La “legge venatoria” che uccide le donne

È tempo che di donne parlino anche gli uomini. Non donne felici e appagate, amazzoni del nuovo millennio, ma quelle che sono diventate pane quotidiano dei notiziari, con tutte le perversità anche descrittive di chi intinge la tastiera nel sangue delle vittime di femminicidi.

Per cambiare storia, oggi non bastano le manifestazioni e le indignazioni femminili: serve la partecipazione degli uomini. Giulio Cavalli lo sa, e a questo ha dedicato il suo nuovo libro, I mangiafemmine.

Cavalli la paura la conosce, sa che cosa significa temere ogni giorno di essere pedinato e ucciso. Lo sa perché da sedici anni vive accompagnato dalla scorta che gli fu assegnata dopo le minacce ricevute per aver indagato sulla mafia del nord Italia.

È questa sensibilità che lo ha forse aiutato nella scrittura del libro. Dove si raccontano femminicidi realmente avvenuti e reintepretati in chiave autoriale, con una scelta lessicale originale e incisiva.

Queste donne uccise, martoriate, decapitate sono una disperata punteggiatura nel principale tema narrativo: la storia di una nuova legge “venatoria”.

Una legge, cioè, che non solo legalizza ma incentiva pure la caccia alle donne, con relativi ammazzamenti, in nome di un equilibrio di genere da ricomporre.

Gli alfieri della normativa sono facilmente identificabili con la triade al governo, e infatti c’è anche una donna a capo. Mentre l’opposizione poco fa per opporsi: in fin dei conti, sulla questione dell’emancipazione femnminile la pensano più o meno allo stesso modo. I

l tutto si svolge a DF, località che già si era trovata in un altro libro di Cavalli, Carnaio, dove una legge altrettanto folle riguardava l’impossibilità di seppellire una marea di cadaveri.

Siamo dalle parti del grottesco, eppure leggendo si percepisce più un sentore di duro realismo. Sarà anche perché già il cinema – pensiamo alla caccia all’uomo di The Hunt o a quella al nero di Get Out  – è spesso tornato sul tema dell’omicidio gratuito.

Ma qui la rabbia che provoca la lettura è quella che si prova seguendo gli ultimi casi di cronaca, a partire dalle vicende dell’universitaria Giulia accoltellata dal “bravo ragazzo”.

Cartelli contro la violenza sulle donne e in ricordo di Giulia Cecchetin

Ed è quella nei confronti di politici e magistrati (reali, non letterari) che ritengono comunque inutile l’educazione affettiva nel Paese e che – come nel libro – talvolta tirano fuori a discolpa il fatto che “anche le donne uccidono” o che sarebbe meglio non bere se non si vuole essere stuprate, o che quella è la cultura del maschio ed è inevitabile e di conseguenza giustificabile l’esito cruento.

Per fortuna, allora, che alcuni – e non sono certo pochi – uomini parlano, scrivono, filmano.

Come ha fatto Silvio Soldini, autore del bel documentario Un altro domani, e come fa Giulio Cavalli.

Anche perché se I mangiafemmine possono far approvare leggi infami questo dipende in buona parte dal fatto che troppi ne condividono i presupposti, in qualche modo giustificano ciò che accade.

Muoiono donne, muoiono gli uomini, muoiono anche le api”, dice il consigliere politico Marco Fumagalli. “Ridono tutti”, commenta il libro.