Sicuri di saperne abbastanza sul Futurismo?

Vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo allegramente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile“.

Così scrivevano Giacomo Balla e Fortunato Depero, firmandosi in calce “astrattisti futuristi”, nel manifesto della Ricostruzione futurista dell’universo, pubblicato a Milano l’11 marzo del 1915.

Fu deflagrante: era la prima volta che in Italia si teorizzava a tavolino l’idea di un’arte non figurativa, polimaterica, un’“arte-azione” completamente diversa da ciò che fino ad allora avevamo visto.

Eppure, questo manifesto rappresenta di fatto quello che era successo nei cinque anni precedenti e che ora una notevole mostra a Padova, nell’elegante Palazzo Zabarella, racconta: Futurismo. La nascita dell’avanguardia. 1910-1915 (fino al 26 febbraio), curata da Fabio Benzi, Francesco Leone e da Fernando Mazzocca, è l’esposizione perfetta se volete capire qualcosa di più sul Futurismo, la più screditata e sottovalutata delle avanguardie italiane.

L’Arte del futuro

Il Futurismo fu innanzitutto “arte del futuro” e ben lo si capisce aggirandosi nelle sale di Palazzo Zabarella: complice un allestimento chiaro, scandito su due piani, di cui l’ampia sala dedicata a Balla è probabilmente il punto più interessante, vediamo gli artisti della prima generazione di futuristi (ecco i nomi: Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Antonio Sant’Elia, Giacomo Balla e Gino Severini) alle prese con una foga incredibile di sperimentare nuove tecniche e nuovi argomenti.

Umberto Boccioni, Natura morta di terraglie, posate e frutti

I primi futuristi, un manipolo di ragazzi che arde dal desiderio di “fare la rivoluzione” almeno nel mondo dell’arte, cercano fin da subito un loro tratto distintivo, ma hanno l’intelligenza di capire che qualche parte devono poggiare i piedi, per prendere la spinta per il loro salto nel vuoto.

La ricerca delle origini

Trovano allora – e il merito di questa esposizione a Padova sta nell’indagare i modelli di origine del Futurismo – spunti interessanti nel Divisionismo, nel Cubismo, nel Dadaismo, persino nel post-Impressionismo: dal primo mutuano la pennellata, dal secondo la distruzione della prospettiva, dal terzo la gioia espressiva, dal quarto la luminosità cromatica.

Partono da qui, i primi futuristi, per realizzare un’ “opera d’arte totale”, che superasse i confini troppo angusti del quadro o della scultura, per coinvolgere tutti i sensi di chi osserva.

Il percorso della mostra

In un percorso scandito in 121 opere e 10 sezioni, seguiamo i primi fondamentali passi del Futurismo, dal 1910, anno di fondazione del movimento pittorico (firmato da Marinetti) al 1915, quando la Ricostruzione futurista dell’universo si scontra con l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale e con la caduta di ogni illusione.

Famiglia a tavola di Achille Funi

Da allora il Futurismo non sarà più lo stesso, perderà quella carica rivoluzionaria, sfrontata e innovativa per diventare (talora) un’arte al servizio del potere (oggi diremmo: un’arte guerrafondaia, spesso machista, talvolta persino razzista).

A Padova si va invece all’origine delle cose, e questo di rado accade con le mostre dedicate al Futurismo. Si indagano nelle prime sale le radici simboliste del movimento con il confronto tra i lavori di Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo e quelli dei “padri fondatori” come Boccioni e Balla.

Si scoprirà poi lo “Spiritualismo” con la meraviglia di Stati d’animo di Boccioni e, di sala in sala, arriviamo fino al cuore della mostra, la stanza dedicata al “Dinamismo” dove si fronteggiano le opere più significative di Balla, Severini, Boccioni, Sironi, Carrà, Russolo, prima di passare alla sezione sulla “Simultaneità”, con opere teatrali e complesse di Depero e Prampolini che sono un preludio alla parte più spettacolare, dedicata al “Polimaterismo” dove, a testimoniare come il primo Futurismo si sbizzarrì con i materiali più vari, si possono ammirare capolavori come Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni, il meraviglioso Complesso plastico colorati di linee-forza di Balla e le divertenti Marionette dei Balli plastici di Depero.

Sintesi di un paesaggio primaverile di Ardengo Soffici

Una mostra sulle origini del Futurismo non può non fare i conti con il loro rapporto con la guerra “igiene del mondo”: in una sezione apposita, sono raccolte tutte le opere che, tra il 1910 e il 1915, dimostrano quanto per questi artisti il conflitto fosse l’unico modo per sbarazzarsi del vecchio e noioso passato per proiettarsi verso il domani.

Ricostruzione futurista dell’universo e l’importanza del pensiero non omologato

Il percorso si chiude con la “Ricostruzione futurista dell’universo” in cui moda, editoria, design, arte, oggetti di casa, persino giocattoli vengono concepiti dagli artisti – in particolare da quel gran genio di Balla – in modo tutto nuovo, “secondo i capricci dell’ispirazione“.

In un periodo di omologazione visiva, una mostra come questa invita a riflettere sull’importanza del pensiero non omologato, per generare progetti nuovi, per far nascere nuove correnti, nuovi stili. Poi, dopo il 1915, il Futurismo seguirà una parabola differente, spesso reazionaria, ma questa è un’altra storia.