Orfani meridiani

Orfani dopo Predrag Matvejević, sopravvissuti al vuoto di Franco Cassano. Bisogna essere esperti della materia per agganciarsi a un pensiero meridiano che non conta vasti nomi, delimitato spesso a singoli viaggiatori mediterranei e non a flottiglie agguerrite, scuole di pensiero. Il Sud ha avuto spesso straordinari interpreti, ma spesso, da soli, si sono rinchiusi in ambiti territoriali ristretti, in angusti confini nazionali che li hanno ridotti a icone, bandiere di un fenomeno e una esigenza regionale.

Invece, quello di cui davvero c’era e c’è bisogno, è un vasto pensiero meridiano. Un Sud che pensa, come unico corpo culturale, fatto di organi, di membra differenti, ma depositario di un solo e multiforme bagaglio, che senza necessariamente contrapporsi esista. Un cervello innervato sui lembi del Mediterraneo, nel cuore e nell’anima dei popoli più vecchi: un mondo in affanno su un processo di modernizzazione al quale non ha, sostanzialmente, partecipato, se non in umili forme di manualità. Un’attualità d’Occidente priva di uno spirito profumato di Oriente: una macchina senza cuore. C’è, nelle modernizzazioni avanzate di matrice settentrionale e in quelle che marciano da punti diversi della terra, una mancanza assoluta della radice mediterranea, una passività esiziale di una delle componenti più antiche del mondo. Perché il pensiero meridiano si è quasi sempre risolto in una miriade di questioni meridionali, senza mai diventare questione Mediterranea: cioè esistenza di un pensiero altro, alto, capace di difendere le proprie ragioni, o di sacrificarle se giusto. Il pensiero meridiano, chiunque lo abbia espresso, non ha mai raggiunto le vette dell’autonomia, del mondo che diventa pensiero a se stante. È sempre rimasto nei pascoli della subalternità, finendo per diventare parodia, non tesi, e trasformandosi in madre di retori, demagoghi, revanscisti. Un pensiero meridiano senza le stimmate dell’autorevolezza, dell’originalità, della disposizione al confronto si riduce a scuola di nostalgia, a esercizio vuoto di bei tempi andati.

Né Matvejević né Cassano pensavano a un Sud fuori dalla storia, volevano invece una latitudine meridiana che si riprendesse un posto dentro la storia umana, in grado di mettere sul tavolo il proprio concetto di modernità e di lottare per un processo integrativo e pacifico delle diversità. Un mondo nuovo che non passi sopra i popoli, che non abbia come unico strumento l’omologazione. Ed ecco, che a pensarci di colpo, ci si senta smarriti: epigoni del pensiero meridiano che siano autorevoli, noti, che abbiano la dimensione di punti di riferimento, non se ne rinvengono. Bisogna pensarci molto, per individuarne almeno di potenziali. Ora, non solo bisogna riempire il vuoto, dare punti di riferimento, occorre farlo in modo diverso dal passato: creando un punto di aggregazione fra tutte le sponde del Mediterraneo, evitando che riprendano i viaggi solitari che riporteranno al vuoto attraverso il consumo pro domo sua dei mistificatori di una necessità reale e non di un utilizzo opportunistico di un’ingiustizia storica, subita e pure accolta: la marginalizzazione del Sud. Il mondo ha bisogno di un nuovo umanesimo, un ragionamento che rimetta la modernità sulla strada se non della felicità, del riequilibrio tra ragione e pulsione, fra sopraffazione e convivenza possibile. Un umanesimo che rimetta ordine fra le prospettive, rimettendone in campo una ormai accantonata, la possibilità di migliorare ilo mondo. E l’umanesimo è forse la vocazione più grande di una Voce Meridiana.