Se il mistero non sta nel libro ma in chi lo ha scritto

L’imbroglio, quando arrivi alla fine della Fine è nota, ti accorgi che sta già nella prima riga. Per scioglierlo, ci sono volute 240 pagine. Ma ne è valsa la pena.

Ritrovare questo giallo che settant’anni fa, quattro dopo la prima pubblicazione negli Stati Uniti, vinse il Grand prix de littérature policière, è una scoperta avvincente e nello stesso tempo “rilassante”.

Lo è nell’intreccio che si annoda rapido, nell’indagine priva di quei piccoli sotterfugi che tanti autori più recenti amano (e che lo Stephen King di Misery sanguinosamente condanna).

Lo è molto nella scelta del protagonista signor Paulton, che non ha nulla di seduttivo nei suoi 47 anni di un’esistenza “trascorsa senza grandi emozioni”, e il cui viso ricorda un po’ l’attore Charles Laughton (in tema noir: assolutamente da rivederlo in Testimone d’accusa, che adesso diventa persino uno spettacolo teatrale).

Questione di titoli

Il titolo – ora riproposto in italiano, dopo una prima traduzione La morte alla finestra con cui si presentò nei Gialli Mondadori – prende spunto dall’epigrafe shakespeariana che cita il Giulio Cesare.

I francesi invece lo avevano ribattezzato L’homme de nulle parte, concentrandosi sul misterioso personaggio che un giorno bussa alla porta della ufficialmente ignara signora Paulton e si butta dalla finestra. Il perché lo ha fatto sarà la storia del romanzo.

A dipanarla non è un commissario o un detective, ma appunto Mr. Bayard Paulton, che – spinto da una ineludibile curiosità e da una sorta di senso di colpa per aver “ospitato” un suicidio – vorrà a tutti i costi capire chi era quell’uomo.

Ma il vero mistero riguarda lo scrittore

Scelta affine a quella che compiranno i protagonisti dell’altro romanzo opera dello stesso autore, Qualcuno alla porta. Pure in quel caso, spesso apparentato a Intrigo internazionale e dintorni, e denso di atmosfere hitchcockiane come peraltro anche La fine è nota, l’indagine viene infatti svolta da persone che si trovano (all’apparenza) solo casualmente coinvolte ma che man mano restano avvinghiate nell’evolversi della vicendaa.

Ma il vero intrigo dei due romanzi in realtà è extradiegetico. Il mistero è l’autore. Il suo nome è Geoffrey Holiday Hall, di lui si sa poco o nulla. Tanto che Marco Malvaldi – indicando una cinquina di gialli prediletti – ha inserito proprio lui: “Alla fine delle speculazioni il misterioso autore potrebbe essere Orson Welles”, ipotizza per paradosso, vista l’assenza di notizie.

Chi si è messo sulle tracce dell’autore

Una coppia di “detective” – giurista lui, lei appassionata di Sciascia – si è poi data da fare per trovare tracce di Geoffrey Holiday Hall, partendo dalla quarta di copertina delle prime edizioni americane dei due romanzi, gli unici che portano la sua firma.

In quella della Fine è nota si leggeva così: “Geoffrey Hall è nato – di questo siamo ragionevolmente sicuri. Poco altro sappiamo di questo giovane ed elusivo uomo che dice dei suoi risultati scolastici: ‘Hall e l’istruzione si sono ispezionati reciprocamente senza entusiasmo e sono passati a cose migliori’. Che abbia trascorso quattro anni nell’esercito è una questione documentata, tuttavia siamo certi che nei due anni e mezzo in cui è stato oltremare, ha investigato Cina, Birmania e India nel modo più completo consentito dalle leggi”. Tutto molto romanzesco, persino il luogo di nascita – Santa Cruz nel New Mexico, anno 1913 – potrebbe essere sbagliato, o quantomeno incerto.

La curiosità di Leonardo Sciascia

Quello che invece è sicuro è il trasporto che Leonardo Sciascia, acquistatolo alla stazione ferroviaria di Caltanisetta (“Il giallo è sempre stato il mio ‘viatico’ ferroviario”), ricorda di aver provato leggendo La fine è nota, e pure rileggendolo trent’anni dopo. D’altra parte, con i misteri lo scrittore aveva buona consuetudine, dal Giorno della civetta alla Scomparsa di Majorana (che forse varrebbe la pena rileggere, visto l’attuale interesse per Oppenheimer).

Qualche anno dopo questo intervento del 1989, che Sciascia concludeva dicendo che quello di Holiday Hall è “un piccolo mistero che sarebbe divertente risolvere, il romanzo è poi diventato un film.

A dirigerlo, Cristina Comencini, che lo ambienta a Roma anziché a New York e che a Paulton dà il viso di Fabrizio Bentivoglio. Non proprio un Charles Laughton, ma ben in parte nella sua perplessa indagine.