatti in Fine serie mai Natascia Di Vito presenta un excursus storico che parte da lontano, dall’epica antica e dalle chanson de geste, che intorno a un nucleo forte (e alle geneaologie dei personaggi) costruivano un “racconto a grappolo” passibile di varianti.

Per passare poi ai feuilleton, a Dumas, a Dickens, a Balzac, a Mark Twain. Autori diventati classici ma ai tempi spesso affamati e pagati a riga, così che storie e racconti procedevano a tempo indeterminato, e che ogni puntata si chiudeva con una sospensione/suspense a fomentare l’attesa.

Lo stesso che succede nella serie – quando la storia è verticale, si evolve di puntata in puntata, e non è quindi auto conclusiva come succede in altre tipologie alla Black Mirror – che continua a rimandare la soddisfazione di un desiderio perennemente inappagato.

Vero è che quando usciamo dal cinema (se è andata bene e il film lo meritava) siamo poi noi a fantasticare su ipotetici futuri, su quegli sviluppi che seguono il finale delle fiabe: dopo  il “E vissero sempre felici e contenti”, che cosa sarà successo a Cenerentola? Nel caso delle serie iperò, come nel Pinocchio che a furor di lettori resuscita il burattino impiccato, il prosieguo è diegetico, avviene all’interno del racconto e non nella nostra fantasia.

Ma il rapporto con la letteratura nel libro non si ferma agli esempi più affini. Gli autori lo estendono. Con alcune – tu chiamale, se vuoi, esagerazioni – dissertazioni che vedono nelle lunghezze in cui le serie si snodano episodio dopo episodio un’ascendenza nobile, tra Guerra e pace e La ricerca del tempo perduto.

Con ulteriori analogie, oltre alla inevitabile durata della fruizione: se Proust lungo i suoi sette volumi si fermava a dissertare per esempio sull’arte della guerra, Piero Spila sostiene che “è esattamente come accade in House of Cards, quando un’intera puntata è dedicata alla rievocazione in costume di una storica battaglia della guerra di secessione”.

Per tutti noi di fede proustiana, il parallelo risulta decisamente eccessivo. Così come vedere nella Montagna incantata di Thomas Mann e nelle dispute filosofiche fra Settembrini e il gesuita Naphta un fratello maggiore di Newsroom e dei suoi accesi scontri politici.

Tuttavia, tolto il non piccolo dettaglio del genio autoriale, altri aspetti che rendono stretto il legame con la letteratura sono veri. Come il fatto che, concentrato nei suoi ridotti limiti temporali, il film non può dar luogo a troppe digressioni e spin off interni, mentre il romanzo questo respiro può averlo.

Oltre all’excursus storico, il libro analizza alcuni esempi di serie, da Fleabag a Tredici. Costruisce paralleli di genere all’interno di una stessa produzione, quella coreana, in cui esplora affinità e differenze fra la serie Squid Game, il film Parasite e uno spettacolo teatrale.

Oppure esamina la stessa storia raccontata da autori e tempi differenti: le Scene da un matrimonio con cui un regista così poco popolare come Bergman riscosse in tv un enorme successo e il più recente Scene da un matrimonio con Jessica Chastain e Oscar Isaac, magari più spettacolare, ma non altrettanto apprezzato e meno efficace dal punto di vista delle dinamiche psicologiche.

Differenze lessicali e di genere: Fine serie mai tratta di serie certo, ma anche di serial, telenovela, narconovela, telefilm, sceneggiato, teledramma, radiodramma. Schemi produttivi. Relazioni con il cinema e altri mezzi. I temi del libro sono tanti.

Compreso il pubblico. Dove, per tornare al rapporto con la letteratura, si racconta che nel 1893, quando Sherlock Holmes fu ucciso da Conan Doyle, “migliaia di inglesi indossarono per giorni delle fascette nere in segno di lutto.

Una reazione, si commenta, analoga ad alcune contemporanee: le 7.000 pagine di Lostpedia, i siti di fanfictions che riscrivono serie esistenti, la raccolta di firme per il remake dell’ottava stagione del Trono di spade. E perfino l’ascesa di Zelensky a presidente, dopo aver interpretato il ruolo in Servant of the People. Puntata dopo puntata, dalla fiction si è arrivati alla realtà.