Il dietro le quinte epico di “C’era una volta in America”

Il tempo del cinema non obbedisce alla scansione del tempo reale. Così, come Fat Moe riavvia l’oscillazione del pendolo, tra storia e ricordo, al ritorno di Noodles, Piero Negri Scaglione con il suo libro, Che hai fatto in tutti questi anni (Einaudi), riavvolge il nastro dell’avventura di C’era una volta in America per riportare in vita, raccontare e indagare il tempo dedicato al film e il cinema al tempo del film.

Diciotto anni di lavorazione, una maturità agognata che nasce nel 1966 dalla lettura di Mano Armata di Harry Grey – unico romanzo che si presta come soggetto nella filmografia di Sergio Leone – e si risolve nell’uscita in sala nel 1984, attraversando fallimenti, pressioni, delusioni, ma anche incontri fondamentali, sfide e la creazione di una squadra disposta a tutto pur di realizzare la visione e l’ossessione del regista.

Il making of di C’era una volta in America

Come per il pendolo di Fat Moe, che sembra ispirato al pensiero di Arthur Schopenhauer, la vita di Sergio Leone negli anni di attesa per la realizzazione di C’era una volta in America è un’eterna sospensione tra la noia dei rallentamenti per i produttori cinematografici che accettano e rinunciano al progetto, e il dolore per le sconfitte. Dallo scontento per la collaborazione con Norman Mailer, alla perdita dello sceneggiatore Franco Arcalli e all’amarezza per la distribuzione della versione americana del film, ripudiata e mai vista dallo stesso regista.

Da nuovo aedo dell’epica contemporanea, partendo dal peplum, esplorando e sconvolgendo il western per poi approdare al mito gangster, Leone diventa suo malgrado, con l’ultima opera, narratore dell’epica dell’ultima grande produzione cinematografica.

Nei primi anni ottanta la United Artists ha già sfiorato il collasso per I cancelli del cielo di Michael Cimino e William Goldman accusa Hollywood di non saper rispondere alla crisi se non producendo “fumetti, film che non hanno molto a che fare con la vita com’è davvero“. In questo contesto, Leone sa – come dirà durante la conferenza stampa al Festival di Cannes di C’era una volta in America – che “grazie all’avvento della televisione e al lavaggio del cervello che fa la tv, di questi film se ne faranno sempre meno“.

Come in C’era una volta il West, quindi, vuole salutare e vedere la frontiera di un mondo selvaggio e ambizioso, prima che scompaia e diventi definitamente una storia da raccontare: il cinema.

I ricordi dei protagonisti 

Piero Negri Scaglione centra a perfezione il bersaglio, l’inesorabile passaggio da una visione artigianale alla produzione in serie. Che hai fatto in tutti questi anni  raccoglie e racconta il punto di non ritorno e l’ultima occasione per prendere parte alla costruzione di un universo in declino, in cui è ancora possibile girare tra Venezia e Roma, Canada e Stati Uniti. In cui l’attenzione per il dettaglio e la ricerca della perfezione non sono ancora condannati a soccombere per sentenza del budget. E in cui il tempo, come scritto dallo sceneggiatore Enrico Medioli e da Marcel Proust, è necessario “per immergersi nella storia“.

Prendendo esempio dalla struttura dello stesso film, Scaglione gioca su più piani, scandendo la narrazione cronologica della lavorazione – l’inizio dell’ossessione di Sergio Leone, la difficile costruzione della sceneggiatura e il travagliato periodo delle riprese – per soffermarsi sulle testimonianze posteriori di chi vi ha preso parte.

Il regalo di De Niro 

Da opera leoniana c’è sempre un suo protagonista – in questo caso Leone e la sua visione –  ma il libro allarga l’inquadratura e la pagina sui singoli, concertando una grande opera corale in cui ognuno ha fatto la differenza per portare il film a destinazione. Come Robert De Niro regala al termine delle riprese una piastrina metallica di tipo militare a tutti i partecipanti, dalla troupe al cast con su scritto: “Congratulations! You’ve survived Once Upon A Time In America“, Scaglione riunisce e intervista l’esercito dei sopravvissuti che fecero l’impresa.

Se il produttore esecutivo, Claudio Mancini, racconta: “Dopo che ho lavorato con Leone non è più stata la stessa cosa. Mai più” e Robert De Niro non finisce mai di raccogliere e custodire registrazioni e documenti della lavorazione, anche Scott Schutzman, all’epoca attore esordiente nel ruolo del giovane Noodles, assicura: “Il cinema, quel film, mi ha salvato la vita, ma me l’ha anche rovinata“.

L’esistenza di chiunque abbia preso parte al progetto subisce una momentanea interruzione, come dal sogno alla realtà, per poi riprendere il proprio corso, ma con la consapevolezza che niente potrà tornare come prima: un tempo irripetibile. Così il libro attraversa l’attenzione per la sfumatura cronologica della fotografia di Tonino Delli Colli, l’intesa osmotica tra l’immagine di Sergio Leone e la composizione di Ennio Morricone, la spericolata esistenza del produttore israeliano Arnon Milchan.

Che cosa è successo al cinema italiano?

Scaglione porta a termine un lavoro di ricerca e catalogazione, studio e sospensione, di più di dieci anni, quasi pari alla dilatazione del tempo che Leone ha affrontato per avventurarsi in C’era una volta in America, eppure il parallelo con il film non sopravvive solo in termini quantitativi.

Quello che muove la tessitura di Che hai fatto in tutti questi anni è un atto di amore nei confronti dell’universo cinematografico e il desiderio di catturare ogni dettaglio, scavare in superficie, come un primo piano di Sergio Leone. Se C’era una volta in America viene riconosciuto come un testo sacro, sicuramente Scaglione chiude il cerchio e ne scrive l’ultimo capitolo, il suo personale Cantico dei Cantici.

Terminando la lettura dell’Odissea di Leone, viene da chiedersi che cosa abbia fatto il cinema italiano, dal 1984, in tutti questi anni. Sicuramente è andato a letto presto, come Noodles. Dalla grandezza delle pianure in Cinemascope si è ritirato nei salotti e nei drammi borghesi dei suoi registi. Forse dorme, sogna di ricominciare daccapo, o semplicemente è solo inciampato, come il piccolo Dominik.