Il genere della fantascienza distopica esercita sul lettore un indubbio fascino per la sua capacità di proiettarlo dentro mondi complessi, in grado di aprire a visioni inquietanti, ma ricche di attrattiva.
Quando è di qualità, infatti, può amplificare le distorsioni della società contemporanea per rendere evidenti le conseguenze di certe scelte compiute a livello politico, sociale, economico o culturale. Se in alcuni casi rasenta quasi una sorta di saggistica in forma narrativa – pensiamo ad esempio alle descrizioni di Orwell in 1984 sul lavoro di riscrittura della storia del protagonista – ha comunque il potere di azionare continui campanelli di allarme che avvertiamo quasi in filigrana tra le pagine di questi racconti.
Non di rado questi testi nascono da una profonda conoscenza da parte degli autori di questioni presenti nella società contemporanea che avvertono come urgenti o potenzialmente pericolose o, quanto meno, problematiche. È il caso di Luca Botturi, scrittore al suo esordio come romanziere che viene da un importante percorso di ricerca e docenza sulle tematiche legate alle tecnologie digitali e all’educazione, ma anche da una profonda riflessione personale sull’uomo e sui valori della vita. Questo percorso trova uno sbocco narrativo in una trilogia di cui è appena uscito il primo volume, Outlier (Bolis Edizioni, Bergamo 2022, 158 pp., 14 euro).
La metropoli del futuro
Il luogo della vicenda è l’Urbe, una megalopoli di oltre 52 milioni di abitanti, stretti in un territorio sovraffollato e costretti a vivere parte del proprio tempo nel sottosuolo, dove hanno sede tutti i sistemi vitali della città.
Una parte della popolazione – circa un terzo – non vede mai la luce, mentre una élite di tecnici, politici, amministratori ha invece il destino opposto, ossia il privilegio di non dover scendere sotto la superficie e di poter vivere nel centro dell’agglomerato. Gli squilibri sociali e le inevitabili tensioni sono disinnescati da un efficiente sistema di indirizzamento dei desideri che permette a ciascuno di avere quello che pensa di volere.
La tecnologia ha in tutto questo un ruolo fondamentale, perché consente di analizzare le informazioni relative ai comportamenti di ogni singolo individuo. Ciascun abitante della megalopoli porta infatti impiantati nella carne e alla base del cervello una serie di chip e processori per la realtà aumentata che lo mantengono costantemente connesso con un infinito flusso di informazioni relative alle cose che vede, alle persone che incontra, ai luoghi in cui si muove, un po’ come avveniva nel film Anon del 2018. Questo, del resto, già accade anche nella nostra quotidianità, con tecnologie più rudimentali e meno pervasive che però sono in grado di monitorare, registrare e manipolare tutte le nostre abitudini di navigazione in internet e non solo.
In questo mondo così claustrofobico si muove Andres, un giovane statistico in piena ascesa che è appena stato assunto per una posizione importante nel Dipartimento per il Benessere Sociale, l’organismo deputato a controllare e indirizzare i desideri degli abitanti dell’Urbe.
Come ben ha insegnato la storia del Novecento, del resto, tutte le dittature hanno sempre aspirato a definire il bene dei propri cittadini, avanzando la pretesa di conoscere quale fosse il modo per dare a tutti la felicità e hanno perseguito questo obbiettivo con una dedizione e una convinzione tali da portare all’annientamento di milioni di persone.
Élite e paria
Oggi purtroppo le cose non sono cambiate molto. Non ci troviamo più davanti a dittature come quelle denunciate da Orwell, legate cioè a un luogo, a un territorio nazionale con una sua storia e presunti valori da diffondere. Ci confrontiamo infatti con una élite economica e una tecnologica globalizzata che, sfruttando l’assenza di leggi nei settori specifici che controlla, la debolezza degli Stati, la connivenza di molti potenti e, naturalmente, il potere dato dalla conoscenza di una tecnologia accessibile a pochi esperti, condivide un’ideologia opportunista, un delirio di onnipotenza che la fa sentire al di sopra di ogni regola.
