La nuova raccolta poetica di Gisella Genna

DEDALO, ALBEDO e IMPERMANENTI sono i titoli delle tre sezioni della seconda silloge poetica (l’esordio, nel 2020, con Quarta stella), Rarefazione, di Gisella Genna.

Pubblicata pochi mesi fa da Pequod, nella collana Portosepolto, raccoglie trentacinque brevi poesie che attingono a miti arcaici e a molteplici fonti sapienziali radicate nella cultura dell’Estremo Oriente.

Spia di tali suggestioni sono alcuni riferimenti paesaggistici, per esempio a Ladakh e a Ishvara (fra le catene montuose dell’Himalaya).

La semplicità ricercata dei versi

Immediato è il confronto con Callimaco, innamorato della ricerca erudita e incline ai carmi spiazzanti e concisi, perché la poesia non diventi didascalica ma si faccia dono di arguzia e di eleganza, sia orientata al diletto e all’espressività.

Anche gli haiku giapponesi chiedono compostezza e rigore, la contrazione sembra l’unica aspirazione possibile e l’apparente semplicità il valore assoluto a cui tendere. Si lascia così spazio a un versificare privo di fronzoli retorici dove la natura, nelle diverse stagioni, è una diva esuberante che suggerisce una perfetta sintesi di pensiero e di immagini. L’attimo presente è un cristallo da accudire ora. In seguito, può e deve essere lasciato andare, fluire lontano.

I riferimenti all’occultismo

Nei testi della raccolta, ricorrono accostamenti cromatici audaci, quasi una musica che accompagna i movimenti della lingua, cesellata con rispetto e manipolata attraverso un sapiente uso degli artifici retorici, in primis sinestesie fortissime ma anche ossimori inediti ed emistichi dal ritmo sincopato.

Colpisce, fin dal titolo della seconda sezione, l’esplicito riferimento all’albedo, termine magico-esoterico dell’alchimia che allude a una delle tre fasi della Grande Opera, la cosiddetta “Opera al bianco” (a sua volta scandita da passaggi: ablutio, purificatio, mundificatio, fissatio), ed è simboleggiata da un cigno.

Rappresenta l’alba e la rinascita ed è associata alla femminilità, alla Luna. L’ALBEDO è proprio, fuor di metafora, la liberazione dai lacci del corpo. Per l’occultismo è il momento successivo alla NIGREDO (purificazione della massa corporea) e prepara alla RUBEDO, sublimazione sotto l’effetto dello spirito. Una sorta di distillazione, per dirla con Jung (che equiparava l’albedo all’archetipo dell’epifania psichica negli esseri umani), dell’Io dall’inconscio.

Il ritorno del numero 4 (i colori, le stagioni)

Goccia dopo goccia. Genna si immerge e traduce su carta una beata vertigine bianca, uno dei quattro colori base dell’alchimia (nero, bianco, giallo e rosso), in relazione con i quattro elementi, le quattro stagioni, le quattro fasi del giorno.

Quattro come un mantra, numero sacro cabalistico. Non si può dimenticare il volto di Lucifero, “portatore di luce” e antico nome di Venere, oltre che angelo prediletto poi rovinosamente precipitato per il tradimento inaccettabile.

La creatura sfida il Creatore e pagherà un giusto prezzo: prigioniero al centro della terra, in un luogo dimenticato e gelido, subirà una metamorfosi fisica, il rovesciamento paradossale della luminosa trinità. Dalle spalle dell’angelo, ormai osceno “vispistrello”, emergono tre teste con volti di differente colore. Se Dio era e rimane bianco e fulgido, una delle facce demoniache è atra come la pece e l’odio, un’altra rossa come la rabbia fuori controllo e l’ultima gialla putrescente come l’invidia velenosa.

Il mito di Icaro

Sembra che Genna desideri strapparsi di dosso il velo dell’incoscienza per farsi statua sottile che si lascia attraversare da aria e da luce. Luce che sussurra eleganza e sillabe lievi, la pietra grezza depurata dal sole e resa potente ed eterna dalla stellache li dà valore”, cantava otto secoli fa il mentore della rivoluzione stilnovistica, Guido Guinizzelli. Uno che di dottrina, alchimia compresa, si intendeva.

Solo evaporando e ascendendo verso l’alto ci si può fare possedere dalle idee tradotte in alfabeti. Nella Commedia, l’albedo è la risalita della montagna del Purgatorio; dopo essersi ripuliti da scorie e da impurità, si vola rapidi attraverso i nove cieli e la parola diventa mistica, quasi degna della divinità, spiega Dante.

Genna non manca di ripensare il mito di Icaro che, confidando nella potenza del Sole che indica la via, cadrà invece rovinosamente, schiacciato dai vincoli terrestri e dal labirinto-trappola che è la vita. Solo il nitore dello Spirito permette di lanciarsi oltre i confini, di sperimentare l’aria tersa.

