Il grande freddo di Yasmina Reza

Sposta la linea del precipizio sempre un po’ più in là. Il tempo di allungare il passo, guardare il panorama, sentire il pericolo e abituarsi al vuoto, che Yasmina Reza è già pronta a rompere l’equilibrio appena stabilito in una conversazione.

I suoi dialoghi sono campi minati in cui ognuno può saltare in aria per un commento fuori luogo o una leggerezza, da un momento all’altro.

Le parole pronte a tradire ciascuno, la tensione che domina l’interno borghese d’elezione, e i personaggi finalmente costretti a svelarsi. Non importa su che campo decida di giocare la scrittrice francese: teatro, cinema, romanzo, Yasmina Reza apparecchia con pazienza ogni volta la trama corredata di trappole, con l’intento preciso di saper procrastinare lo scoppio.

E in questa prima drammaturgia, Conversazioni dopo un funerale (scritta nel 1983 e ora pubblicato da Adelphi, 2023, con la traduzione di Daniela Salomoni), che le valse il premio Premio Molière come miglior autore, è già possibile rintracciare l’architettura dell’intera sua opera.

 

Nel giorno del funerale di Simon Weinberg, i suoi tre figli, Nathan, Édith e Alex, si riuniscono nella casa di campagna per dargli sepoltura in giardino, insieme a una coppia di zii e alla ex di entrambi i fratelli, Élisa.

In questa convivenza forzata dal lutto, la Reza individua il fulcro dell’azione nei figli quarantenni. Tre come i protagonisti di uno dei suoi maggiori successi in teatro, Art (1994), come i fratelli che animano il suo romanzo pubblicato sempre per Adelphi, Serge (2022).

Due caratteri maschili antitetici che si muovono in uno spazio ristretto invadendo accidentalmente il campo dell’altro, portando alla luce irrisolti, recriminazioni e gelosie, fratture in apparenza dimenticate. “Quando ero piccolo“, spiega Alex, “tutti i miei eroi avevano la faccia di Nathan. Sindbad, D’Artagnan, Tom Sawyer, il mio preferito, erano Nathan… Nathan il rifulgente, l’invincibile, il modello di tutti i modelli“, un’ammissione piena di frustrazione, pelando le verdure comprate in abbondanza da Nathan per il bollito.

E se l’inferno sono gli altri, come scriveva Jean-Paul Sartre, in Conversazioni dopo un funerale, l’oppressione più ingombrante è esercitata dall’assenza di Simon Weinberg: un padre che occupa tutti i ricordi, dai giudizi sui fidanzati sbagliati alle cosce di pollo, dalle cerate gialle alla penultima sonata di Beethoven.

Ognuno può pensare di sottrarsi all’altro o alla propria ex rientrando in casa, andando in giardino, ma la Reza garantisce una via di fuga illusoria, non potendo ingannare mai l’elusione della tomba appena realizzata, della terra ancora fresca.

E anche se Nathan rassicura – “Siamo persone civili, soffriamo secondo delle regole, ognuno trattiene il fiato, niente tragedie” -, durante la lettura non si fa che calcolare i minuti, quelli necessari per far saltare i coperchi, per portare il bollito alla giusta cottura.

Ed è il tempo per tutti i presenti la grande preoccupazione, soprattutto per i fratelli che hanno superato la soglia dei quarant’anni: un’età della vita, la maturità, vissuta come una giornata di inizio autunno – “Sembra estate, onestamente!” – ma con l’incoscienza che di lì a poco arriveranno le piogge e il grande freddo – “Come al solito, lo sai… Hai freddo?. Sto gelando”.

Sullo sfondo la campagna piena di sole, che muta nel giro di un atto unico in un lugubre silenzio e senza vita. Ad Anton Čechov tutto questo sarebbe piaciuto.

Il tempo è poco, sembra suggerire Yasmina Reza, prima di trovarsi sottoterra come Simon Weinberg, per questo occorre afferrare al più presto le proprie occasioni per essere felici, cominciando dal bollito: come in una scena da Il grande freddo (1983) di Lawrence Kasdan – film uscito in sala nello stesso anno in cui la Reza scrive la pièce – la preparazione della cena riunisce tutti i membri della famiglia, riportando l’equilibrio della cooperazione, dell’aiuto reciproco.

E come nella poesia di Derek Walcott, Amore dopo amore, finalmente ognuno si siederà a mangiare dando il benvenuto e salutando sé stesso arrivato alla propria porta.

Anche se primo esperimento con la drammaturgia, Conversazioni dopo un funerale fotografa per Yasmine Reza i tratti principali dell’opera che verrà.

La tensione famigliare, l’insoddisfazione borghese e l’ossessione di non riuscire a tagliare il traguardo della propria contentezza.

Molte parole, chiacchiere non necessarie che servono solo a ritardare un punto di ritorno, l’esplosione del confronto. Forse solo il primo passo, la verità, per poter essere felici.