La scrittura civile di Giuliana Saladino

Da giornalista, scelse la cronaca per raccontare il dolore. Come se il vuoto, la distanza e il ricordo di un amico scomparso, per Giuliana Saladino potessero essere interpretati e misurati, analizzati e pesati come gli omicidi per una sua pagina de L’Ora di Palermo. E proprio per questo che in Romanzo civile (da poco ripubblicato da Sellerio in Promemoria, pp.192, 10 euro) non può esserci spazio solo per i bilanci personali, ma per un’intelaiatura fitta, degna d’inchiesta, di relazioni ed esperienze, incontri e scontri, lunghe lettere e diari.

È il 1979 quando Lillo Roxas –  per i più stretti, Rocchi –  amico, intellettuale ed ex sindacalista, si ammala gravemente. Il suo corpo e i medici non lasciano né speranze né tempo: occorre “preparare il dopo-Roxas” e prepararsi all’ineluttabile, senza abbandonarsi all’idea che il caso possa fare sconti o indulgenze.

Per attraversare l’ultimo tratto, la tappa finale dell’esistenza, Rocchi coinvolge gli amici, Giuliana Saladino e il marito, Marcello Cimino, e pochi altri, gli stessi con cui ha condiviso lotte, cene e ragionamenti per quarant’anni, quelli con cui ha maturato un’“alta educazione alla vita”, gli unici con cui ha tessuto conversazioni e scontri ideologici.

Un lessico famigliare, lontano dal pudore borghese di Natalia Ginzburg, che conosce la gioia della provocazione, del prendersi in giro e anche dell’arrabbiarsi reciprocamente per opinioni divergenti. Una conversazione reiterata che trova definizione – come riporta fedelmente la stessa Saladino – nel verbo atturare: “secondo il vocabolario Traina edito da Rocchi in reprint, è ‘porre le cose al fuoco sì che secchino e non ardano e non cuociano’ e nel senso traslato e comune del dialetto è il rimestare e ripestare, magari fastidiosamente, un argomento. Atturavamo con passione e divertimento”.

Da questi ultimi mesi – e senza che l’ombra della morte possa interrompere il loro atturare –  Giuliana Saladino inizia a redigere un reportage tra varie fonti, soprattutto diari e lettere di Rocchi. Eppure la cronaca non riguarda semplicemente l’agonia dell’amico, ma si allarga – come già aveva scritto per la sparizione del giornalista Mauro De Mauro, dal sequestro al complesso quadro sociale della città in Una cronaca palermitana – dal personale al politico, dal passato al presente, dal corpo di Lillo Roxas alla Sicilia.

È l’agonia del centro storico di Palermo, abbandonato all’incuria dell’amministrazione e dei suoi ultimi abitanti, in una città che “cresce nervosa e cupa”; è l’agonia di un’età dell’impegno politico, che in Sicilia ha conosciuto la fede cieca nel Partito Comunista per lanciarsi nelle lotte per la riforma agraria e la rivendicazione femminista, per poi conoscere l’età dei dubbi nel marxismo e il fallimento del movimento del ’68; è anche l’agonia di una parte della vita, quella in cui ognuno è predisposto ad organizzare il tempo e a programmare il futuro, più che a interrogarsi su “quante estati abbiamo?”.

E la scrittura di Giuliana Saladino, con i suoi lunghi tornanti e descrizioni dettagliate, sa ricomporre con agilità tutti i piani che si sovrappongono per creare un unico grande mosaico, in cui non c’è spazio per la separazione tra pubblico e privato: proprio come durante le riunioni serali tra amici, la casa della scrittrice di Via Maqueda non segna, varcando il suo uscio, il confine degli argomenti di discussione, dell’ipocrisia borghese del non detto o non mostrato.

Ogni elemento della narrazione trova un suo peso specifico, dove il personale non è mai ostentazione del dolore, soltanto tassello della cronologia di un crollo, restituendo tutta l’autenticità del “civile” del titolo. Una lotta, l’ultima di Lillo Roxas con la partecipazione dei compagni, per la dignità, una testimonianza per rivendicare il diritto a restare, fino al momento finale, “soggetto primo e sovrano, non solo in sensi, ma anche in piedi”.

Romanzo civile sa essere una scrittura dolorosa e difficilmente dimenticabile, un’opera universale che travolge l’intimità, senza voyeurismo, seppur con poca speranza. Una lettura che segna “una crescita”, come annoterà la stessa autrice alla figlia Marta, in cui l’emozione trova la sua giustificazione per un coinvolgimento cui tutta la società civile dovrebbe far parte. Un libro che illustra, attraverso la sua esplorazione, “a sentirsi aquila e non verme”.