Riscrivere “Anna Karenina” a Milano

Che differenza c’è fra guardare uno schermo e guardare un foglio di centoventi grammi di buona carta? C’è la stessa differenza che c’è fra uscire con una delle fotomodelle che vedi alla fila dei taxi e toccarsi davanti al pc di casa guardando le donnine nude”. Attenzione: qui l’accento non va sulle fotomodelle, ma sui 120 grammi.

Milano, la città italiana che si suppone più proiettata nel futuro fra nuovi grattacieli e professioni cool, ha in realtà un’anima nascosta che periodicamente attrae scrittori e nostalgie. E non solo perché di mezzo ci sono stati il Covid, l’isolamento, i ripensamenti sugli stili di vita.

Uno come Dario Crapanzano, che di mestiere in origine faceva il pubblicitario e lavorava quindi con la contemporaneità, aveva per esempio dato vita al commissario Arrigoni, che si addentrava negli anni  precedenti alla “città da bere” rievocandone latterie e luoghi ormai scomparsi.

Restando nell’ambito “nero”, anche il nuovo Le notti senza sonno di Gian Andrea Cerone, pur ambientato fra Boschi Verticali e cappuccini con cuori disegnati, traffici d’organi e lockdown imminente, non manca di tratteggiare un certo rimpianto, per la mala e per la vita di un tempo.

La nostalgia dei 120 grammi è quella che attraversa Quel maledetto Vronskij di Claudio Piersanti. Abruzzese, a lungo direttore della Rivista dei libri, sceneggiatore ma, soprattutto, scrittore le cui opere (da Luisa e il silenzio a Il ritorno a casa di Enrico Metz) sono state spesso premiate, adesso Piersanti è fra i dodici finalisti dello Strega 2022.

Il protagonista del suo Vronskji è uno che non si piace, non solo perché è un “lungagnone” ma anche perché – in quest’epoca ruvida e aggressiva – ha troppi “grazie” in bocca, e più che gentile si percepisce ossequioso.

Fino a qualche anno fa, Giovanni era tipografo in una casa editrice, poi il piombo è scomparso, i giornali non si vendono, e tocca reinventarsi anche se dietro a quelle macchine si è trascorsa buona parte della vita e si sono affinati talenti. La sua prima esistenza la conserva a casa, fra lastre in rame e caratteri cinesi in legno, e collezioni dei più originali segni ortografici. Quella attuale corre sui binari del 14, il tram che collega la casa di Giovanni e di Giulia con il locale che il tipografo si è comprato per continuare a impaginare, non più giornali ma dépliant e tesi.

È una vita tranquilla, che si fonda sulla solidità dell’amore per Giulia, la moglie. All’improvviso però ogni certezza si ribalta: la donna sparisce. Dal momento però che non ci troviamo nel territorio del giallo, la scomparsa è volontaria. Resta solo, e non è poco, da spiegarsi il perché e da affrontare l’assenza. Il tipografo lo fa con una reazione che ricorda lo scrivano Bartleby, una perplessità silenziosa e apparentemente immobile.

Poi, lui che ha sempre stampato giornali e libri ma non ha mai amato leggere, scopre nella biblioteca di lei Anna Karenina. E capisce che cosa significa quando uno scrittore parla al cuore di chi legge, gli illumina una strada e talvolta lo trafigge.

In Quel maledetto Vronskj Giovanni ipotizza una scelta di Giulia, un tradimento inimmaginabile. C’è un cinico ufficiale che gliel’ha portata via? E lui da che parte si colloca rispetto al famoso (e ovunque citato) incipit di Tolstoj su felicità e infelicità delle famiglie?

Lo scoprirà. Nel frattempo, notte dopo notte, avrà riscritto tutta Anna Karenina. In senso letterale, da tipografo, scegliendo il carattere più aggraziato e la carta migliore, una copertina speciale e una rilegatura unica. Una sola copia, per un grande amore.

Poi la storia va avanti, succedono cose, tutto si “normalizza”. Ma in quel personaggio, nel silenzio in cui Giovanni si chiude come faceva il “Serafino Gubbio operatore” raccontato da Pirandello, Piersanti condensa il dolore e la tenacia, lo sgomento di un mondo che cambia e la resistenza di chi lo abita con carattere (non necessariamente di piombo, ma comunque fedele).