La lezione che ci ha lasciato Martin Amis

Più che “vivere per raccontarla“, come avrebbe suggerito Gabriel García Márquez, Martin Amis corregge il tiro e consiglia: vivere per saperla raccontare.

Perché La storia da dentro – Come scrivere (Einaudi 2023, traduzione di Gaspare Bona, 659 pp.), lontano da voler essere un semplice memoir che racchiude particolari da Novella 2000, con biografie vicine e distanti, è la cronaca e l’esercizio di un apprendistato per far viaggiare parallelamente letteratura e vita: in poche parole, l’educazione alla scrittura.

Che non nasce solo dalla provvidenza di formarsi nell’aristocrazia intellettuale inglese – figlio del romanziere Kingsley Amis, cresciuto insieme alla matrigna e scrittrice Elizabeth Jane Howard, amici del “poeta dall’Inferno”, il professore di Hull, Philip Larkin – ma soprattutto dall’impadronirsi della tensione costante tra ciò che accade nel mondo e la percezione interiore. Meglio se supportato da un Valpolicella in compagnia di Christopher Hitchens che da un Parfait Amour, “un liquore disgustosamente zuccheroso“.

Dalla vita alla pagina

Imparare a scrivere non può prescindere dal saper vivere, e non è che Martin Amis ne faccia una questione esclusivamente edonistica: capire il carattere delle persone, riconoscere l’erotismo dall’innamoramento, così come dall’ossessione e dalle “carestie sessuali”, viaggiare, ordinare una colazione a Saint-Malo, discutere della virilità ebraica custodita da Israele con Saul Bellow, rifuggire dalle correnti come La Nuova Semplicità.

Se si apprende a distinguere il meglio, dal cibo alle persone, sarà più semplice scegliere le parole giuste, argomentare le proprie opinioni con gli esempi adatti. Scrivere i romanzi migliori mentre l’Occidente decide di soccombere.

E per illustrare il lungo percorso, Amis costruisce un l-ibrido con scaffalature differenti. Lasciando che un lettore, molto simile al sé stesso da giovane, si accomodi idealmente nel proprio salotto, lo scrittore inizia a mischiare episodi della vita, parabole, che possono essere soliloqui o chiacchierate – “i Paesi sono come gli uomini” – enunciazioni di regole – ad esempio: tre cose che la letteratura generalmente non dovrebbe trattare – collegamenti con altri testi, consigli, note a margine.

Un libro selvaggio

Ma surfando da un capitolo all’altro, ci ritrova facilmente armati di matita e blocknotes per annotare pensieri personali, prossime letture, citazioni. Insomma La storia da dentro potrebbe essere la dimostrazione che il libro selvaggio raccontato da Juan Villoro esista davvero: un libro inesauribile, un atto d’amore nei confronti di chi non assisterà mai alle presentazioni di Amis, una guida alla sua opera, un presente che tenta di lasciare al futuro la miglior angolazione per inquadrare il passato.

Proprio per questo ad Amis tocca frantumarsi come identità e funzione all’interno del l-ibrido. Al lettore parla attraverso le pagine lo scrittore, il narratore onnisciente e il personaggio.

Come in una canzone di Paris Combo, la tripartizione restituisce allo stesso tempo visione dell’universo, separazione e neutralità per raccontarsi, specialmente al passato, congiunzioni e salti, “perché se il mondo assomiglia a quello che abbiamo in testa non ci vuole molto a capire perché tutto ciò non risulti molto distinto“.

Il modo migliore di occupare il tempo

Occorre fare chiarezza, soprattutto quando si ha che fare con la morte, la grande protagonista del libro, che appare in tutte le sue scale cromatiche. Dall’Olocausto, accompagnato dalle letture di France and the Nazis, al negazionismo, passando da Hitchens a Robert Faurisson, dall’undici settembre alla guerra in Iraq, dalla morte dello stesso amato Hitchens – per tumore all’esofago, uguale sorte che è stata riservata ad Amis – alla demenza di Saul Bellow.

Come in un duello per sottrarre quanta più vita possibile, la scrittura si oppone all’oblio, all’anzianità, all’assenza. “La vecchiaia uccide il viaggio” ripete in un’intervista lo scrittore Victor Sawdon Pritchett, e finché è possibile annotare, esporsi e raccontare, vale la pena lottare.

Ciò che risulta chiaro consumando Storia da dentro è la consapevolezza che l’esistenza possa essere spesa in modo eccezionale e che insieme sia insopportabilmente breve. Che occupare il tempo parlando di o con Salman Rushdie, Vladimir Nabokov, Norman Mailer sia l’unico motivo possibile, da scrittore, di passare a una forma di soft life writing. Che gli anni migliori non vanno sprecati leggendo libri modesti.

E che scrivendo presto o tardi si imparerà anche a vivere meglio. Forse questa è la parte più difficile.