Andrea Fazioli parla del suo investigatore Elia Contini

Linee ferroviarie che portano migliaia di lavoratori avanti e indietro tra Italia e Svizzera, il quartiere di Lugano Nord e l’immancabile bosco di Corvesco.

Questo è lo scenario in cui si svolge la nuova indagine di Elia Contini, l’investigatore privato uscito dalla penna di Andrea Fazioli, che con Le strade oscure regala a Contini 20 anni di vita tra le pagine dei suoi gialli. La prima avventura continiana infatti è stata terminata nel 2002 dallo scrittore bellinzonese, per poi essere pubblicata nel 2005.

Le strade oscure, edito da Guanda nel 2022, ha vinto il premio Ceresio in giallo nel maggio 2023, un riconoscimento assegnato tra ben 500 partecipanti.

La storia, che fa parte della collana Guanda noir, vede l’investigatore ticinese interpellato dal frontaliere Ernesto Magni, insegnante di scienze che ha perso il lavoro e ora custode di uno stabile a Molino Nuovo, per il furto di un portafoglio, ma con il susseguirsi degli eventi i reati diventano sempre più gravi. Tra possibili truffe e animali fantastici, che lo stesso Ernesto descrive in lunghe lettere alla figlia Vera, toccherà a Contini sciogliere l’intricato garbuglio che lega crimini apparentemente indipendenti tra loro.

Andrea Fazioli

Oltre ad essere un appassionante giallo, il romanzo tocca diversi temi d’attualità e si sofferma sulla psicologia e sul vissuto dei personaggi, tratteggiando il quadro di molti tipi umani in cui i lettori si possono riconoscere. L’autore Andrea Fazioli ci racconta qualcosa in più sulla nuova avventura dell’investigatore ticinese.

Con Le strade oscure le indagini di Elia Contini compiono 20 anni. Può presentarci questo personaggio e cosa ha rappresentato per lei nel suo percorso letterario?

Quando creai Contini era all’università, avevo poco più di vent’anni. Nei miei primi scritti Contini era il tipico investigatore di un poliziesco, visto con gli occhi di un ragazzo. Con il tempo l’ho reso più reale, vero, informandomi su come vive un investigatore, anche se Contini è di un genere un po’ particolare. Infatti ha fallito due o tre lavori, gli basterebbe semplicemente vivere nel bosco, ma si è ritrovato a fare questo mestiere, che svolge in modo bizzarro. Si occupa di piccole cose, come ritrovare animali smarriti o sorvegliare adolescenti irrequieti. Alcune caratteristiche iniziali di Contini si sono mantenute, ad esempio vive sempre nel bosco e lavora a Lugano. Il fatto che abiti in montagna e lavori in città parla del mio modo di essere – in questo io e l’investigatore ci somigliamo – con una parte più contemplativa ispirata dalle montagne e una più sociale e comunicativa legata ai lavori che faccio, ma è indicativo anche delle caratteristiche del territorio del Canton Ticino. Anche il personaggio dell’eremita Giona è una costante nelle avventure continiane ed è ispirato a un personaggio vero.  Giona ha uno sguardo più acuto nel capire i meccanismi profondi della realtà: a volte bisogna allontanarsi per  comprendere le cose e tacere per dire le cose giuste. Questo è un aspetto che mi ha accompagnato nella mia carriera di scrittore.

L’investigatore ticinese incontra molti tipi umani nel corso delle sue indagini, dalla classica signora che porta a spasso il cane e raccoglie i pettegolezzi di tutta la strada ai pensionati al bar che tengono tutto sotto controllo. Conoscere i tipi umani è una capacità che hanno in comune investigatori e scrittori?

Si, ma in maniera diversa. Scrittore e investigatore sono professioni che presuppongono una conoscenza della natura umana. Questa conoscenza per lo scrittore è essenziale per arrivare al cuore del personaggio e riuscire a condividere l’intimità di un personaggio inventato. George Simenon diceva che si deve arrivare all’”uomo tutto nudo”: è l’operazione di svelamento del mistero che è uguale per l’investigatore e per lo scrittore. Io scrivo non tanto per svelare il mistero, ma per approfondirlo. Quando vado a fondo di un personaggio si generano domande, allo stesso modo quando si risolve un caso si arriva a una verità che, a sua volta, genera domande, ad esempio sulla natura della giustizia o sulle motivazioni del male. Accadono anche cose buone: alcuni personaggi sono toccati dalla grazia e dove non ti aspetti arriva il bene. Il grande tema del romanzo poliziesco è il rapporto tra il bene e il male, così come l’idea di giustizia e come viene applicata nella società.

La storia prende il via con una violenza carnale. Il libro vuole dar voce alle donne che hanno subito violenze?

Sì, in un certo senso. Il libro è narrato in terza persona e presenta delle visioni soggettive. Ad esempio di Alice, la ragazza vittima di violenza, o di Vera, la figlia di Ernesto, senza dimenticare Francesca, la fidanzata di Contini. Queste figure femminili rappresentano la capacità di resistenza al male, compiuta volendo tenacemente sperare nelle cose buone della propria vita. Questo avviene attraverso un profondo e difficile lavoro su di sé, nel caso di Vera, che è una bambina, attraverso gli animali fantastici. Il mio è un tentativo di dar voce alla sofferenza, ma anche al coraggio di attingere alla vitalità rimasta dopo aver subito il male. È una forza che si esprime nella fragilità.

