L’arte (musicale) di morir d’amore

La prima donna a salire su un podio e a dirigere un’orchestra è stata la francese Nadia Boulanger. Correva il 1936. La sua bacchetta condusse la London Philharmonic. Da allora molte cose sono cambiate e oggi le direttrici d’orchestra sono numerose. E qual è stata la prima compositrice? Le storie della musica indicano Ildegarda di Bingen, attiva nel XII secolo. In tal caso siamo dinanzi a una personalità poliedrica e fascinosa, tanto che Benedetto XVI l’ha proclamata dottore della Chiesa. Conosceva le erbe e le gemme, il cosmo e la filosofia, lasciò versi. E anche delle composizioni religiose.

Non possiamo scrivere la lunga e complessa storia dei rapporti tra musica e donne, le proibizioni che subirono nel corso dei secoli (per il canto in chiesa, a esempio), tuttavia non è possibile tacere una verità che si perde nei secoli: le note devono al genere femminile gran parte delle ragioni per cui furono scritte. E quando nel XVIII secolo si diffuse il teatro lirico, ci si accorse che alcune figure femminili erano indissolubilmente legate alla musica. E quest’arte a esse.

Un libro di Vincenzo Ramón Bisogni dal titolo Reinventate dal vero (Zecchini Editore, pp. 160, euro 23) ci presenta una “triade di creature da melodramma” tra le più celebri e amate: Adriana, Violetta, Butterfly. Sono state reinventate da Cilea, Verdi, Puccini. E non soltanto da loro.

Il libro si fissa dunque su tre figure, anche perché – nota l’autore – in esse “sembra compendiarsi un valido spaccato di vita femminile, rappresentativo di epoche e costumi, sentimenti profondi e superficialità esistenziali”. Tre esistenze brevi che riassumono le vicende della commedia umana alla quale siamo obbligati a partecipare.

Cominciamo a osservare da vicino le tre donne scelte da Vincenzo Ramón Bisogni: la prima è Adrienne Lecouvreur, attrice che debuttò in Georges Dandin di Molière nel 1717 e per tredici anni dominò le scene parigine. La grande passione amorosa con il maresciallo di Francia Maurizio di Sassonia, che l’abbandonò per la duchessa di Bouillon, riuscì ad alimentare la leggenda del suo avvelenamento da parte di quest’ultima. Anche se priva di vero fondamento, la storia strappò lacrime e commosse; di certo sappiamo che fu sepolta senza rito funebre (all’epoca negato agli attori) e Voltaire la commemorò con versi indimenticabili.

Cilea le dedicò l’omonimo dramma e lo scrisse agli inizi del ‘900 (la prima si diede al Lirico di Milano il 6 novembre 1903). Opera che ne fece dimenticare altre ottocentesche, sempre dedicate all’attrice, composte da Edoardo Vera, Tommaso Benvenuti o Giacomo Setaccioli. Cilea la farà morire romanticamente, dopo aver annusato violette avvelenate, riuscendo a ricostruire la vicenda con note che, per un pubblico tardo-decadente, avevano il compito di suscitare il singhiozzo. Per esempio, l’effetto avviene in due romanze di Adriana: Io son l’umile ancella (I atto), Poveri fiori (IV atto).

Violetta, ovvero La Traviata di Giuseppe Verdi, rappresentata per la prima volta nel 1853, è la storia di una cortigiana, che nasce da un romanzo, poi trasformato in dramma da Alexandre Dumas figlio. Anche in tal caso la protagonista, al secolo Marie Duplessis, muore giovanissima, consumata dalla tisi. Francesco Maria Piave, il librettista, riuscì a fare qualcosa che lentamente conquistò i cuori, trovando i termini più commoventi per ripensare una storia che fa spegnere la donna tra le braccia dell’amato (e ritrovato) Alfredo, poco dopo che si erano promessi amore eterno. Nonostante i problemi con la censura e le critiche, le correzioni, Verdi non sbagliò una nota e riuscì a trovare sempre accordi adatti per descrivere questo amore bello e infelice.

Con Madama Butterfly di Giacomo Puccini si arriva al 1904. È il dramma di una giovane giapponese che sposa un ufficiale americano di marina, Pinkerton, il quale ben presto l’abbandona. Ritorna dopo tre anni con la nuova moglie, un’americana, e Butterfly acconsente ad affidare a lei il bambino avuto da Pinkerton; poi si uccide. Puccini è insuperabile nel toccare il cuore degli ascoltatori: zone melodiche nei momenti più struggenti, ottoni che sanno suscitare le lacrime, tanto che il pubblico piange ancora durante la scena dell’abbandono.

L’opera di Vincenzo Ramón Bisogni è ricca di dettagli, ricordi, ripensamenti sulle tre figure. Chi scrive si è accontentato di cenni, anche perché in tutti i caratteri descritti c’è gran parte dell’universo femminile. Non tutto, sia chiaro. Perché le note possono ispirarsi alle donne, alle loro storie. Persino per le armonie è difficile giungere sino in fondo alle loro anime.