Silvio Orlando: “Non dite ai ragazzi di inseguire i loro sogni”

Là dove commedia e tragedia si incrociano, lì si incontra Silvio Orlando. Che con sorriso sornione riesce a ipotizzare i più tragici futuri e a farsi una risata.

Lo aspetta una visita medica, niente di che ma a 66 anni da poco compiuti si entra in una fase di “paranoia perenne, bisogna essere subito pronti a beccare in tempo ogni segnale, altrimenti rischi che ti dicano: se venivi un quarto d’ora fa eri ancora vivo, adesso purtroppo sei condannato”.

La compagna di vita e di lavoro, Maria Laura Rondanini, di otto anni più giovane, poi lo spinge a fare tutti i controlli possibili. D’altra parte, le donne sono più attente e poi “vivono quei 5-6 anni più degli uomini, il che va bene: se non ci fossero loro, le vedove militanti che seguono ogni spettacolo, il teatro sarebbe molto più vuoto“.

A Spoleto, al Festival dei Due mondi in luglio, il teatro Caio Melisso era invece pieno. Spettatori (e soprattutto spettatrici) erano accorsi a vedere il nuovo spettacolo che Orlando interpreta e di cui è produttore con il suo Cardellino.

Ciarlatani, che nei prossimi mesi sarà in tournée e arriverà all’Argentina di Roma, è scritto e diretto dallo spagnolo Pablo Remón.

La locandina dello spettacolo “Ciarlatani”

In scena, Blu Yoshimi, la bambina di Caos calmo che con Orlando ha lavorato anche nel Sol dell’avvenire, Francesco Brandi, nipote di Silvio e anche lui nel cast di Moretti, e Francesca Botta.

Semplificando, la storia della giovane Anna che vuol diventare attrice per compiacere il padre regista, e di Diego, regista popolare ma insoddisfatto, di storie che si intrecciano dentro e fuori il mondo dello spettacolo.

Un lavoro parodistico, ma mi spiacerebbe che prevalesse l’aspetto ridanciano e fosse vissuto solo come la satira biografica di un’attrice alla ricerca di se stessa, o di un regista in crisi. Mentre credo sia un pretesto per parlare un po’ dei disagi di tutti, in particolare quelli della generazione di Anna, cioè Blu. Era quello il tentativo, a scapito della mia presenza e centralità“.

Perché proprio Blu Yoshimi, che in teatro ha lavorato molto poco?

È una debuttante, quando aveva 14 anni è stata mia figlia nel film Un Natale coi fiocchi. Qui non volevamo un’attrice troppo strutturata, ci piaceva che il suo stare in scena si costruisse sotto gli occhi dello spettatore. Blu è arrivata all’ultimo momento, abbiamo visionato attrici di tante età diverse, poi abbiamo trovato lei, che ha 26 anni e un candore forte e preoccupante. Spero tramite lei di riuscire a parlare alla sua generazione.

Lei ha scoperto questo testo grazie a un amico che lo interpretava in Spagna, l’attore Javier Cámara e ha deciso di produrlo. Perché non anche di dirigerlo?

Ho letto il testo e ci ho trovato una grande capacità di mettere insieme straziante e comico, alto e basso. È il teatro che piace a me: intrattenimento, ma con un senso profondo. Io però non mi sento regista, c’è sempre un po’ di insicurezza. Anche se la cosa di maggiore successo che ho fatto negli ultimi anni, La vita davanti a sé, l’ho diretta io.

Nella prossima stagione, La vita davanti a sé sarà in scena per un mese al Franco Parenti di Milano: un tempo lunghissimo per uno spettacolo teatrale.

Con Andrée Ruth Shammah scommettiamo sul fatto che in realtà il pubblico non finisce. Vogliamo rivolgerci un po’ a tutti, e per farlo ci vuole tempo: è la lezione di Strehler, un teatro di grande spessore culturale ma anche di grande impatto popolare. Certo oggi è più difficile, la gente ha in testa un blackout creativo, sono talmente tante le immagini che vengono ammannite che si crea una sorta di frustrazione, non ci sta più niente nel cervello dello spettatore.

Il pieno di immagini è soprattutto quello offerto dalle piattaforme, ma anche lei ha lavorato in una serie: era il cardinale Voiello di The Young Pope, diretto da Paolo Sorrentino.

Voiello è diventato talmente popolare che un quotidiano cattolico quando il Napoli ha vinto lo scudetto mi aveva chiesto un pezzo in prima pagina firmato dal cardinale.

E adesso con Sorrentino torna a lavorare per il cinema, nel nuovo film Partenope.

Una piccola parte di cui non posso dire assolutamente niente. Una volta che avevo aperto bocca mi è arrivato a casa un decreto ingiuntivo…

Non dice niente nemmeno dell’Ultimo ferragosto, il sequel di Ferie d’agosto che Paolo Virzì ha appena girato?

