Il sangue della Casbah

Tra il novembre 1954 e il marzo 1962 si svolge la guerra coloniale di maggiore impatto in Occidente.

Quella che i Francesi chiamano Indocina è un altro loro territorio che proprio nel ’54 diviene indipendente; l’anno in cui, cioè, inizia un’altra lotta d’indipendenza dal giogo imperialista francese: quella del popolo algerino.

Da un lato gli indipendentisti del FLN – Front de libération national che arriva a schierare 30.000 attivisti; dall’altro le forze regolari francesi, 400.000 uomini a rotazione fra metà anni Cinquanta e primi Sessanta. A questi si devono aggiungere 3.000 membri dell’organizzazione terroristica OAS, Organisation de l’Armée Secrète che si macchia di decine di attentati e assassinii nell’inutile tentativo di fermare il processo d’indipendenza.

Le perdite sono ancora oggi discusse: dal lato dei coloni si oscilla fra 450.000 e 1.500.000. Per gli occupanti si parla di 60.000-180.000, fra soldati francesi e algerini lealisti; oltre a 1 milione di coloni costretti nel 1962 a trasferirsi nella madrepatria.

Tre serie di avvenimenti segnano le coscienze europee di quel tempo: gli attentati OAS in Francia e in Algeria, quelli compiuti dal FLN, il mancato colpo di stato (il “Putsch di Algeri” del ’61) organizzato dai cosiddetti “generali felloni” Salan e Jouhaud.

Sul piano culturale fanno epoca l’uscita del film di Gillo Pontecorvo, La battaglia di Algeri, nel ’66; e otto anni prima la pubblicazione di un reportage, breve quanto esplosivo: La question (in italiano La tortura, Einaudi, 2022) a opera del giornalista e attivista FLN Henri Alleg.

Nel caso Alleg tre risultano gli elementi di maggior scandalo: l’autore è francese, comunista, mentre l’introduzione è firmata da Jean-Paul Sartre.

Nel giro di poche settimane lo scritto arriva a vendere 70.000 copie in mezza Europa. Si susseguono le traduzioni; quella italiana esce per i tipi di Einaudi.

Il direttore del quotidiano Alger Républicain Henri Salem (Alleg è uno pseudonimo) viene arrestato nel giugno 1957, dopo un anno di clandestinità.  Resta nelle mani dei parà della 10^ divisione per un mese nella casa prigione di El-Biar, sobborgo della capitale algerina. Una volta trasferito in un campo di prigionia, quindi nella prigione civile di Algeri, ha modo di trascrivere le esperienze vissute.

Il titolo originale suona particolarmente sinistro nella sua apparenza di vocabolo teorico e politico: La question, letteralmente la domanda, è il termine con cui il sistema giudiziario francese chiama l’uso della tortura. Si tratta delle lunghe, estenuanti, sistematiche sedute cui viene sottoposto il giornalista trentaseienne: si passa dall’elettroshock al waterboarding per simulare l’annegamento, dall’uso di funi e corde per tenerlo sospeso in aria e percuoterlo ripetutamente, alle bruciature, dagli elettrodi collegati a testicoli e bocca fino alle iniezioni di sodio barbiturato (Penthotal) nell’illusione che finalmente confessi nomi e indirizzi. Ma Alleg risulta irremovibile arrivando a mettere in crisi il sistema della tortura gestito dai colonizzatori in divisa.

Malgrado ripetuti tentativi istituzionali di porre sotto sequestro il pamphlet di Alleg/Salem si arriva a venderne 162.000 copie nel solo 1958, scatenando un vero e proprio caso in tutto il mondo.

Parte del merito è dovuto allo stile dell’autore: lucido, diretto, privo di sentimentalismi. I torturatori parlano raramente: in genere si esprimono con i mezzi per dilaniare il corpo dei ribelli.

Proprio il caso del direttore di Alger Républicain, contro cui ci si accanisce con particolare odio. La sua cittadinanza francese suona come una beffa sulla faccia incarognita dei parà, amplificata dall’ostinazione di Alleg nel rifiuto di confessare. I discorsi degli aguzzini si limitano a qualche insulto, minacce alla famiglia, annunci di morte imminente del testardo prigioniero.

Di particolare significato risuona la dichiarazione di un ufficiale che identifica la divisione cui appartiene come reincarnazione dei torturatori nazisti di quindici anni prima:

Noi siamo la Gestapo; la conoscevi la Gestapo?”.

La questione coloniale assume così il volto ambiguo di una Francia memore del collaborazionismo, popolata di resistenti come di servi dei tedeschi. Soprattutto di milioni di piccolo borghesi egoisti che voltano la faccia dall’altra parte. Il medesimo atteggiamento si ripete dal 1954.

Ma un breve libro, secco, lucido nel suo urlo silenzioso rende impossibile continuare a far finta di nulla.

Come scrive Sartre nella vibrante introduzione, la tortura praticata a Vichy nel ’43 e quella di Algeri nel ’57 rappresentano la medesima vergogna. È il caso a decidere chi trasformare in vittima, chi in carnefice. Entrambi, nella pratica della tortura, si contendono il titolo di uomo, scrive l’autore de La nausea.

Una voce come quella di Henri Alleg contribuirà in modo decisivo a giungere nel 1962 agli accordi di pace di Evian. Dopo oltre 300.000 cadaveri sull’altare dell’orgoglio colonialista di Francia.