Se la democrazia dei libri manda in crisi la monarchia

Iniziando a scrivere La sovrana lettrice (Adelphi, 2007, traduzione di Monica Pavani), Alan Bennett avrà ripensato al monito di Elias Canetti: “Un libraio è un re, un re non può essere un libraio”.

Se la monarchia, e chi la esercita, educa a una gerarchia propedeutica e non condivisa di poteri, la lettura è l’esercizio di “una repubblica delle lettere”. Lo scrittore inglese, proprio perché lontano dall’essere suddito, si destreggia con divertimento in questo romanzo breve, che vuole essere sì un esempio di satira senza deferenze – con modello di Jonathan Swift –  nei confronti di regine, duchi e mondo editoriale, ma anche saggio sulla letteratura: chi meglio può spostare i confini dello sguardo per intere nazioni, non sono i trattati internazionali, ma i libri che vengono letti e scritti dai suoi abitanti.

Alan Bennet nel 2007

Poco prima di compiere ottant’anni, Elisabetta II, per pura fatalità scopre che lontano dall’essere mandato giù come “purè, pane e burro”, un libro può essere finito con piacere, senza dover rispettare un obbligo.

La accompagna in questo viaggio di rivelazioni il giovane Norman Seakins, addetto alle cucine e presto promosso a factotum personale, un complice che risponde a molte delle caratteristiche dell’autore da ragazzo: “mingherlino e pel di carota”, sospetto omosessuale, libero da qualsiasi timore reverenziale.

Da sempre rispettosa del mondo delle etichette e dei doveri, la sovrana viene istruita ai diritti del lettore, che già Daniel Pennac in Come un romanzo aveva catalogato. Un sovvertimento dell’ottica della regina che investe la corte, gli equilibri con il primo ministro – che non si fa fatica a immaginare che sia Tony Blair, dal momento che, a suo parere, il Medio Oriente tornerà a essere la culla di civiltà “a patto che possiamo continuare col nostro impegno” – così come i rapporti internazionali, tanto da farle considerare un’eventualità, remota quanto improbabile: “È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano”.

Come già Umberto Eco aveva avvertito, Elisabetta II scopre che chi legge può vivere “un’immortalità all’indietro, che anche se la sua esistenza è centrale quanto irripetibile nel ventesimo secolo, può provare invidia per il divertimento di Lauren Bacall, che la letteratura è un piacere personale che non deve essere declinato per forza a scopi politici – “Ma in che modo potrebbe servire?”, le chiede il primo ministro – Un’inutilità dell’arte che avrebbe fatto sorridere Renato Nicolini o Franco Maria Ricci.

Ma ciò sconvolge principalmente la regina – e che molti intellettuali dovrebbero ricordare con maggiore frequenza – è il peso che può avere il potere nei confronti degli scrittori: “Più leggeva più le rincresceva intimidire tanto le persone; le sarebbe piaciuto che gli scrittori, in particolare, avessero il coraggio di dirle quello che poi avrebbero scritto”, perché “L’attrattiva della letteratura consisteva nella sua indifferenza, nella sua totale mancanza di deferenza. I libri se ne infischiavano di chi li leggeva; se nessuno li apriva, loro stavano bene lo stesso. Un lettore valeva l’altro e lei non faceva eccezione. I libri non sono per nulla ossequiosi. Tutti i lettori sono uguali.”

La lettura è un pericolo, ammonisce più volte Alan Bennett. Così inarrestabile da poter compromettere l’esistenza e il senso critico di chiunque, anche della regina d’Inghilterra. E da drammaturgo, con l’agilità dei dialoghi da commedia che sono il suo tratto distintivo, Bennett ci fa assistere con gioia allo stravolgimento di un equilibrio, alla caduta libera di Elisabetta II in un mondo al contrario come un’Alice di Lewis Carroll.

Tra segretari che dissuadono la regina dal comunicare alla nazione che sta leggendo Salman Rushdie – “Meglio di no, Maestà” – delegati del governo francese che ignorano l’importanza di Jean Genet – “Il nous intéresse” ribadì Sua Maestà. “Vraiment?”. Il presidente posò il cucchiaio. Lo attendeva una lunga serata. – e consiglieri di lungo corso che non sanno chi sia Marcel Proust – “Chi?” bisbigliò uno che era sordo e altri alzarono la mano, ma il primo ministro no – Alan Bennett, prendendosi gioco di tutti, ci porta sorridendo a un finale memorabile quanto inaspettato.

La sovrana lettrice è un’opera difficilmente replicabile, non solo l’infinità di riferimenti, citazioni e autori che lo scrittore inglese dissemina nel breve corso del romanzo, quanto soprattutto per l’ironia, l’assenza di ossequiosità e l’amore per la scrittura. Del resto “Chi mai può essere al di sopra della letteratura?”. Parola di Elisabetta II.