Paul Schrader e la redenzione degli uomini soli

Tassisti giustizieri, giocatori torturatori, suprematisti bianchi all’ombra delle orchidee. L’universo di Paul Schrader ha sempre inciampato “negli eroi esistenziali alla Dostoevskij”, fin dal suo esordio, scrivendo Taxi Driver per Martin Scorsese: “L’eroe che non chiede ‘come devo vivere?’, ma ‘devo vivere?’”.

Più auto-terapia che carriera, un percorso che non l’ha portato a volere più successo, ma “liberato dalla necessità di avere l’approvazione del pubblico“.

Il nuovo film nelle sale

Così lo sceneggiatore e regista si racconta durante la masterclass per il Laceno d’Oro, alternando proiezioni sul futuro del cinema, bilanci del proprio presente e passato, metodi ritrattistici dei protagonisti che ha creato: “Cerco di suscitare un coinvolgimento nei confronti di personaggi che non lo meriterebbero, per farlo bisogna trattenere alcuni elementi che ci aspetta di vedere, spingendo così lo spettatore a protendersi in avanti nei confronti di quel personaggio. È una danza un po’ insidiosa ed è agli antipodi rispetto a ciò che spesso fanno i registi“, dice.

Ed è con una sospensione simile che si attende la fine dell’incontro per assistere alla proiezione del nuovo film – Il maestro giardiniere, dal 14 dicembre in sala – e alla presentazione dell’ultimo antieroe nato dal Frankestein – Schrader, perché al cinema non occorre “un numero maggiore di persone perbene, brave persone, sono noiose, ma cattivi che fanno cose positive”.

Narvel Roth, il maestro giardiniere interpretato da Joel Edgerton, appartiene a questa schiera: ex membro della fratellanza ariana, sconta la sua pena all’oblio nel giardino di Gracewood, proprietà della monumentale Norma Haverhill/ Sigourney Weaver.

Un’immagine dal film “Maestro giardiniere”

Se il silenzio, la meccanica sessuale con la padrona e la ferrea autodisciplina da informatore sotto protezione testimoni sembrano affievolire i legami con il passato, la vera occasione di redenzione si offre all’arrivo della nipote di Norma Haverhill, Maya.

Orfana, tossicodipendente, legata a un fidanzato violento, Narvel Roth in questo Eden del ventunesimo secolo, salvandola, cerca di ritrovare la propria innocenza seminando l’avvenire con una ragazza molto più giovane.

A costo di diventare “osceno”, come ripete il dio donna Norma Haverhill, cacciandoli dal paradiso terrestre: un ex-nazista tatuato di svastiche e teschi delle SS insieme a una ventenne di colore.

L’amore tra l’ex nazista e la ragazza di colore

Un amore impossibile per chi si ferma a giudicare. “L’osceno per me“, continua Schrader, “è la mancanza di empatia, un concetto che si attaglia benissimo alla definizione di cinema. Vengono chiamate motion pictures, immagini in movimento, perché è questo che crea il legame con il pubblico. E lo suscitano sia per il bene che per il male: la storia del cinema è stata entrambe le cose. La tecnologia, al contrario, non è riuscita a darci ancora un umanoide, che possa sviluppare o suscitare un sentimento di empatia“.

Tratto distintivo della filmografia, il “mettersi nei panni dell’altro” nasce nel suo cinema prima di cominciare a sedersi davanti a una macchina da scrivere o a una cinepresa: “Guardando Pickpocket – Diario di un ladro – di Robert Bresson capii che il sacro della mia educazione religiosa poteva incontrarsi con la realtà profana di Hollywood, non tanto a livello del contenuto quanto della forma. E poi imparai, grazie a questi settantacinque minuti, che una storia di borseggiatori, ladri e mascalzoni avrei potuta scriverla anch’io: due anni dopo è arrivato Taxi Driver”.

“C’è troppa violenza al cinema”

Ma se a Schrader non manca la volontà di mischiarsi con storie criminali, che non fanno sconti per retaggi di aggressività e irruenza, per mostrare la violenza fa un discorso diametralmente opposto: “All’inizio ero abituato a tirare fuor la parte sanguinaria dei miei personaggi, poi ci fu una rivista che mise in copertina Martin Scorsese, Walter Hill, Brian De Palma e il sottoscritto indicandoci come i nuovi brutalisti. Da quel momento ho cominciato a fare marcia indietro e a mostrare sempre meno. Per il manifesto francese di Il maestro giardiniere avevano pensato di usare una pistola in un primo momento, eppure Narvel Roth non spara a nessuno. Questa cosa mi ha disturbato tantissimo. Trovo che oggi la violenza sia superficiale, nonostante il cinema sia sempre un ‘Kiss kiss bang bang business’, volendo citare il libro della critica cinematografica Pauline Kael”.

Alla banalità del male e della violenza, Schrader oppone l’esplosione di colori e fiori, il rigoglio delle serre, l’amore: è la rinascita o la speranza di un nuovo inizio la vera rivoluzione in cui credere, l’ultima provocazione. Anche se sembra impossibile, senza nessuna via di fuga.

La fine della trilogia cominciata con First Reformed

Chiudendo la trilogia iniziata con First Reformed- La creazione a rischio e Il collezionista di carte, questa sinfonia bressoniana, concepita intorno a uomini soli, in apparenza senza redenzione, Paul Schrader concede espiazione e crescita con Il maestro giardiniere.

Un finale che sia possibilità di salvezza: non danzare soli tra le macerie della propria casa, ma fermarsi per un abbraccio sul patio, aspettando il futuro che deve arrivare. “Alla fine del film” afferma Paul Schrader ritirando il Premio alla Carriera Laceno d’Oro e congedandosi dal pubblico,  “c’è una canzone (Space and Time di Mereba, ndr.) che ripete: ‘Non voglio lasciare questo mondo senza prima averti detto che ti amo’. Da giovane avrei detto: ‘Non voglio andarmene prima di dirvi vaffanculo’, ora invece, non voglio andarmene prima di avervi detto che vi amo“.

Il faut cultiver notre jardin“, ripeteva Voltaire, a Paul Schrader basterebbe educarsi alla propria liberazione.