Queste élite vivono in un mondo a parte, come una casta superiore, cui non sono applicabili limiti, etici o materiali, perché sono padrone – almeno nei loro intendimenti – di tutto il sistema. Gli altri, la quasi totalità della popolazione, è costituita da creature inferiori (in quanto non in possesso delle competenze tecnologiche), da manipolare e dirigere secondo i propri capricci. Questo è quanto stiamo vivendo e si sta concretizzando giorno per giorno. Anche nel mondo che si sta costruendo, gran parte della popolazione è costretta a vivere nel “sottosuolo” dell’Urbe e questa schiera di reietti diventa ogni giorno più numerosa.
In quest’ottica, Outlier coglie un elemento di grave fragilità della nostra società e rivela il pericolo nascosto nella corsa a ogni livello – sia quello dei politici, sia quello dei singoli – a demandare sempre più poteri e competenze a una tecnologia soffocante e pervasiva, seguendo lo sciocco luogo comune per cui la “novità” costituisce necessariamente un progresso.
Così ecco svelata la cronica fragilità dell’uomo che, quando si ritiene abbastanza forte, tende sempre a credersi Dio e aspira al dominio su tutti gli altri. Come del resto spiega Bintah, la donna a capo del Dipartimento per il Benessere Sociale, quella di voler controllare il popolo attraverso la felicità “non è un’idea nuova, ma nel passato questo principio è stato applicato in modo rudimentale, come se potesse esistere un sistema nel quale tutti desiderano la medesima cosa: il potere, la razza, il sesso, la tranquillità… non ha mai funzionato. Noi operiamo in modo più raffinato: ognuno ha il desiderio di desiderare ciò che vuole, e il Dipartimento per il Benessere Sociale lo aiuta a desiderare in maniera costruttiva, in modo che il suo desiderio possa essere soddisfatto e si integri armoniosamente nel complesso disegno dell’Urbe”.
Nel nostro mondo, il ruolo del Dipartimento per il Benessere Sociale è ricoperto dagli influencer, figure che assumono in maniera del tutto acritica le indicazioni del sistema e si impegnano per amplificarle per mero opportunismo.
Chi resiste all’omologazione
Nel romanzo di Botturi esistono tuttavia gli outlier, ossia le persone che non rientrano in nessuna tendenza addomesticabile dai sistemi informatici, uomini e donne con aspirazioni diverse, con desideri che li spingono più lontano (in questa idea si sentono delle eco della serie di romanzi Divergent di Veronica Roth). Ecco allora la necessità di fermarli, di provare a riportarli nell’alveo del controllabile attraverso il potere di condizionamento delle tecnologie. Quando questo però non è possibile, il sistema ricorre alla logica semplicistica di ogni dittatura: elimina il problema, ossia fa sparire l’outlier.
Il romanzo ci accompagna dentro i gangli di questo mondo paranoico, attraverso lo sguardo sempre più disilluso di Andres che, arrivato al Dipartimento per il Benessere Sociale nella convinzione di aver raggiunto il massimo obbiettivo della vita, si rende conto man mano dell’orrore nascosto dietro la facciata luminosa e sorridente dell’Urbe dei ricchi.
In questa sua evoluzione, è fondamentale l’impatto con la realtà vera della vita, non quella artefatta e preconfezionata dalle nuove tecnologie. Sono infatti gli incontri con le persone ad aprirgli gli occhi: il padre rivisto dopo molto tempo, Caesar, addetto alle pulizie che sembra saperla più lunga di quanto non voglia rivelare, e soprattutto Mara, una ragazza capace di vivere fuori dagli schemi dell’Urbe e di seguire desideri diversi. È una scultrice che dedica gran parte delle sue energie a un lavoro creativo dove contano soltanto i gesti, la manualità, l’arte sperimentata come forma di conoscenza, del tutto libera, nella sua prassi, dalla dipendenza dalle tecnologie. Questa scelta di vita però la rende una outlier, un pericolo per il sistema, un seme di cambiamento che inquina l’uniformità e la pretesa di controllo dell’Urbe da parte del potere.
Davanti a questa situazione, Andres è chiamato a decisioni difficili in cui possiamo leggere in filigrana qualcosa della nostra esperienza quotidiana. È l’inizio di un cammino che si svilupperà nell’arco di altri due romanzi, tappe della Trilogia dell’Urbe, un percorso dove non ci sono buoni o cattivi, ma persone più o meno consapevoli, capaci di guardare l’uomo nella sua verità o schiave di un’immagine falsa di felicità, di cui sono vittime anche gli stessi carnefici.