Giorgio Manganelli, dalle parole alle immagini

L’omo è agito da forza non umana, da voglia, o amore, o occulta intenzione, che si inlàtebra in muscolo o in nerbo, che egli non sceglie né intende”. Si apre così Hilarotragoedia (che si chiuderà poi mirabilmente con: “In proposito, si potrebbe avanzare la seguente ipotesi:”)

E così “spiega” il suo autore: “Io non so perché un certo giorno mi sono messo davanti alla macchina da scrivere e ho detto: ‘Beh, provo’ perchè così è successo quando ho scritto l’Hilarotragoedia, ‘tanto non ho niente da perdere. Vediamo che succede’. E poi ho cominciato a correre dietro alle parole”.

Fra le tante descrizioni, spesso reboanti, di come è nata la vocazione letteraria, coltivata fin dall’infanzia o costruita attraversando perigli vari, questa di Giorgio Manganelli appartiene ad altra categoria.

Quella dell’ufficialmente casuale, della scrittura che (ironicamente: non a caso la tragedia è ilare) si fa da sé, senza atto di volontà. Per procedere poi senza mai fermarsi. Tanto che dello scrittore nato un secolo fa, e scomparso nel 1990, continuano a darsi scoperte, opere postume, “nuovi commenti”.

L’interpretazione sull’origine della scrittura fa parte di un incontro fra il Manga e Lea Vergine, da cui nacque Ma che cos’è poi un’intervista?, chiacchierata fra il sottile paradosso e la timida ritrosia pubblicata su Vogue nel 1987.

La si ritrova adesso nel volume che Electa pubblica a cura di Andrea Cortellessa: Illustrazioni per libri inesistenti. Artisti con Manganelli.

Illustrazioni per libri inesistenti è il titolo di un pezzo dello scrittore per FMR: fa parte del volume Salons di Adelphi, che raccoglie i tanti interventi in cui esercita la propria immaginazione letteraria su quadri e sculture antichi e contemporanei, ma anche su ex voto, fotografie, ventagli, orologi.

Ricama Manganelli in quell’articolo: “È Delvaux assolutamente un pittore, o il suo dipingere è un genere letterario periferico, straniato, impervio e insieme astuto? È forse, costui, un illustratore, un catalogatore di immagini che si riferiscono a un testo possibile, un libro eventuale, o forse un racconto orale narrato da bocche già taciute, o una filastrocca, un nonesense elaborato, metafisico, astratto?”. Da lì, cesellate variazioni sul tema del rapporto fra parole e immagini, arte letteraria e arte pittorica.

Il volume Electa, che accompagna la mostra curata da Cortellessa al Museo di Roma in Trastevere (aperta fino a gennaio), riprende questa contaminazione fra parole e immagini.

Prima di arrivare alle pagine di cui lo scrittore conversa con Lea Vergine (anche in un Dialogo sugli spazi pubblicato su Alfabeta nel 1982), ricostruisce così i rapporti di Manganelli con gli artisti che conobbe.

Artisti di cui scrisse e che a loro volta si cimentarono nel fare delle sue opere arte visiva: Gianfranco Baruchello, Giosetta Fioroni, Franco Nonnis, Achille Perilli, Carol Rama, Giovanna Sandri, Toti Scialoja.

Fra questi, un posto speciale occupa Gastone Novelli, che firmò le illustrazioni di Hilarotragoedia con tavole che l’hilarotragoeda definì “colorati, sensuali, cartelloni, i lusinghieri segnacoli che rendono tattile e odorabile e masticabile il luogo cui ci invitano”.

Ossia, quell’Ade dove Novelli finirà pochi anni dopo, nel 1968. Intanto però i 23 disegni erano presentati al pubblico, nella galleria romana Il segno, nel 1965: un anno dopo l’uscita del libro di cui riportano la “geografia dell’Ade” e i “modi del discendere“.

In tema di arte infine, fra le pagine Electa, attenzione a non perdere l’articoletto per Europeo scritto da Giorgio Manganelli nel 1982. Si intitola Alla ricerca delle donne perdute: “Due anni fa, la grande mostra L’altra metà dell’avanguardia riportava alla luce una sorta di incredibile civiltà pittorica, assai più sepolta di quanto non accada per solito agli etruschi e ai lucani: e pure era recente, e la popolazione coinvolta era ancora reperibile”.

Di chi sta scrivendo? Leggere per scoprire. Indizio: da quarant’anni a oggi, non è che le cose siano così cambiate.