Il folk e l’impegno di Peggy Seeger

Peggy Seeger, classe 1935, è una istituzione del folk: ha attraversato gli anni del maccartismo, cantato la lotta per una società diversa ed è stata compagna di vita di Ewan MacColl, poeta, attore e songwriter con cui ha scritto il classico The First Time Ever I Saw Your Face; Peggy Seeger ha inciso per la Folkways Records dischi fondamentali per il movimento del folk revival e ora, all’età di 85 anni, torna con un album prezioso e a tratti commovente, First Farewell, uscito il 9 Aprile. Un’occasione per riscoprire il profilo di un’artista che ha saputo coniugare nel tempo la canzone di protesta e la ballata intimista, la purezza del folk americano e la ricerca, narrazione e politica.

Il folk e l’impegno, due cose andate sempre insieme per Seeger e MacColl. Le foto che immortalano i due artisti da giovani, coi volti sorridenti sugli album di quegli anni, proiettano un’epoca in cui cuore e rigore erano tutt’uno, un’eccitante stagione che la generazione successiva con Bob Dylan archivia, pur essendone fortemente debitrice. Il fratello di Peggy, Pete – celebrato nel 2006 da Springsteen nell’album We Shall Overcome: The Seeger Sessions – è il cantautore che secondo la leggenda voleva recidere i cavi della Paul Butterfield Blues Band che accompagnava Bob Dylan sul palco del glorioso Newport Festival, il 25 luglio del 1965, cruciale tappa della svolta elettrica. L’episodio è stato solo parzialmente smentito dai suoi protagonisti ma sta di fatto che quel Dylan che prende le distanze dal suo recente passato divide il pubblico del festival: alcuni piansero, altri danzarono come se avessero davanti Chuck Berry o Fats Domino, qualcuno gridò «Giuda!» e non è difficile immaginare il «tradizionalista» Seeger da che parte stesse.

«La storia viene sempre scritta dai vincitori – scrive Elijah Wald, critico musicale – e il rock ha raccontato la storia di Newport come se la contrapposizione riguardasse un fiero anticonformista di fronte a una timida folla. Ma a un livello più profondo si è trattato di uno scontro tra due diversi anticonformismi, di un dibattito su cosa significhi ribellarsi.»

La generazione di intellettuali che Dylan abbandona ha un legame più forte con il mondo di passione, ribellione e contrasti ideologici che era emerso nel dopoguerra negli Usa: Peggy Seeger vive il controllo e la repressione del maccartismo come tanti artisti americani negli anni cinquanta, ottenendo, quale reazione ad un suo viaggio non autorizzato nella Cina comunista, il ritiro del passaporto. È nel 1956 che, durante un tour a Londra, invitata da Alan Lomax, decide di mettere nuove radici in Inghilterra, non prima di aver incontrato l’amore di una vita nella figura di Ewan MacColl. Nonostante il nuovo inizio in Gran Bretagna, Peggy Seeger continua ad avere ben presente il senso della sua missione nel mondo della musica, che può essere inteso come esperienza che trascende l’impegno politico: utilizzare un patrimonio di racconti popolari per connettere le persone in vista del progresso della comunità umana. Ma non solo. La Seeger interpreta canti degli Appalachi come ballate scozzesi e inglesi appartenenti a comunità di minatori, zingari, pescatori; sea shanties come blues del sud degli Stati Uniti, folk songs dell’America bianca dei cowboy, facendosi influenzare perfino dalla musica colta europea (Bartók, Beethoven, Scriabin). Del resto il padre, Charles Seeger, è un musicologo e da lui ha certamente ereditato lo studio di questa arte come strumento di vicinanza agli oppressi (quando Peggy nasce, Charles è organizzatore di comunità per disoccupati ed agricoltori colpiti dalla Grande Depressione, e dedicherà alla causa progressista l’intera vita coinvolgendo la moglie, importante musicista proveniente da studi classici). Ma è con Ewan MacColl che la sua produzione farà uno scarto in più dal punto di vista politico. Già iscritto ad una formazione comunista, è Ewan che avvia la giovane americana alla vera militanza: in fin dei conti la Seeger viene da una famiglia borghese, sia pure con idee progressiste. Nella metà degli anni cinquanta MacColl e Seeger hanno come riferimento Alan Lomax, etnomusicologo e produttore, e la sua compagna di viaggio, Shirley Collins, coetanea di Peggy. Tutto ruota intorno all’attivismo e all’amore per il folk, eppure sarà una canzone d’amore, The First Time Ever I Saw Your Face, a fotografare al meglio quel momento storico, un brano ripreso da tanti, da Johnny Cash a George Michael, senza dimenticare la versione di Roberta Flack del 1969 (presente nella colonna sonora dell’esordio alla regia di Clint Eastwood, Play Misty For Me, di due anni dopo).

