Il debutto di Paolo Bonolis nella fiction

Anime nella notte. Non sono quelle di Kent Haruf, il cui libro peraltro viene portato in scena a Milano proprio in queste settimane, protagonisti Lella Costa ed Elia Schilton. 

Le anime, e i corpi, di Notte fonda sono un uomo e una donna a Roma. Tornano da un apericena con amici. Rientrano a casa, sono solo loro, il figlio è fuori. Parlano. Per tutta la notte.

La linea narrativa scelta da Paolo Bonolis al suo secondo libro è semplicissima. Stavolta uno dei più pagati fra i conduttori televisivi abbandona (almeno in teoria) il genere autobiografico del precedente Perché parlavo da solo, per passare alla fiction.

Il che complica la situazione: le magnifiche sorti di personaggi di ogni genere, dai campioni dello sport ai divi del cinema, raccontate con il supporto il più delle volte di ghost writer, tengono facilmente banco in libreria, e attirano anche persone refrattarie alla lettura.

In questo caso, è vero che l’autore può far presa sull’acquisto. Non a caso, il nome Paolo Bonolis in copertina è sparato a caratteri molto più grandi del titolo Notte fonda, e incombe anche sull’illustrazione: una coppia che si allontana su fondo bianco.

Però, Notte fonda non è tutto qui. In primo luogo, c’è il ritmo. La scrittura è drammaturgica, come un copione teatrale, tutta giocata su scambi di battute brevissime. Le didascalie sono solo notazioni che separano un momento dall’altro di queste ore dal tramonto all’alba: il ritorno a casa, il vino in cucina, il passaggio dal bagno, il letto…

Per il resto, ogni “capitolo” si identifica con data e ora, a partire dal futuribile “11 maggio 2023, ore 22,54”, per poi inoltrarsi nella notte fonda. La conversazione a due si apre con un “Lui” o “Lei” , cui seguono gli scambi verbali, dove tocca al lettore ricostruire quando parla il marito e quando la moglie.

Non è Proust ma il libro di Paolo Bonolis ha un suo fascino.

Le chiacchiere lievi di un lui e di una lei man mano assumono spessore nel corso di una lunga notte insonne

Certo, se ami Proust capisci che sei finito nel girone del contrappasso letterario. Tuttavia, questo che inizialmente appare come un parlar di nulla a fine serata un suo fascino lo esprime, con il susseguirsi di chiacchiere lievi, come a chiunque è presumibilmente capitato, perché non sempre (o quasi mai) è necessario esprimere opinioni filosofiche e fondamentali sul senso della vita.

Man mano, in realtà, i discorsi si ispessiscono, il ping-pong non si accontenta più di una riga per lei e una per lui. La conversazione volge prima il figlio Marco, poi sulla gelosia, la fede, i massimi sistemi. “Lui” si palesa sempre più come il moralista della coppia, “Lei” come la voce del buonsenso. “Lui” si dilunga nell’argomentare, “Lei” forse vorrebbe tirar via e dormire, visto che entrambi poi al mattino devono andare a lavorare.

Finché – stremati, la donna che ormai dorme e l’uomo che si arrende al calar della palpebra – la storia di “Lui” e “Lei” cede il passo alla Postfazione, in cui Bonolis fornisce la chiave di lettura. Che in realtà, però, sottrae più che aggiungere qualcosa al libro.

Ma niente spoiler.