Paolo Borsellino spiegato ai bambini

Paolo sono.

Come la formula che anche i “continentali” hanno imparato dal commissario: “Montalbano sono”.

Come le due sole parole che quel giorno d’estate riuscì a dire alla madre al citofono prima che scoppiasse l’autobomba. Era il 19 luglio 1992, con lui morirono una donna e quattro uomini della scorta.

Il titolo completo è Paolo sono. Il taccuino immaginario di Paolo Borsellino. Scritto da Alex Corlazzoli e illustrato da Giacomo Agnello Modica, è il primo titolo (il prossimo sarà dedicato Mandela, dello stesso autore) di una collana Giunti che presenterà ai bambini alcuni protagonisti della storia, dell’arte o della scienza di tutto il mondo. I “taccuini immaginari” raccontano dettagli di vita di questi personaggi, dalla loro infanzia e adolescenza in cui i giovani lettori si possono immedesimare fino all’età adulta. Ad affiancare la scrittura, fondamentali sono le immagini: disegni che sottolineano i momenti cruciali, fumetti che enfatizzano i passaggi del racconto…

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Diceva Gesualdo Bufalino che “la mafia sarà vinta da un esercito di maestri”. Più dello Stato e delle istituzioni politiche, è la scuola a poter combattere questa battaglia e costruire un’altra cultura.

Corlazzoli lo sa bene. Nel suo curriculum figurano infatti tre definizioni: giornalista, maestro, viaggiatore. Giornalista lo è per Il fatto quotidiano, Focus storia, Focus Junior e qualche altra testata. Il maestro lo fa nella scuola primaria di Salvirola, paesino della provincia di Cremona dove questo mestiere “ha ancora un valore”.

Ai suoi bambini propone alcuni classici, come per esempio Pinocchio: “L’importante è affrontarli con una certa preparazione, magari inizi a leggere qualche pagina, in maniera anche teatrale, e poi chiedi che cosa ne pensano e da lì vai avanti”. E però parla anche di oggi, delle mafie, delle sue vittime come Falcone o Borsellino. “I bambini del Sud magari non sanno esattamente chi siano queste persone, ma in qualche modo ne hanno sentito parlare. Al Nord la percezione è ancora lontana, a moltissimi quei nomi non dicono niente. Nella mia classe, alcuni genitori mi hanno anche scritto che ai bambini parlavo troppo di Borsellino”.

Un disegno di Giacomo Agnello Modica tratto dal libro “Paolo sono” di Alex Corlazzoli

Alex è nato a Crema nel 1975, da ragazzo volendo fare politica si è iscritto alla Lega (“l’unica che mi ha aperto le porte”) ed è stato poi Consigliere comunale di Offanenengo, paesino del cremonese, per 15 anni. Come è arrivato a occuparsi di mafia e a studiare la vita di Paolo Borsellino? “Oltre che leghista ero anche, e questo lo sono ancora, molto cattolico, il mio sogno era fare il prete; un frate che avevo conosciuto mi disse di andare a Palermo a vedere questi ‘terroni’ che cosa combinavano. Era il 1995. A Monreale conobbi una signora che aveva aperto la casa ai bambini di strada. Tornato, stracciai la tessera della Lega; poi, a un incontro con Tonino Caponnetto (il magistrato a capo del pool antimafia dal 1984 al ’90, ndr), incontrai Rita, la sorella di Paolo Borsellino. Mi disse: ‘Vieni a trovarmi, io abito ancora in Via D’Amelio’. Andai, suonai il campanello, salii al quarto piano, lei mi fece accomodare sulla poltrona di pelle marrone dove sedeva sempre il fratello, sotto la foto di lui con Caponnetto, e iniziò a raccontare. Da lì cominciò tutto”.

L’incontro diventò un’amicizia durata fino alla morte di Rita, nel 2018. Dalle conversazioni con la donna diventata “un po’ come una mamma” prendono vita gli aneddoti raccontati nel libro, il furtarello nella farmacia di papà, le partite a calcio con Giovanni Falcone che a ping pong giocava invece con il futuro boss Tommaso Spadaro, la petulanza del piccolo Paolo che a scuola era bravissimo ma non stava mai zitto, la fuga nel paese del nonno per costruire un albero genealogico di famiglia.

Corlazzoli sa che “l’errore nello scrivere per ragazzi è proporre storie non credibili; non puoi raccontare la mafia parlando dei massimi sistemi, di Cosa nostra come di un’entità astratta: devi fargliela vedere, toccare, farli sentire immersi”. Per questo, il suo “taccuino” è composto di fatti concreti. Come quelli che ai racconti di Rita aggiunge Manfredi. Manfredi Borsellino, oggi a capo del commissariato Mondello, è nato nel 1972 ed è il secondogenito di Paolo. Quando è morto il padre aveva 20 anni, ed è stato lui – dopo la comparsa di zia Rita – a prendere il testimone dei ricordi.

 

Come nella vicenda dello scooter. “Mi ha spiegato che suo papà, oltre a far arrestare i mafiosi, si occupava delle loro famiglie. Così, un giorno scopre che il figlio di uno di questi delinquenti non ha il mezzo per andare a lavorare; tornato a casa, chiede a Manfredi di donare al ragazzo il motorino che aveva appena ricevuto per il compleanno. Lui aveva 14 anni e la prese male. Ma più in là ha capito, e questo gesto oggi gli è molto caro”.

Più in là, in quella manciata di settimane che separarono il 23 maggio della strage di Capaci dal 19 luglio di Via D’Amelio, ha raccontato Manfredi ad Alex: “Paolo ha continuato sì a tornare a casa per cena tutte le sere, ma alla famiglia dava meno affetto, non c’era più per esempio la tradizione del bacio della buonanotte: era consapevole che sarebbe stato ucciso, voleva prepararli alla sua assenza. Allora non avevano capito, se ne sono accorti dopo”.

Il figlio è l’unico della famiglia ad aver letto il libro, intervenendo con piccole modifiche prima della pubblicazione. Con la moglie Agnese, scomparsa nel 2013, Corlazzoli non ha invece mai parlato, l’ha vista solo una volta in Via D’Amelio, anche se ha letto il suo libro, Ti racconterò tutte le storie che potrò, e “l’ho tenuto ampiamente in considerazione”.

Il giornalista maestro in questi anni ha però incontrato molte altre persone, da Caponnetto di cui è diventato amico (“quando mi scriveva un biglietto, si firmava Nonno Nino”) ad Antonio Ingroia, a Giovanni Paparcuri, autista di Rocco Chinnici e unico sopravvissuto all’attentato che uccise anche quel magistrato, nel 1983. È poi entrato negli uffici di Falcone e Borsellino e lì “ho capito la differenza fra i due: in quello di Paolo c’è il Bacio di Klimt, e si intuisce la persona che era, molto dolce, scherzoso, amante della vita e del mare, mentre Giovanni era uno serioso”.

Ma lei si ricorda che cosa stava facendo quel 19 luglio 1992? “Ero in campeggio con un amico e i suoi genitori, vidi la scena della bomba su un televisore da campeggio e mi chiesi: adesso che cosa posso fare io?”. La risposta è (anche) Paolo sono.