Sergio Atzeni, universale di Sardegna

Ha detto: faccio un tuffo e torno. E non è più tornato. È sparito; non per questo è sparita con lui la sua collezione.

Di storie e di racconti. Dalla notte dei tempi alla contemporaneità.

Quella della «ero», dei «pezzemmerda» e delle rockstar, delle «bagasse» in tv e delle presunte vergini in casa, di «quel giornalista che sembra sempre che gli hanno massacrato il padre, la madre, i fratelli, la moglie, i figli, i nonni, gli zii e gli hanno lasciato in vita i condomini». Quella parte di storia che non lascia dietro di sé insegnamenti. O per insegnamento ha il caos e quindi era stata in buona parte inutile, taciuta, evitata. Ritrovata in un ultimo racconto. Pubblicato postumo e arrivato al cinema, e in cui la vita diventa spietata, maleducata, cafona e baccagliante, una vita che già non gli apparteneva più.

La sua era racchiusa in favole ascoltate e ripetute 1000 volte almeno. Dalla notte dei tempi, fino a diventare antologia. La tradizione orale, consegnata a voce alle generazioni successive, e arrivata a noi come se fossimo gli ultimi nipotini, appena nati, in forma scritta. Attraverso il racconto. Il romanzo, l’antologia. Ed è questo tutto quello che oggi resta di Sergio Atzeni.

Universale di Sardegna.

Destinato a rimanere giovane uomo, santo protettore di un sapere antico.

Conservatore ribelle, giramondo umile, fino a farsi pizzaiolo, legato a doppio filo alle origini. Della sua terra, dell’esistenza, del mondo, cui aveva rubato il racconto del tempo, ripassandoglielo come testimone, in una staffetta vorticosa nelle pagine compilate con cura particolareggiata di geografie e genealogie impossibili.

Perché Sergio Atzeni, che al mondo non è mai mancato abbastanza, è stato prima di tutto un custode del tempo. Un Bilbo Baggins senza anello, ma con un’antologia di storie nel taschino da raccontare. Raccattate, anche se farebbe più scena dire «collezionate», in meno di dieci lustri. Moltiplicati a dismisura tale, da trasformarsi in moti millenari. Tutti vissuti trascrivendo e sistemando. Accumulando storie e leggende, da Araj dimoniu a Bellas Mariposas, Atzeni è stato forse tra i migliori scrittori italiani del secondo Novecento.

Eppure, non per disfattismo, ma per cronaca italiana: resta oggi un perfetto sconosciuto. Un «boomer» che non ha mai fatto il botto. Campione del racconto, traduttore. Preciso, sublime, dettagliato e poetico. Sergio Atzeni è quello scrittore che non ci meritavamo.

Troppo fuori moda e per nulla mondano. Dimenticato in fretta. Di lui restano quattro romanzi meravigliosi, anche se sono tre. Cinque racconti come divagazioni sul tema, anche se sono sei – L’apologo del giudice bandito è un racconto lungo, una prova di Passavamo sulla terra leggeri.

E poi decine di traduzioni e quasi trent’anni di articoli di una doppia vita da giornalista, raccolti dalle edizioni Il Maestrale. Oltre ai lucchetti aperti, fiori sparsi, ricordi. Un documentario, una figlia, una casa a Zurigo. Dove nel volgere di una stagione fu ospite di una ragazza greca, con tre jugoslavi. Una tappa tra tante di un girovagare zingaro, per mettere alla prova l’educazione millenaria, immediatamente dopo aver abbandonato il posto fisso sull’isola.

Licenziato con autorizzazione a conquistare il continente – cosa che fece – arrivando postumo fino alla mostra del cinema di Venezia, dopo che un’onda ne aveva lasciato impresso per sempre il profilo su uno scoglio dell’isola di San Pietro, nel Golfo della Mezzaluna.

L’anno era il 1995.

E il mare lo trascinava dove la scogliera scavata dal vento sembra farsi fiordo e dalla pietra prendono forma enormi Moai di Rapa Nui.

–        (il mare) Cos’è?

–        … Acqua. Acqua senza fine. È scritto di Ben Alì, che dalla costa di Barbarìa vedeva le belle di Nerja, e oltre Ouled Diellal i margini del deserto, e neppure Ben Alì ha mai visto le pietre di Licata dalla sabbia di Annaba. Il mare è infinito, e vivo. Respira. Gioca, minaccia, e ogni tanto uccide.

Ma la fine designata non fu genesi del meritato mito.

Quando all’Italia capiterà in sorte un ministro dell’Istruzione più pratico di lettere e meno dei discorsi di Massimo D’Azeglio e ad ogni regione sarà concesso il proprio libro di testo, sarà con orgoglio che a Dante, Manzoni, Eco, Moravia e Pirandello la Sardegna potrà accostare Atzeni. Per insegnare ai sardi chi sono, da dove vengono, e dove, se possibile, un giorno sono destinati ad arrivare. Prima di passare il testimone ad altri.

E soltanto se saranno generosi come Sergio Atzeni, saremo noi gli altri.