Iosif Brodskij, una vita in direzione ostinata e contraria

Anticonformista, condannato per parassitismo e prigioniero per due anni ai lavori forzati. Ma niente ha impedito al poeta russo, Iosif Aleksandrovič Brodskij, prima e dopo le sentenze, di esercitare quello che ha definito il suo “dono divino“: scrivere senza partecipare all’Unione degli scrittori, contrastare il sistema censorio ed educarsi alla libertà intellettuale nell’Urss degli anni sessanta.

Convocato nel 1972 dal Kgb – come racconta Paolo Nori in I russi sono matti – Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991 (UTET, 2019) – “gli viene chiesto come mai non ha fatto domanda di andare all’estero. Brodskij risponde che lui resterebbe volentieri a Leningrado“.

Non solo perché la letteratura serve a “salvare il prossimo uomo“, ma anche per sfuggire al sigillo di vittima, mai risparmiato agli esuli in Occidente. La storia andrà diversamente dalle aspettative: prima l’Austria, poi gli Stati Uniti e infine il Premio Nobel per la letteratura nel 1987.

Eppure Brodskij non ha mai dimenticato il posto che da intellettuale si è assegnato: in Russia o in America, sempre lontano dal potere, un poeta deve contare solo sulle proprie forze.

La raccolta di poesie

Per questo, leggere i suoi versi de La ballata del piccolo rimorchiatore (illustrazioni di Igor’ Olejnikov, Adelphi Edizioni 2023, con la traduzione di Serena Vitale), prima e unica opera ad essere pubblicata ufficialmente in Unione Sovietica – sul mensile per bambini Kostër nel 1962 – risuona come un manifesto esposto, completo di programma e progetto: “DEVO RESTARE/ LI’/ DOVE DI ME HANNO BISOGNO“.

 

Anche se costretto alla fuga, Brodskij avrebbe preferito continuare a navigare nel suo porto, l’appartamento numero 28 in Litejnyj prospekt numero 24, a Leningrado, dedicandosi all’unico compito che riconosce alla letteratura: scortare le navi finché non sono pronte per solcare l’oceano o accompagnarle all’ormeggio tra le altre imbarcazioni, perché la scrittura non ha altra funzione se non quella di salvare “un nuovo venuto, dal pericolo di cadere in una vecchia trappola” – come dirà in una conferenza nel dicembre 1987 a Vienna – “o di aiutarlo a capire, se mai dovesse cadere comunque in quella trappola, che è stato colpito da una tautologia. Così sarà meno allarmato – sarà in qualche modo più libero“.

Il compito del poeta-rimorchiatore

E come nella conferenza di più di vent’anni dopo, è Anteo/ Brodskji a parlare in prima persona del lavoro instancabile di un piccolo rimorchiatore/ poeta.

Iosif Aleksandrovič Brodskij

Al contrario del gigante nella mitologia greca, la grandezza del nome non risiede nell’altezza, bensì nella possibilità di guidare i colossi, le navi che vedranno “mari in cui mai/ io getterò l’ancora“. Eppure in questa rinuncia non c’è rammarico o pentimento: “Non dovete compatirmi/ se non posso seguirvi”, perché “Qualcuno deve pur restare/ accanto a questa terra“.

È la missione di chi accetta di osservare e interpretare, raccogliere dati e metterli in ordine, disporre pensieri e anticipare le azioni, l’intellettuale inoltre non appartiene, decide di porsi nel confine sottile tra le cose, tra mare e cielo, tra mare e terra.

Quella statua di Lenin sul fiume

Così sorprende che più di trent’anni dopo, proprio un rimorchiatore da fiume, una chiatta, accompagni una statua di Lenin verso il tramonto: nel film di Theo Angelopoulos, Lo sguardo di Ulisse (1995), il confuso avvenire dei Balcani, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, è riassunto dalla sequenza della deposizione della scultura, il lento smembramento delle sue parti, al porto, per essere trasportata scomposta, supina, sconfitta dalla fretta della storia, ma ancora con il dito ad indicare la direzione giusta.

Il film “Lo sguardo di Ulisse” di Theo Angelopoulos

E l’imbarcazione, come in un requiem sul Danubio, scorta Lenin al suo funerale, facendosi carico dello smarrimento dei popoli sull’orlo dell’abisso, destinati a scoprire un mondo senza autorità ma anche senza autorevolezza.

In pace per aver assolto l’ultimo compito, il rimorchiatore Brodskij morirà un anno più tardi l’uscita del film: quello stesso potere che l’ha messo alle porte della Russia, è stato cacciato dal Cremlino.

Un nuovo regime al posto di quello vecchio

Ma a differenza di molti esuli, nonostante i ripetuti inviti a tornare in patria e la pubblicazione ufficiale della sua opera, Brodskij procrastinerà il rientro fino alla morte. Forse l’ultima previsione da intellettuale: aver capito prima degli altri che l’oppressione in Russia non fosse affatto morta, ma solo in fase di trasformazione.

Nemmeno i suoi resti rivedranno Leningrado, decidendo per una zona di confine: l’isola di San Michele a Venezia, il cimitero poco distante dal porto commerciale.

Come aveva scritto, appena ventiduenne, nella sua prima poesia, Brodskij ha girato il proprio “timone verso sud” e ha fatto “rotta verso un sogno beato”: un’isola per rimorchiatori in ritiro, ma con una vista che permette di osservare le nuove imbarcazioni di passaggio.

Perché anche in pensione, agli intellettuali è consesso ancora scortare i popoli, solo con lo sguardo. O meglio: è quello che speriamo.