Sono passati quasi trent’anni e io sono moribondo, così torniamo sull’isola di Ventotene, per una riconciliazione con me stesso, un’ultima missione per far parlare del sogno europeo nato proprio qui, con il manifesto di Altiero Spinelli. Invece, mi ritroverò in un delirio contemporaneo di follower, e anche la mia famiglia stavolta è stata contaminata da quest’ansia di social e voglia di mostrarsi. Alla fine, c’è un’infelicità che prende un po’ tutti.

La nostra vita non è migliorata, rispetto alle prime Ferie d’agosto?

Insomma… Il successo è diventato un obbligo sociale, c’è una sorta di prostituzione personale molto forte nel volersi mostrare a tutti i costi, anche senza capire quello che stai facendo. La dimensione individuale è sempre più marcata, e l’individualismo porta a varie forme di autolesionismo. Nel senso che siamo diventati i nostri negrieri, sfruttatori di noi stessi, e alla fine se non riusciamo ad avere successo risulta che è tutta colpa nostra.

Tornando alla Vita davanti a sé: lei come la immaginava quando ha iniziato a recitare?

Negli Anni Ottanta, a Milano, le possibilità erano tutte lì a portata di mano, c’era la televisione, l’intrattenimento più sfrenato della Fininvest, con cui ho lavorato diverse stagioni, da Emilio a I vicini di casa. C’era però anche il rischio di perdersi, io per fortuna sono riuscito a trovare qualcosa che mi corrispondesse di più, anche grazie al cinema che è ripartito con cose importanti. Già allora capivo che il successo può avere tante sfaccettature: sei tu che devi caricarlo di significato e dargli un senso per poterti riempire la vita.

Non basta essere famosi, e questo lo si capisce anche in Ciarlatani.

Nello spettacolo, la ragazza non sa come affrontare il futuro, guarda avanti con angoscia, mentre lui guarda indietro e si rende conto di aver sprecato un po’ la vita con cose anche di successo.

Lei comunque successo ne ha avuto. Sky non le ha proposto di partecipare alla nuova stagione di Call my agent?

No, si vede che non ho un successo nazional-popolare così esteso. Ma sono soddisfatto di essere riuscito a fare ciò che avevo in mente da ragazzo, senza mai smettere di cercare.

Qualcuno quindi potrebbe dire che ha realizzato i suoi sogni.

Attenzione: i sogni possono fare molto male. Oggi si lanciano slogan come “Inseguite i vostri sogni”, però è anche pericoloso per un ragazzo che si sta formando: quando si sogna si è passivi, e invece le cose accadono quando ti svegli e inizi a lavorare, a fare. Magari vivi in una bolla in cui immagini quella cosa che ti piace tanto e vuoi averla, ma ottenerla non è automatico: bisogna lavorare, lavorare. Bisogna, come dice lo spettacolo, imparare a fare i conti anche con i nostri nodi da sciogliere. È faticoso, se però non lo fai, alla fine vivi sempre a metà.

L’immagine dei nodi fa pensare anche a una rete.

La soluzione è fare rete, come si vede nel finale di Ciarlatani, nel bar, un posto caldo accogliente dove ci si incontra e ci si ascolta.

E l’altra Rete, quella virtuale?

Non funziona altrettanto. È vicinissima e lontanissima insieme, sembra che tutto sia possibile e realizzabile, i ragazzi entrano nelle case dei loro idoli. Ma non è realtà. Si crea un mondo basato sull’invidia, e l’invidia genera rabbia e si esprime nelle forme che sappiamo. Come fai a convincere un ragazzo delle banlieue che non deve avere l’iPad o le scarpe firmate quando dalla mattina lo bombardi dicendo che se non ha quella cosa lì non esiste, è invisibile?

In tutto questo, qual è il compito dei “ciarlatani” come lei?

Lo scudetto in teatro è fatto di tante cose, del pubblico come della critica. A me non basta arrivare a 100 persone, non mi interessano le oligarchie culturali. Cerco di togliere al teatro quel linguaggio paludato, il birignao che si rinnova in continuazione e non comunica più niente. Il progetto è portare in sala un nuovo pubblico, non solo over 50 di una certa classe. Sono convinto che oggi arriviamo solo a un 40% del pubblico potenziale.

Adesso anche Nanni Moretti debutta come regista teatrale: con lui ha lavorato spesso, lo farà anche stavolta?

No, dirige due atti unici della Ginzburg, e protagoniste sono le donne. Sono felice comunque di aver partecipato al Sol dell’avvenire: ci volevo essere, al di là del mio ruolo, perché Nanni aveva detto che sarebbe stata una grande festa di famiglia, aveva voglia di ritrovare le persone e un certo modo di fare cinema che aveva perso per strada. Quindi era importante esserci.