Dallo Stajano di Un eroe borghese al Verga della Lupa, dall’Agnese va a morire di Renata Viganò a Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo: tante volte nel suo sterminato curirculum cine-teatral-televisivo, Michele Placido ha girato film (e vinto premi) come protagonista di un’opera tratta da un romanzo o da un racconto.
Interpretare però un personaggio che dei libri è stato “regista”, che li ha scelti e pubblicati, fondando la principale casa editrice italiana dell’epoca, è altra faccenda.
Placido lo ha fatto adesso per Rai1. Nella docufiction Arnoldo Mondadori. I libri per cambiare il mondo, è l’editore maturo (la sua versione giovane è affidata al figlio Brenno), che persegue il sogno di portare un libro ovunque, in mano a tutti.
Revanche di un’infanzia poverissima in cui il padre di Arnoldo gli strappava (letteralmente) le pagine che si ostinava a leggere: troppa miseria per potersi permettere così di “perdere tempo”.
Perché ha trovato la storia di Mondadori così interessante?
È stato un protagonista della storia italiana del secolo scorso. Un uomo nato da genitori umilissimi che ha trasformato in una vera e propria industria la sua passione per la lettura, cominciata nell’infanzia. Nella docufiction lo lo vediamo ancora bambino mettere faticosamente da parte qualche soldo per acquistare il suo primo libro.
La sua famiglia, nella provincia di Foggia in cui è nato, come guardava ai libri?
Eravamo otto fratelli, io ero il terzo. Però, da noi i libri c’erano, nostro padre la sera ci leggeva Dante, perché voleva che i figli diventassero più di lui. Infatti, poi i miei fratelli e sorelle si sono tutti laureati, chi in Filosofia, chi in Pedagogia… Nel paesino dove siamo cresciuti, Ascoli Savigliano, non è che ci fosse molto da fare se non leggere e studiare.
Lei, però, invece di andare all’Università è entrato in polizia. Perché?
A scuola non riuscivo a concentrarmi, avevo problemi di attenzione. Però – siccome ero carino – finiva che quando arrivava in visita l’ispettore la maestra, ricordo ancora il nome, la signorina Pelini, faceva leggere sempre a me le poesie, preferibilmente La cavallina storna. In fondo, è proprio grazie a lei se ho scoperto la passione per la recitazione e sono diventato attore.
Ricorda il primo libro che ha comprato?
Assolutamente sì! A 15 anni, La ragazza di Bube di Carlo Cassola. Non sapevo nulla del romanzi, mi colpì il titolo.
Crescendo, le è rimasta la voglia di leggere?
Ho ricominciato a farlo quando mi sono trasferito a Roma. E lì ho scoperto che per questo lavoro forma più un libro che un anno di Accademia.
L’amore per il cinema, invece, quando è cominciato?
Sempre da ragazzo. In paese c’erano due sale, una era quella parrocchiale, l’altra era di mio zio. Ogni giorno davano un film diverso. A me piacevano soprattutto i western, ricordo benissimo la prima volta che vidi Mezzogiorno di fuoco.
Ha un libro del cuore?
Delitto e castigo. E tutto Dostoevskij: mi ha fatto capire tante cose, ancora oggi per me è un punto di riferimento. Credo che sia una lettura fondamentale per chi vuole affrontare il mondo del cinema e del teatro, con le sue storie, la complessità dei suoi personaggi e la drammaticità del suo percorso esistenziale.
Un secondo “amore”?
Madame Bovary, perché mi affascina come un uomo sia riuscito a scrivere un libro così straordinario su una donna. Non a caso, io ho spesso fatto film in cui le donne sono protagoniste.
Nella docufiction si racconta anche il rapporto spesso teso di Arnoldo con il primogenito Alberto che, nel 1958, fondò – con i soldi del padre – la casa editrice Il Saggiatore. Da padre di due attori, Violante e Brenno, qual è il segreto per condividere la stessa carriera senza scontri e gelosie?
Non li ho mai spinti a diventare anche loro attori e non sono stato io a lanciare le loro carriere nel mondo dello spettacolo. Violante, è stata “scoperta” da Simona Izzo e Brenno da Riccardo Milani che lo scelse per la serie Tutti pazzi per amore.
Tutto qui?
E, poi a casa, non parliamo mai di lavoro (Ride).
Adesso a che cosa sta lavorando?
Goldoni. Preparo La bottega del caffè, coproduzione con lo Stabile Friuli Venezia Giulia. Mi sento proprio giusto per il personaggio di Don Marzio, un napoletano eccezionale.