In origine doveva chiamarsi Casini, ma l’assonanza politica era eccessiva. Così, mentre nelle traduzioni in Germania il nome è rimasto quello, in Italia – pur restando in ambito postribolare – il commissario è diventato Bordelli, Franco Bordelli. Nato esattamente vent’anni fa. Adesso, ossia nell’aprile 1970, giunto al momento della pensione, dopo una dozzina di avventure letterarie.
Non tutto è perduto è il nuovo romanzo del fiorentino Marco Vichi. Ma non sarà, si immagina, l’ultima avventura del commissario. Il quale, raggiunti i 60 anni di età e quindi il momento di rinunciare al tesserino, si appende nella casa dell’Impruneta il cartello “Non tutto è perduto”.
“Ogni tanto lo avrebbe letto e si sarebbe convinto che essere in pensione non significava il vuoto”, commenta l’autore. Anche se – aggiunge – “era un po’ spaventato dall’idea di essere diventato una persona inutile, senza uno scopo”.
Per darsi un tono ancora “professionale” l’ex commissario (ma un commissario in realtà “lo si è a vita”) arriva a fermare guidatori spericolati in autostrada, con una paletta che guarda caso gli è rimasta in macchina, come il tesserino mai davvero restituito.
Con il passare degli anni, inevitabilmente chi si affida a un personaggio forte – come è successo con il Charitos di Markaris o con il Ricciardi di Maurizio de Giovanni – lo deve far evolvere, maturare, invecchiare.
Durante questo percorso, non cambia solo il personaggio, ma anche lo scrittore. Così che progressivamente si vede crescere il lato privato dei commissari, che prende man mano il sopravvento sulle indagini, e dove trovano spazio sempre più ampio le riflessioni e digressioni degli autori. Tanto che la formula gialla o nera diventa un contenitore sempre meno significativo. Vero è che caratteristica fondamentale del genere è da sempre raccontare attraverso delitti e crimini la società circostante, in questi casi la nota vira però spesso più sul privato e su toni vagamente malinconici.
In realtà, nelle storie di Bordelli alcune deviazioni ci sono sempre state. L’occasione di solito sono le cene che organizza a casa – ai fornelli, due amici: l’ex ladro Botta e l’ex agente dei servizi Arcieri – per soli uomini, dove la condizione posta ai commensali è che ognuno alla fine racconti una storia.
Storie del passato più o meno recente – l’ambientazione è a pochi anni dalla conclusione della guerra e i protagonisti spesso fanno riferimento a vicende di fascisti, perseguitati, soldati – che diventano raccontini nel racconto.
Una precisazione: se a cena sono invitati solo ospiti maschili, questo non significa che le donne manchino dal repertorio bordellesco, a partire dalla giovane e bella Eleonora amore del protagonista fino alla ex prostituta Rosa, senza dimenticare la fantasmatica madre morta. Quest’ultima è una notazione autobiografica di Vichi, la cui mamma Paola Cannas aveva scritto, come quella del personaggio, alcune poesie mai pubblicate che poi il figlio ha portato a un editore (Guanda ne ha tratto da poco il volume Respiri e sospiri).
Quanto al passato, è da qui che muove Non tutto è perduto, perché nel 1947 il neo commissario Bordelli non era riuscito a risolvere il suo primo caso, un ragazzo ucciso si supponeva per vendetta partigiana. Arrivato alla pensione, il protagonista decide di tornare a indagare, così da uscire dalla questura con un curriculum immacolato.
In più, l’uomo è curioso, ama incontrare storie e persone su e giù lungo i colli fiorentini, che molta parte hanno nella costruzione d’ambiente di Vichi. Come – sempre – una parte hanno le opere altrui. Omaggi ad autori che si suppone l’autore ami. In questo caso, Alba de Céspedes, le cui pagine il pensionato Franco centellina per timore di finirle troppo presto. Perché chiudere un libro per lui “era come smettere di mangiare quando si aveva una gran fame, e in questo caso la fame di pagine non finiva mai”.
Per rassicurare gli affamati di Bordelli: sembra proprio che anche loro non resteranno a digiuno.