Va dove ti porta il cibo

Si presenta come “scrittrice, giornalista, gourmet”. Ma distinguere la prima e l’ultima di queste definizioni non è possibile. In lei – Roberta Schira – la scrittura e la cucina convivono in un miscuglio (in accezione chimica, non critica) omogeneo: non si possono separare, insomma.

Roberta ha appena debuttato con il suo primo romanzo, I fiori hanno sempre ragione.

Protagonista è Eleonora, una giovane chef alla guida di un ristorante che ha voluto chiamare Hamlet, a elogio di quel dubbio che troppe volte il mondo (e non solo quello della cucina) rimuove sprezzante.

 

Le ricette “morali” di Ernesta

La ragazza ha però subìto il peggior trauma che possa capitare a chi fa quel mestiere: risvegliandosi dopo un incidente dal coma, scopre di aver perso gusto e olfatto. Dovrà affrontare una nuova vita.

In questo percorso, al suo (spirituale) fianco c’è nonna Ernesta: è morta mentre la nipote era in ospedale, ma la sua presenza è assicurata da una serie di lettere. E qui letteratura e gastronomia si uniscono. Perché le lettere sono un viatico verso il “mondo nuovo”: la nonna immagina che se Eleonora le legge è perché per una qualche ragione si trova in crisi, e quindi le propone ricordi con annessa – leggera, mai pesante – morale di vita, cui seguono ricette.

3 cucchiai di rabbia e 1 pacco di misericordia

Non provatevi però a lasciare il libro per i fornelli: realizzare questi piatti non sarà facile. I loro ingredienti sono “3 pizzichi di emotività”, “3 fiale di indipendenza e autonomia”, “5 gocce di essenza di sex appeal (diffidare delle imitazioni)”, “3 cucchiai di rabbia”, “1 pacco di misericordia”…

I più indispensabili in questa cucina dell’anima, che tornano di ricetta in ricetta, sono “coraggio” e “autostima”, senza i quali è difficile andare avanti.

Certo, questi ingredienti è impossibile trasformarli in piatti da assaporare fisicamente, tuttavia per essere immaginati come ricette si intuisce che abbiano avuto bisogno della mano di una persona che con il cibo ha felice consuetudine.

Chi è l’autrice

Roberta Schira infatti è critica gastronomica per il Corriere della Sera, scrive di food, ristoranti, locali, botteghe. Insegna anche impiattamento e messa in tavola, oltre a comunicazione del vino, all’Italian Food Academy.

Un’esperienza in materia che le serve tra l’altro a punzecchiare, tramite Eleonora, tutti quegli intervistatori improvvisati che, non avendo competenza di cibo, riparano sempre sulla stessa domanda: che cosa c’è nel suo frigorifero?

Così, mentre le ricette della nonna provvedono alla rinascita spirituale della giovane chef, il romanzo si addentra anche nelle descrizioni della vita di un ristorante. Dei suoi componenti e degli elaborati menu che vengono portati in tavola (istruzioni per l’uso della lettura: meglio gustare la lettura a pancia piena), con accompagnamento dei giusti vini.

Fiori terapeutici

E i fiori del titolo? Pure quelli Eleonora li mangia, ha iniziato da bambina scoprendone la potenzialità terapeutica contro la rabbia, e riprende a farlo da adulta.

Ma i fiori sono anche il linguaggio del corteggiamento, del ritorno alla vita tramite un sosia di Clark Gable. In più, i fiori significano olfatto, che è “il senso dell’immaginazione”.

Infatti, la chef prima dell’incidente era solita valutare le persone che incontrava a seconda del loro odore perché “non sempre gli umani sanno di buono, ma respirare l’umanità l’aveva sempre fatta sentire vibrante di vita. Certe ragazze sanno di buono, alcune di profumi a buon mercato, certe di alcol, di shampoo alla mela o vaniglia che ti viene voglia di addentarle”.

Quanto al bell’Etienne, il nuovo amore con baffetti che coltiva e vende ogni tipo di spezia: di che cosa sa? Eleonora non può dirlo, il “naso” lo ha perso: deve imparare a fidarsi, con l’aiuto anche della nonna.