La musica di Peggy Seeger, come le canzoni di Nina Simone e Odetta, parlano della condizione umana ed è anche grazie al suo impegno che il folk revival diventa un tassello importante di un percorso, quello della popular music: una storia cominciata negli anni ’30 che passa per Newport e arriva fino a Woodstock con in mezzo l’alterità del rock and roll. La narrazione in prima persona in The First Time Ever I Saw You è decisamente una innovazione all’interno della folk song: i sentimenti disconnettono per un momento questa generazione di folksinger dalla tradizione più rigida e l’accordano al moderno individualismo, è l’irruzione del senso della libertà che è parte del nuovo occidente.

Il lavoro di Peggy Seeger e di Ewan MacColl nel corso degli ultimi anni ’50 procede in parallelo con quello di Pete Seeger negli Usa, ed è caratterizzato da incessanti registrazioni in cui il suono del banjo e la voce da soprano di Peggy fanno da contraltare a quella baritonale di Ewan. E la politica riacquista centralità. La coppia dà vita alla prima radio ballad della storia ai microfoni della BBC, The Ballad of John Axon, dedicata al giovane macchinista inglese, un simbolo delle morti bianche e un eroe popolare per aver perso la vita mentre cercava di fermare un treno merci in fuga. Il progetto dei due artisti è tutto teso a valorizzare l’autodisciplina della working class rispetto alla dissolutezza dei membri delle classi più elevate.

Le radio ballads di questo periodo accentuano la politicizzazione del duo per i temi affrontati, coniugando la sua partecipazione a grandi appuntamenti di protesta, come la marcia di Aldermaston del 1961, a Londra, in cui Bertrand Russell pronuncerà un celebre discorso contro il pericolo nucleare. Verranno altri progetti (come il Critics Group) e la caratterizzazione della Seeger come cantante militante sarà sempre più netta, fino all’apice raggiunto con la protesta contro la guerra in Vietnam e canzoni come Hitler Ain’t Dead, che accosta il democratico Lyndon Johnson a Hitler. Infine, la stagione del femminismo: con gli anni ’70 l’impegno politico si apre a canzoni di denuncia come I’m Gonna Be an Engineer sulle difficoltà di accesso al lavoro per le donne, Winnie and Sam sulla violenza domestica, e Emily sulla paura delle donne costrette a vivere in casa con il loro persecutore (in questo brano ci sono i terribili versi: «If I go quiet, that makes him rage, If I turn and run, he’s hunting me down, I says, Why do you hit me? He hit me for asking, Whatever I do, I’m down on the ground»).

Negli Stati Uniti, Peggy, farà ritorno solo dopo la morte di Ewan agli inizi degli anni Novanta, quasi a volersi riconciliare con il paese e il mondo di canzoni da cui pure aveva preso avvio la sua ricerca. In fondo, suo fratello Pete, scomparso nel 2014, a 94 anni, con oltre 100 album all’attivo, era un convinto assertore della idea che l’America fosse, nonostante tutto, il paese delle radici, la terra di Walt Whitman, la grande promessa della futura umanità. E questo nuovo album di Peggy Seeger, First Farewell, a parte essere un piccolo miracolo, è il risultato del suo rientro nell’Oxfordshire con il coinvolgimento dei figli musicisti, Neill e Calum MacColl, e delle loro famiglie.

Nelle intenzioni, dovrebbe anche essere il disco di commiato della cantante, ma al «primo addio» a cui il titolo fa riferimento, potrebbero seguirne altri fino a raggiungere o, perché no, superare gli oltre 90 anni di vita di Pete. Ascoltando le nuove canzoni, si trova un’artista ancora lucida ed in grado di donare emozioni – anche grazie al suo riavvicinamento al piano, strumento che imparò a suonare con sua madre, la compositrice Ruth Crawford Seeger – toccando problematiche della vita personale, senza discostarsi dalla dimensione sociale (l’abbandono degli anziani, la perdita di identità che consegue alla demenza o la dipendenza dai social).

L’obiettivo è accarezzare il quotidiano con l’ ironia dei testi vicina a quella di un Randy Newman e una sospensione tra malinconia e mistero. La voce di Peggy è più matura ma per nulla tremante ed insicura, il piano conduce l’ascoltatore in territori che favoriscono il raccoglimento e uno sguardo tenero sull’esistenza. E se in We are here – una delizia incentrata sulle distrazioni della vita moderna, jazzata e quasi «pop» – il purista folk si sentirà abbandonato dalla sua musa, gli si può sempre rispondere con Pete Seeger (che citava a sua volta il bluesman Big Bill Broonzy): «Deve essere una folk song, non ho mai sentito dei cavalli che la cantavano».