Tutte le volte che la morte bussa alla porta

Basterebbe già il titolo, Astenersi principianti, e il resto pagine bianche nelle quali annotare ogni nostro incontro più o meno ravvicinato con la morte.

Perché Paolo Milone, genovese, psichiatra, spiega che il lutto fa parte dell’esperienza di ognuno e non parliamo solo di “cari estinti”: “Ogni cambiamento è una perdita, dall’infanzia, alla pubertà, all’eta adulta alla vecchiaia. Spesso attraversiamo stati depressivi che non capiamo ma che nascono dall’abbandono di parti di noi. Lo stesso con le relazioni che sono un continuo legarsi e slegarsi, distacchi e avvicinamenti. Il lutto fa parte dei rapporti con tutte le persone cui vogliamo bene anche se sono in vita. Che si intensifica nel momento in cui una persona muore, un distacco che diventa definitivo”, dice

Pubblicato qualche mese fa da Einaudi, Astenersi principianti è una di raccolta di poesie, frammenti di vita, racconti, passeggiate a perdersi nella sua città, alla quale Milone dedica l’epigrafe del libro: “Morirò dopo una vita di cammino a Genova, senza averla camminata tutta”.

Perché uno psichiatra si mette a scrivere poesie? Risponde: “Perché la psichiatria ha rinunciato a trovare una spiegazione al dolore, alla sofferenza. È diventata psicofarmacologia. E la letteratura ha cercato di riempire quel vuoto, illuminare le zone d’ombra. Anch’io ho fatto un percorso simile”.

La frustrazione di una vita trascorsa a cercare di aiutare chi soffre, per lo più senza riuscirci, esce fuori proprio nelle prime pagine del libro:

Cosa mi è rimasto del mio mestiere dopo tanti anni?
Poca roba: un po’ di confusione in fondo alla testa,
come un rimbombo lontano.
I calli sul sedere, a furia di stare seduto.
L’area del cervello deputata al «Cosa gli dico adesso?»
diventata enorme,
e tutte le altre atrofiche per il disuso.

Chi soffre di malattie mentali ha un rapporto costante con la morte, spiega Milone, il che significa che anche il suo psichiatra ce l’ha. “Ho visto pazienti morire più volte”, racconta. “La loro coscienza è stata azzerata. Hanno dovuto rinascere, ritrovarsi pezzo a pezzo”. Un vita zigzagando al confine.

Per uno schizofrenico la vita è un sogno,
ma allora Luca è vivo o è morto?
Nessuno dei due: è un non vivo, non morto.
– Questo riesco ad accettarlo, doc, – mi dice.
– Ma il problema è un altro:
è lei che sta in un sogno mio, o io in un sogno suo?

Per tutti gli altri, i cosiddetti “sani di mente”, la Morte nel libro si presenta a volte annunciata, altre a sorpresa. Dialoga con i morituri, li interroga, si commuove, capita che scenda persino a compromessi, temporeggi. Il più delle volte mostra un discreto senso dell’ironia.

Nel libro, molte riflessioni, racconti riguardano le reazioni alla perdita di qualcuno amato. L’elaborazione del lutto smette di essere regolata dalla legge delle cinque fasi, si disarticola e, soprattutto, avvicina chiunque a quel confine con l’insanità mentale che smette di essere così assoluto come certa medicina vorrebbe.

È vero che ci sono momenti di negazione, rabbia e che il percorso porta verso l’accettazione ma non esiste una regola fissa. Continua per anni ad apparecchiare per due, pensare di poter telefonare a chi non c’è più vanno considerati segni di follia? Può darsi, ma sono anche sono gesti d’amore. E l’amore, in fondo, è irriducibile”, dice.

Infine, un capitolo a parte riguarda la “pulsione di morte” che, secondo Milone, diventa concepibile solo dopo una certa età: “Sui cinquant’anni, ho iniziato a intuire. Cosa è la pulsione di morte non si può spiegare, bisogna arrivarci da soli”, scrive. Niente, comunque, di cui preoccuparsi, nel senso che non si tratterebbe affatto un’anomalia. L’importante, però, è tenere alto il livello dell’attenzione.

Se una mattina, lavandoti i denti, ti attraversa veloce
il pensiero di ammazzarti,
e ti spaventi, non ti preoccupare:
niente di più comune, basta che ti controlli un poco.
Se una sera, guidando su un cavalcavia, senti una voce:
«ucciditi, ucciditi»,
e ti spaventi, non ti preoccupare:
niente di più comune, basta che ti controlli un poco.
Se a cena, sul terrazzino dei tuoi amici,
senti inaspettato l’impulso di buttarti di sotto,
e ti spaventi, non ti preoccupare:
niente di più comune, basta che ti controlli un poco.
Se invece un giorno ti ritrovi con una corda al collo
e ti domandi: cosa ci faccio in cantina?
Se ti ritrovi in piedi sul davanzale
e ti domandi: cosa sto a fare qui?
Allora sì che ti devi preoccupare.
Vuol dire che sei distratto,
e mentre sei distratto possono accadere cose.