“Qual è il gesto più naturale? La gentilezza o la brutalità?” Questo interrogativo introduce il tormento interiore del personaggio di Ernesto. Cosa voleva raccontare della possibilità degli esseri umani di assecondare o meno le proprie zone d’ombra?

Questo è uno dei punti chiave del romanzo, perché riflette il discorso sul male come inevitabile gesto umano da cui nessuno trova scampo. Anche quando non è compiuto, c’è la capacità in noi di immaginarlo, ma c’è anche la possibilità della grazia. Gentilezza e brutalità sono componenti che abitano in noi e tra cui ogni essere umano sceglie. Nessuno è al riparo dalla brutalità, ma nemmeno dalla gentilezza.

Tra le pagine spuntano continuamente animali fantastici, grazie alla passione che Ernesto condivide con la figlia, fino a comporre un vero e proprio bestiario immaginario. In che modo questi animali sono funzionali alla storia?

In effetti non lo sono alla storia, la loro ricchezza è proprio questa. Oltre a scrivere noir, scrivo anche prose poetiche, che non ho ancora pubblicato. Come inizio ho pensato di incrociare il romanzo noir con la prosa poetica, per fare qualcosa di originale nel genere poliziesco, recuperando testi scritti molto tempo fa sugli animali immaginari. La mia prima figlia aveva tredici anni, come Vera, quando ho scritto Le strade oscure e sicuramente il racconto di animali immaginari è sempre stato presente con le mie figlie. Ho inserito queste prose poetiche senza che avessero a che fare con la trama, per creare risonanze profonde e legami con stati d’animo di Ernesto e di altri personaggi. Le prose lette nel contesto del romanzo approfondiscono il lato psicologico e immaginativo della storia e sta al lettore trovare connessioni. Ho messo anche un indice degli animali immaginari e volendo si può leggere solo quelli! In relazione alla storia, gli animali immaginari fanno parte del legame tra Ernesto e Vera, che riescono a comunicare con l’espediente della zoologia immaginaria. Questi animali permettono a padre e figlia di trovare punti di contatto profondo, difficili da trovare in maniera diretta. Creare ponti è una delle ragioni per cui scrivo storie e romanzi.

Elia Contini è appassionato di volpi e in questo romanzo va a caccia di quella che sembra una chimera, la volpe nera. Cosa rappresenta questo abitante del bosco nella costruzione del personaggio Contini?

Le volpi rappresentano qualcosa di importante per Contini e sono presenti dall’inizio delle sue avventure. Per me da bambino rappresentavano il bosco e il mistero. La volpe arriva vicino alle case, ma conserva la sua elusività e lontananza. Per Contini la volpe è un modo di accedere a una parte oscura dell’esistenza, infatti seguire la vita segreta del bosco è un modo di accedere alla parte misteriosa e profonda della vita, quella parte costitutiva che contiene domande come chi siamo e cosa ci facciamo qui. Per Contini il rapporto col mistero è cercare la volpe nera: la sente vicina ma non riesce a comprenderla fino in fondo. Per me la lettura e la scrittura sono tra gli approcci per affrontare le domande importanti della vita.

In questo romanzo si apre una finestra sull’attualità: il tema dei frontalieri in una zona di confine, con molti dettagli sulla vita di chi fa avanti e indietro tra Italia e Svizzera. Per scrivere queste pagine è salito sui treni dei frontalieri?

Sì, l’idea originale del romanzo era di ambientarlo in questa piccola città mobile che sono i treni dei frontalieri. In Ticino ci sono circa 250mila lavoratori e di questi 80mila fanno avanti e indietro dall’Italia. Attorno alla frontiera c’è sempre fascino e fermento, ma anche possibilità di truffa. Quando si descrive un territorio è inevitabile parlare anche degli aspetti sociali e per farlo ho parlato con i frontalieri che conosco. La storia è completamente inventata, ma espone problematiche sociali autentiche. I frontalieri sono l’occasione di uno scambio culturale e io stesso faccio il frontaliere al contrario, tenendo dei laboratori di scrittura in Italia.

Le strade oscure ha vinto il premio “Ceresio in giallo” 2023 ed è stato candidato al premio Scarbanenco, al Premio Tolfa gialli e noir ed è tra finalisti del Premio Giallo Svizzero, non ancora assegnato. Cosa significano per lei questi riconoscimenti e perché sono importanti i premi letterari?

Le strade oscure è stato tra i cinque finalisti del Premio Scerbanenco 2022 e sono contento perché si tratta di un premio importante e questo è un poliziesco anomalo, da cui spuntano animali immaginari. L’importanza dei premi letterari è che il romanzo viene letto e questo è il riconoscimento di un lavoro fatto. Il lettore attento è raro ed è bello confrontarsi proprio in occasione di questi premi. In Svizzera, il libro è tra i finalisti del Premio Giallo Svizzero, un premio multilingue. Sono contento perché è la prima volta che arrivo in finale e perché è un premio che non si limita alla realtà italofona e ha una giuria multilingue. Partecipare è per me un’occasione di scambio culturale, oltre che di incontro.