Oliver Stone racconta la sua verità sull’omicidio di John F. Kennedy

Passato al Festival di Cannes lo scorso luglio nella versione breve, il documentario JFK: Destiny Betrayed di Oliver Stone arriva in Italia su Sky Documentaries il 22 novembre in quella integrale della durata di circa 4 ore (Mentre va in onda su La7 in 28/11 in versione breve con il titolo JFK Revisited: Through the Looking Glass).

Una data per la messa in onda che coincide con i trent’anni quasi esatti dall’uscita nelle sale del film JFK – Un caso ancora aperto. Uno dei suoi maggiori successi cinematografici – incassò nel mondo oltre 200 milioni di dollari e ottenne 8 nomination agli Oscar (Ma solo due statuette per miglior fotografia e montaggio) – ma ancora di più dal punto di vista storico e civile.

Il film ripercorreva le indagini del procuratore distrettuale Jim Garrison e puntava il dito contro gli errori (se non i depistaggi, a seconda delle opinioni) della Commissione Warren, istituita immediatamente dopo l’assassinio di John F. Kennedy, avvenuto il 22 novembre 1963 a Dallas.

Secondo Oliver Stone e molti altri, in realtà la Commissione aveva l’obiettivo di sostenere la tesi del colpevole unico – Lee Harvey Oswald (nel frattempo assassinato anche lui il 24 novembre), nonostante fosse in contraddizione con moltissime prove e testimonianze.

JFK – Un caso ancora aperto aveva suscitato un tale clamore da spingere il Congresso ad approvare il JFK Records Act, ovvero il rilascio di tutti i documenti relativi all’assassinio e coperti da segreto entro il 26 ottobre del 2017. “Donald Trump aveva promesso che lo avrebbe fatto ma, poi, ha rimandato all’ottobre 2021. L’attuale presiedente Joe Biden sta compiendo un atto illegale nel ritardare il rilascio di quei file”, dice il regista.

Questa intervista con Oliver Stone è stata fatta durante il festival di Cannes. Stone è contento di parlare con la stampa europea che sente più amichevole di quella americana. “Continuano a dire: “Che cosa c’è di fondamentale in questo documentario? Non ci sono nuove prove. Certo che ci sono. Parecchie. Ma è lo stesso atteggiamento che media hanno tenuto negli anni Sessanta. Un trucco che hanno usato, allora, con l’avvocato Mark Lane, convinto dall’inizio che l’uccisione del presidente fosse frutto di un complotto. Gli chiedevano con l’aria annoiata: ‘Allora, ha raccolto nuove prove?’. E lui che era uno sveglio, rispondeva: ‘Perché? Che cosa c’è che non va nelle vecchie?’. In America non ho trovato finanziamenti per realizzare il documentario. Nonostante il film JFK – Un caso ancora aperto sia stato un successo anche dal punto di vista degli incassi, i soldi per questo progetto li ho trovati in Gran Bretagna”.

Anche se da trent’anni, fare luce sull’assassinio di John F. Kennedy è diventata per lui una sorte di missione, non crede che un giorno si arriverà alla verità. “Ormai è molto improbabile. Del resto, ci sono ancora parecchie persone convinte che le conclusioni della commissione Warren fossero corrette. Nonostante siano state condotte tre investigazioni sull’operato di quella Commissione e senza contare i risultati delle indagini di molti privati cittadini che dimostrerebbero il contrario”.

Aggiunge che, molto prima di aver parlato con i giornalisti del suo documentario, molti in Russia conoscevano il suo progetto (Nel 2017, Stone aveva girato una mini serie documentaristica su Putin, The Vladimir Putin Interviews). “Ho chiesto come lo avessero saputo. Mi hanno risposto che avevano contatti con i servizi segreti americani. E hanno aggiunto: “Non sono proprio entusiasti di quello che hai messo insieme”.

JFK: Destiny Betrayed esplora diversi aspetti dell’indagine, soffermandosi a lungo sulla questione della provenienza del proiettile che colpì e uccise il presidente (da dietro, quindi, sparato da Lee Harvey Oswald, o frontalmente? E, in questo caso, da chi?), sull’autopsia “che fu un disastro” e che si concluse con la sparizione del cervello di Kennedy.

