Il Bene e il Male in Sicilia, da Medea alle stragi di mafia

Nella Chiesa di San Domenico a Palermo, il cui pantheon di uomini illustri ospita la tomba di Giovanni Falcone, si alza il grido di Medea: “Nessuno qui può dirsi innocente. Nessuno potrà dire ‘Ignoravo’”.

L’eroina tragica di Euripide, assassina dei figli dopo l’abbandono di Giasone, è stata riletta dal magistrato ed ex presidente della Camera Luciano Violante.

Luciano Violante (a sinistra) nel 1993, quando era presidente della Commissione Antimafia

È diventata uno spettacolo, con la regia di Giuseppe Dipasquale. Speciale Medea – Un canto per Falcone e Borsellino è stato allestito nella grande chiesa palermitana, ripreso su RaiPlay il 23 maggio per i 30 anni di Capaci e da fine giugno tocca alcune piazze d’Italia. Il 19 luglio, anniversario della strage di Via D’Amelio, sarà rappresentato – all’interno del Barbablù Fest – a Morgantina, sito archeologico in provincia di Enna le cui rovine faranno da suggestiva cornice.

Nei panni di Medea – nel trucco pesante, nei capelli da Medusa, nei veli che volano, nella violenza della voce – recita Viola Graziosi. 43 anni, cresciuta in Tunisia, figlia dell’attore Paolo Graziosi, un’alternanza fra Francia e Italia, una professionalità eclettica (in teatro ha portato anche il Racconto dell’ancella): con questo personaggio Viola dà vita al secondo capitolo di una trilogia, sempre ideata dal magistrato e diretta da Dipasquale, cominciata con Clitennestra e destinata a concludersi con Circe. “Violante ha scelto queste eroine greche per condividere una sua testimonianza, per creare empatia e partecipazione attraverso il teatro”, spiega l’attrice.

Viola Graziosi nello spettacolo “Speciale Medea – Un canto per Falcone e Borsellino”

Ma che cosa lega il mito di ieri ai miti di oggi? Che cosa accomuna una figlicida alle vittime della mafia, Falcone, Borsellino, gli uomini e la donna delle loro scorte?

Lo si capisce nella seconda parte dello spettacolo quando, dopo aver sparso il sangue che l’ha resa nei secoli l’emblema delle madri “disfunzionali”, Medea sale sul carro del Sole. “Il Sole le fa attraversare i tempi e la mette a confronto con il mondo di oggi, in Sicilia, dove Bene e Male convivono”, spiega la Graziosi. “A quel punto decide di andare a cercare i giusti e di stare dalla loro parte. Il Male appartiene all’uomo come il Bene: si tratta sempre di scegliere. Portare questa Medea in teatro è fare una semina, creare un’esperienza condivisa con il pubblico, che ci renda tutti partecipi e responsabili”.

Perché la semina dia i suoi frutti, il mostro che è fuori e dentro ciascuno di noi va allora guardato negli occhi e affrontato, perché “se noi continuiamo a dire che la mostruosità non ci riguarda, che noi certe cose non le faremmo mai: quello è il momento in cui cadiamo”. L’assunzione di responsabilità riguarda il modo in cui affrontiamo la mafia ma anche “il clima, il Covid, la disperazione che vedo in giro, con i giovani che non sanno più perché vivere: serve una sveglia, una presa di coscienza, sentirci tutti parte della nostra storia per il nostro presente e il nostro futuro”.

Questa la ratio dello spettacolo. Che però non basta a spiegare l’emozione del finale in San Domenico. Quando Viola/Medea di fronte alla tomba di Falcone chiede: “I giusti vivranno per sempre, ma dove sono finiti quelli che combattono per noi?”. E la tromba del silenzio d’ordinanza suona la risposta.