Tutto è nominato in modo accurato nelle prime due sezioni dell’opera (anni, mesi, giorni, il fluire delle stagioni). La cultura sottesa a ogni componimento è vasta ed eclettica, accompagnata a una naturale adesione, da parte della poetessa, alla propria biografia, ai lutti, reali o simbolici, subìti. Alle inevitabili perdite. La trasparenza della luce, la sua RAREFAZIONE, una condizione di ridotta densità e, in senso fisico, il fenomeno per cui un corpo aeriforme aumenta di volume pur mantenendo intatto il proprio peso (Galilei definiva ciò che era soggetto a rarefazione “sostanze, le quali dilatandosi, e perciò ricercando sempre spazi maggiori, fanno forza contro al loro contenente”), non è meno salvifica e seduttiva di un fuoco che esplode in potenza e in sfacciataggine, quasi.

Elementi che si espandono e chiedono di uscire da sé e di stendersi come coperta sul mondo. Necessari a contrastare le tenebre, che lente si avvicinano. Senza parere né avvertire.

La poetica di Guido Gozzano

Genna è una forte bibliofila, in diverse interviste ha dichiarato che la sua poetica (il gusto per le piccole cose, gli oggetti quotidiani di gozzaniana memoria, l’interesse verso l’umano e il trascendente) è soprattutto l’esito di continue letture, anche di più testi contemporaneamente, mentre la scrittura procede secondo un ritmo ondivago e dipende da vari fattori.

La creatività va e viene, panta rei, ma Gisella non se ne preoccupa. L’ultima sezione contiene un cambiamento di ritmo che spiazza, si evoca una dimensione urbana delicata e precisa, Parigi e i suoi tetti, i boulevards e il museo Rodin.

Un viaggio compiuto con il padre, al quale il volume è dedicato e che entra in scena nell’unico testo che possieda un titolo: “Ciò che deve accadere, accade”. L’evocazione del corpo del genitore è cupa (“Ai piedi del letto, per sempre riverso il padre”), perché si resta increduli di fronte alla morte che, violenta, s’intrufola nel caotico rumore dei giorni. Le presenze amate vengono meno e si mutano in ingombranti assenze (“Posati polsi e palmi, un’ultima volta insieme alla terra sbiadire”).

Il tempo della memoria

L’amore resta e mette su casa nei luoghi dolenti della nostalgia, pece vischiosa che congela gli sguardi. Del rimpianto bisogna pur fare qualcosa, impastarlo come un dolce perché conceda spazio, ancora, al futuro. Un progetto, un breve sogno. Immaginare che passato e presente si sposino: in fondo, sono piani inclinati nei quali i corpi scivolano e si fondono, i morti e i vivi.

Questi ultimi, giusto il tempo necessario per costruire memoria.  Ed ecco, di nuovo e per sempre, lo splendore dell’albedo: chi abbiamo perduto è alleggerito dai rifiuti della gravità e dai bisogni, sono amori grandi divenuti iridescenti comete. Rarefatte, dunque.

Gli spiriti, lievi come piume e depurati dall’onusta realtà, ci precedono. Dove, non è dato sapere e poco importa. Genna gioca con le figure di suono e di significato e le piega ai propri voleri, modifica visioni e diffonde profumi. Ricrea il mare, i venti temibili e i suoni vaghi. Induce alla follia morbida, suggerisce ipnosi in cui adagiarsi.

La poetessa è un elegante ossimoro: una calma potenza esce dalle sue pagine quando sfiora i temi dell’inquietudine e della separazione.

Anche in “Quarta stella” la voce era composta e piena, determinata ad accogliere il bello. Lo sguardo è quello di chi è temporaneamente sollevato dall’orrore in virtù di un’epifania di luce, di colori sfumati e di dimensioni sovrapposte. Nulla dura, nemmeno l’arte poetica, ma offre consolazione, come la Filosofia, “donna di aspetto venerando, dagli occhi sfolgoranti e penetranti oltre la comune capacità degli uomini”, scrive il senatore romano Severino Boezio quando immagina che essa lo venga a trovare nel carcere in cui attende l’esecuzione.

La passione per la fotografia

Genna ama anche la fotografia e si accosta ai versi – alle sillabe, oserei dire – guidata dall’idea della sottrazione. Occorre limare e scarnificare, rendere breve e imploso ogni concetto. La Grazia, se si rivela, è teofania e sognato varco verso una dimensione che magari nemmeno esiste o non è raggiungibile, come negli Ossi di seppia montaliani.

I più fortunati, per esempio i cantori del Panismo che inseguivano la capricciosa natura antropomorfizzata, ne intravedono un lembo o uno squarcio, un’ombra rapida.

Sul crinale, oltre la vetta, si intuisce il sole, come il tosco sperimenta appena fuori dalla selva oscura. Però non è tempo, non ancora, di oltrepassarla senza fatica. “Oggi mi vesto di cenere”, sussurra Genna. Oggi “siamo corpo nell’ascolto, una sola eco. Scenda come divinazione, scorra fluviale luce. Luce”.