Ma, forse, le parti più interessante riguardano i collegamenti fra Lee Harvey Oswald e la Cia nell’ambito dell’affaire Castro (Oswald era davvero pro Castro o era un infiltrato? Era fuggito in Unione sovietica alla fine degli anni Cinquanta perché era un simpatizzante comunista o una spia degli americani?) e le conseguenze che la morte di John Kennedy avrebbe avuto sugli equilibri mondiali: dalla guerra in Vietnam, ai rapporti con la Russia. “Nel momento in cui Lyndon Johnson divenne presidente cancellò tutti i progressi fatti Kennedy grazie a un lavoro basato sulla diplomazia, non sulle armi. Già un anno dopo, nel 1964, ci fu il colpo di stato in Brasile che portò i militari al potere”.

Anche se il regista non fa accuse specifiche, mette ben in chiaro chi potesse avere interesse a eliminare Kennedy. In sostanza, secondo la tesi del suo documentario, aveva pestato i piedi a un mucchio di gente. “Stava cambiando troppe cose. Era un riformatore. Avrebbe smantellato la Cia, cambiato radicalmente i servizi segreti americani. Aveva in programma di lasciare il Vietnam, di stabilire rapporti diversi con l’Unione sovietica, di normalizzare i rapporti con Cuba. Tutte cose che molti storici negano. Non posso fare il nome di una persona ma dietro la morte di Kennedy ci sono poteri chiaramente legati ai servizi segreti, forse a pezzi del sistema militare”.

In realtà i nomi di qualche “cattivo” viene fuori. Primo fra tutti, Allen Dulles. “Era stato direttore dei servizi segreti dal 1953 al 1961 e fu scelto come membro della commissione Warren. Di certo era nella posizione di condurre le indagini nella direzione che desiderava. Ed era un avversario del presidente Kennedy, che era anche la persona che lo aveva mandato via dalla Cia”. E il presidente Lyndon Johnson? “Non posso dire che fosse coinvolto nell’assassinio ma di certo non gli dispiacque che Kennedy non ci fosse più e fece in modo di non far venire a galla la verità sulla sua morte”, dice il regista.

Aggiunge: “Il punto è che qualcuno, nel 1963, ha privato gli americani del loro presidente con metodi illegali. È una questione ancora oggi di vitale importanza perché in discussione c’è la capacità da parte dei presidenti degli Stati Uniti di controllare i militari e i servizi segreti… La verità è che non sono in grado di farlo”.

Stone spiega che il film che avrebbe segnato la sua vita e la sua carriera non era nato per un suo particolare interesse nell’omicidio Kennedy. “Avevo raggiunto una grande popolarità con Platoon e The Doors. Ero arrivato dove sognavo di essere fin da quando, ventenne, avevo studiato all’NYU Film School. La politica mi aveva sempre interessato, ma il vero motivo per cui mi appassionai a questa storia fu il libro di Jim Garrison, On the Trail of the Assassins, in cui raccontava le sue investigazioni. Era scritto come una detective story, era avvincente. Pensai che ne sarebbe sarebbe venuto fuori un bel film”.

Racconta anche di essere stato da ragazzo un repubblicano convinto: “Come mio padre. Da giovane ero un conservatore, credevo che Fidel Castro fosse un bad gay, un cattivo e che anche il presidente Kennedy fosse un male per gli Stati Uniti. Ho combattuto in Vietnam, allora pensavo che fosse una guerra giusta. Ma una volta là, mi è bastato assistere a qualche scontro per capire che avremmo perso. Quella guerra è stata un grande errore, ed era fondata su una menzogna Ma, personalmente, quell’esperienza mi è servita. Mi ha aiutato a capire il mondo. Io ho cambiato opinione, l’America no. Abbiamo continuato a fare guerre. Sotto la presidenza di Ronald Reagan, nel 1983, c’è stata l’invasione di Grenada. Poi, la prima guerra del golfo con Bush e la seconda guerra in Iraq contro Saddam Hussein, con George W. Bush, motivata con la presenza di armi di distruzione di massa. Tutto falso. E, poi, l’Afghanistan…”.