La quarta mafia italiana che quasi nessuno conosce

Rosa di Fiore era bella come un fiore raro. Figlia di una insegnante, a trent’anni aveva già vissuto due vite: diciottenne era andata in sposa al boss mafioso del posto, Pietro Tarantino, e gli aveva dato tre figli. Ma poi, quando lui era finito in galera, Rosa aveva perso la testa per il rampollo della famiglia rivale ed era scappata con lui, dando inizio a una nuova guerra di mafia un po’ come fece nell’Iliade Elena di Troia.

Non stiamo parlando della Sicilia o della Campania, e nemmeno della Calabria. Rosa di Fiore era una figlia del Gargano. La sua storia è ricostruita, insieme a tante altre, nel libro di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, Ti mangio il cuore (Feltrinelli, 213 pag., 17 euro), al quale è ispirato l’omonimo film di Pippo Mezzapesa, con protagonista la cantante Elodie, che nelle prime tre settimane di programmazione ha fatto registrare 478mila euro, di cui 258mila nel primo weekend.

Un frame del film con Elodie, Lidia Vitale e Letizia Cartolaro @Sara Sabatino

Uscito nel 2019, il libro-inchiesta ricostruisce la quarta mafia italiana, potente e feroce, che agisce circondata dal silenzio più assoluto in Puglia, nelle terre che si estendono dal Gargano a San Severo, da Manfredonia fino a Cerignola.

A Foggia la chiamano la “società”, sul promontorio del Gargano è nota come “la mafia dei montanari”: i suoi tentacoli sono ormai estesi in un enorme giro d’affari internazionale. Dagli Anni Settanta a oggi ha fatto registrare oltre 400 omicidi, l’ottanta per cento dei quali è ancora irrisolto. Una lunga scia di sangue che non ha risparmiato nemmeno i bambini, uccisi a sangue freddo o usati come strumento di vendetta.

Questa è una storia vera che, come sempre accade, non dà conto di verità definitive“, scrivono gli autori nel libro, “veri sono i fatti, i luoghi, i nomi dei protagonisti. Quanto accaduto è stato ricostruito e rielaborato in forma narrativa attraverso atti processuali, documenti ufficiali, interviste a chi è stato testimone delle vicende narrate. I dialoghi diretti, lì dove possibile e in quanto oggetto di indagini penali, corrispondono alla trascrizione di conversazioni intercettate, di verbali di interrogatori e deposizioni. Negli altri casi, sono stati ricostruiti sulla base dei ricordi di chi di quei dialoghi è stato protagonista o testimone diretto. Alcuni dei protagonisti delle vicende narrate sono stati condannati con sentenze definitive. Per altri, i procedimenti sono ancora in corso e vale ovviamente la presunzione di innocenza. Per altri ancora, vittime di fatti di sangue, i procedimenti, come prevede la legge, si sono estinti”.

Sono storie di una violenza arcaica e bestiale, dove gli uomini firmano gli omicidi sparando al volto per deturpare le vittime e cancellarne così la memoria, ne leccano il sangue, fanno sparire i corpi dandoli in pasto ai maiali. E dove le donne crescono i figli educandoli a vendicare i padri uccisi.

Pippo Mezzapesa con Michele Placido @Sara Sabatino

È quello che accade a Matteo Ciaravella, il cui nonno, un allevatore di bestiame, era stato massacrato e dato in pasto ai porci con la sua famiglia per aver rifiutato di coprire con una falsa testimonianza, in un processo per furto, un ragazzotto del paese, Giuseppe Tarantino, e i suoi quattro complici. Da quei delitti è nata una faida andata avanti per anni. Una specie di maledizione per i Tarantino e i Ciaravella, dove a un certo punto il destino introduce Rosa di Fiore, la donna bellissima con cui abbiamo iniziato questa storia.

Quando sposa Pietro Tarantino, Rosa sa quale peso dovrà portare. Conosce il rischio che avrebbero corso i suoi figli. “Ma non erano stati i bambini che aveva portato in grembo a darle il ruolo nella famiglia. Rosa non era soltanto la madre e la moglie di un Tarantino», scrivono gli autori nel libro, «era una componente importante del clan. Per la sua intelligenza, e per quella capacità di guardare oltre le cose che le riconoscevano fin da bambina”.

Ecco perché quando s’innamora di Matteo Ciaravella e scappa a vivere con lui, per la famiglia da sempre rivale dei Tarantino Rosa è come un trofeo. Ma è un amore che porta sangue e nuove tragedie e che alla fine mette la stessa Rosa, diventata ormai madre di un Ciaravella, con le spalle al muro. La donna sa che, se mai cresceranno, i suoi figli saranno destinati a uccidersi uno con l’altro. Decide di portarli via, lontano dalla Puglia, di salvarli: diventa la prima testimone di giustizia della mafia del Gargano.

Rosa di Fiore non è la protagonista del libro. La sua storia è solo una delle tante nell’abisso finora inesplorato della “società” foggiana. I veri eroi del racconto sono altri: le forze dell’ordine che da anni lottano per riportare lo Stato, le persone come i fratelli Luciani, che ogni mattina si alzano all’alba per andare a coltivare i campi, e le loro mogli che, quando i Luciani vengono uccisi perché si trovavano al posto sbagliato nel momento sbagliato, denunciano che sono stanche di vivere in un posto dove si ha paura anche solo a uscire di casa.

Eroi sono forse anche un po’ gli autori, che hanno il merito di avere portato all’attenzione mediatica una mafia che sembrava destinata a fare affari e proliferare nel silenzio. “Le dico solo che il primo aprile abbiamo trovato un deposito di armi. E le dico che il sottoscritto, che in trent’anni di polizia diciamo pure ne ha viste, è rimasto impietrito”, lamenta nel libro il questore di Foggia, Piernicola Silvis. “In un garage, perfettamente oleate e pronte all’uso, erano custodite dodici armi lunghe, tra fucili mitragliatori e kalashnikov, quattro pistole, otto silenziatori, una mitragliatrice dal ciclo di fuoco continuo con treppiede, 18mila proiettili di tutti i calibri, uno storditore elettrico, una penna pistola e due giubbotti antiproiettile. Ebbene, la circostanza ha avuto la dignità di un servizio in cronaca della “Gazzetta del Mezzogiorno”, con tutto il rispetto per la “Gazzetta”. Dico solo che, il giorno dopo, quattro pistole, quattro, sequestrate in Calabria, hanno goduto nei notiziari nazionali del titolo “Ritrovato arsenale della ’ndrangheta”. Torniamo al punto, insomma. Quello che mi sta più a cuore. Stiamo combattendo una guerra di cui nessuno sa».

Fino a ora.