La pace suona tra i mandorli

Esiste una terra dove la pace spira attraverso i suoni, muove fronde antiche di oleandri, ulivi. Scuote i mandorli dolcemente, fra il promontorio di pietra e la mano carezzevole di Eracle. Zefiro la guarda rapito, manda il suo refolo a riportargli le danze. Fra Leucopetra e Capo Spartivento, si muove placido il passo dei greci, in una terra senza tempo, immersa nel futuro arcaico, con una lingua che non conosce il futuro nei verbi, perché tutto è accaduto, e un popolo d’Avvento attende solo che si colga la saggezza, che la natura torni a informare il sentiero dell’uomo. Esiste una cultura che non è contro un’altra, una stirpe semplice che non ha mai portato guerra a nessuno. Sta a due passi da tutto, nel cuore dell’Occidente, continua a suonare una musica che appartiene al Creato: basta l’udito a coglierne il valore, l’utilità. C’è, fra l’Agrifà e l’Ammendolea, cullata dall’Aspromonte, la soluzione agli affanni. Servirebbe poco per capirlo. L’ascolto di un poeta immenso, Salvino Nucera. La prosa di un archivio vivente, Giuseppe Mario Tripodi. Gli intrecci sonori di Valentino Santagati che ridanno vita a una cultura rurale che si affidava all’udito più della vista, come via più facile per l’accesso al soprannaturale: presenze divine, anime trasmigrate, streghe e demoni in una dimensione sensibile. Un universo sonoro, che i pastori e i contadini, immersi in una concezione panica della natura, riuscivano a cogliere, a registrare, e restituire poi un mondo dominato dall’armonia.

Gli intrecci sonori sono la riproduzione esatta dell’interazione profonda tra i versi degli animali, la musica degli elementi naturali, le sonorità vocali umane. Valentino sceglie i timbri, sentieri ai cui lati si alzano armacie perfette, pietra dopo pietra si costruiscono strumenti, se ne affina l’accordatura: la zampogna e il doppio flauto di canna ritornano alla dimensione della magia, sfuggono alla finzione a cui sono stati costretti dalle mode etniche. Il paesaggio sonoro si materializza nella sua interezza, si sottrae ai rumori molesti di una modernità imposta. Sparisce il sottofondo claustrofobico della civiltà occidentale, l’industrialismo, il suo post. I B52 smettono di sganciare bombe, l’acustica delirante delle esplosioni che annichiliscono i vagiti di una vita all’angolo, declinano, si spengono. La cultura musicale, il suo meccanismo orale, dell’estremo meridione peninsulare, producono una bellezza spropositata, solenne. L’udito apre una vista vera agli occhi; la quotidianità a cui si è costretti emerge in tutta la propria tristezza. Valentino Santagati ha tutta la straordinaria dignità delle persone che scelgono la semplicità, non essendo semplici; è quello che fa in ogni sfumatura della propria esistenza; non fa quello che vorrebbe essere. La parte migliore dell’umanità è quella che conserva una propria autenticità: le tracce di un ecosistema acustico in Calabria, attraverso la sua cura ci dimostrano che l’autenticità è a portata di mano. Ciascuno di noi potrebbe riprendersela. Gli intrecci sono sirene, un messaggio irresistibile; Valentino ha colto la voce di Mana Gi. Ha riprodotto il suo appello accorato. Tutto è ancora possibile, ed è ascoltabile, dentro un intreccio che un miracolo di suoni.