L’umorismo senza limiti di budget di Woody Allen

Steven Spielberg consulente per la Knesset, Meryl Streep che interpreta Arafat e Brad Pitt un diabolico scienziato che cura la calvizie nei topi. Che Woody Allen sia un fuoriclasse dei ritmi narrativi alternati alla comicità sullo schermo è un dato incontrovertibile: troppi film indimenticabili in più di mezzo secolo, troppe battute entrate nel dizionario quotidiano del mondo, troppi elenchi scritti nella speranza di emulare le cose per cui vale la pena di vivere in Manhattan.

Il suo cavallo da battaglia da sempre è la creazione con poche parole di grandi immagini portate all’estremo: non ha riserve, né con Humphrey Bogart che suggerisce di mettersi a portata di labbra con Diane Keaton, né con Marshall McLuhan che irrompe in una discussione mentre è in fila per entrare al cinema.

Quando si tratta di spostarsi dalla pellicola alle pagine, la creatività di Allen non ha limiti di produzione per il budget, utilizzo di scenografie e sartorie, così è lasciata libera di esibirsi in salti mortali e assoli degni di George Gershwin.

Zero Gravityraccolta di racconti pubblicata quet’anno da La Nave di Teseo  (140 pagg, traduzione di Alberto Pezzotta) è solo l’ultimo tentativo per Woody Allen di smarcarsi per un tempo provvisorio dal suo personaggio, universalmente riconosciuto per montatura in osso, problemi con le donne e angoscia della morte, per cedere la parola all’autore Woody Allen.

Perché la scrittura concede uno spazio e una visione diversa al confronto con l’obiettivo: panoramiche più estese rispetto agli skyline di New York, che arrivano fino in Cina o sulla cima dell’Himalaya, e zoom televisivi – che Godard avrebbe detestato – che si concentrano su sorrisi ammiccanti prima di un incontro occasionale al bancone di un night. Il tutto tratteggiato, colorato e ombreggiato da uno stile che si è costruito e ha costruito il Novecento americano: dai rudimentali esercizi negli sketch messi in scena nei resort dei monti Catskills – autentiche palestre per comici come si vede nella serie La fantastica signora Maisel di Amy Sherman-Palladino, dove crebbero talenti come Mel Brooks, Lenny Bruce e Carl Reiner – alle più raffinate sceneggiature come Zelig, in cui affronta il demone del conformismo.

Racconti che per brevità e benigna perfidia sono punture di spillo ben assestate, soprattutto dove l’autobiografia del personaggio pubblico ha ricevuto più male: Zero Gravity per la maggior parte delle sue storie orbita intorno allo spietato e assurdo palco dello show business.

Anche se terminate prima dell’ultima abiura di Hollywood, nelle narrazioni di Allen si percepisce già tutta la distanza dalle convenzioni imposte al mondo del cinema da quello della comunicazione. Un’estraneità che gli fa guadagnare la possibilità di deridere in intelligenza e indipendenza i processi mediatici scatenati da “frasi estrapolate dal contesto”, accuse di non inclusività e boicottaggi – come in Spiacente non sono ammessi animali domestici – oppure l’assoluta mancanza di senso e gusto delle produzioni cinematografiche quanto teatrali – Un ritocchino non fa male a nessuno e Nessuno batté ciglio – il fascino disastroso subito dai comuni mortali nei confronti delle star – Non puoi tornare a casa e ti spiego perché e Avanti un’altra.

Una vera e propria giungla di mostri messi in libertà, in cui anche gli agenti immobiliari hanno cognomi da squalo, dove la razionalità viene riportata in scena proprio dalle entrate surreali degli animali: aragoste che mettono in fuga Bernie Madoff e galline che vincono Oscar come miglior sceneggiatura originale.

E se in qualche racconto è possibile rivedere la genesi di un futuro film – come la giornalista alle prime armi di Avanti un’altra, poi protagonista interpretata da Elle Fanning in Un giorno di pioggia a New York – ai più affezionati del regista non mancheranno occasioni di scovare richiami di pietre miliari come “gli stuzzichini alla neve” di Amore e guerra, un sorriso a un cavallo che ricorda l’amore tra una pecora e Gene Wilder in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere) e la puzza di zolfo che perseguita Billy Crystal nei gironi infernali.

Zero Gravity è l’opportunità messa a disposizione da Woody Allen di fare un lungo tour nella mente del suo personaggio romanziere in Harry a pezzi: una scrittura da montagne russe con vertigini, corse in velocità e vuoti d’aria che non può deludere per umorismo ed eleganza linguistica.

Al lettore chiudendo il libro sembrerà di vedere i fuochi d’artificio su Manhattan e capire per l’ennesima volta che tra le cose per cui valga la pena di vivere c’è sempre uno spazio riservato con un nome: Woody Allen.