Una passeggiata nel giardino dei Finzi-Contini

Esiste davvero il giardino dei Finzi-Contini, quello del romanzo di Giorgio Bassani? Nel caso ve lo siate mai chiesto (e a quanto pare, ogni anno centinaia di persona in visita a Ferrara lo cercano), il film documentario Il Giardino che non c’è risponde alla domanda: semplicemente non esiste.

Presentato al Torino Film Festival (26 novembre – 4 dicembre 2021), il documentario diretto dall’artista Rä di Martino è una sorta di celebrazione anticipata dei sessant’anni dalla pubblicazione del romanzo (nel 1962) e dei cinquanta dall’Oscar (nel 1972) per il film  tratto dal libro e diretto da Vittorio De Sica. La riflessione da cui parte è la seguente: Come può diventare reale, nell’immaginario collettivo, qualcosa che è stato creato da uno scrittore?

Per provare a rispondere, alterna materiali d’archivio, spezzoni del film (che fu ripudiato dallo scrittore) e diverse interviste. Alla figlia del romanziere, Paola che dirige la Fondazione Bassani, a Portia Prebys che gestisce il Centro Studi Bassaniani, ad Andrea Pesaro, discendente della famiglia Finzi-Magrini che ispirò il nome (e non solo) dei Finzi-Contini del romanzo, a Ferigo Foscali, nipote di Teresa Foscari Foscolo, una delle donne sulle quali Bassano modellò il personaggio di Micòl e a Dominique Sanda, l’attrice che la interpretava nel film.

“IL PROTAGONISTA SONO IO”

Il Giardino che non c’è offre molti spunti a tutti coloro che hanno amato il romanzo (e magari, nonostante l’opinione di Bassani, anche il film di De Sica). Intanto, racconta che l’episodio in apertura del romanzo, la visita alla necropoli etrusca di Cerveteri che riporta alla memoria del protagonista e io narrante la tomba monumentale dei Finzi-Contini nel cimitero di Ferrara, è reale: Bassani fece per davvero una gita in quel cimitero con un gruppo di amici ed è da quell’esperienza che nacque l’ispirazione per il romanzo.

E spiega come, nonostante il giardino sia inventato, Bassani si documentò accuratamente su piante e alberi che si trovano descritti nel libro con ripetute visite nell’orto botanico. Quanto al tennis, lo stesso scrittore era un ottimo tennista che, con l’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938, venne estromesso dal circolo dove si allenava proprio come i personaggi del libro (Bassani, come si sa, viveva a Ferrara in quegli anni e proveniva da una famiglia borghese della comunità ebraica). “Il protagonista del mio libro, un ragazzo che è stato definito banale, assomiglia molto da vicino a quello che ero io, in quegli anni. Così come la città assomiglia alla vera Ferrara di quel periodo”, dice lo scrittore in une delle interviste d’archivio presenti nel documentario.

“DE SICA MI HA TRADITO”

Nel documentario, inoltre, si vede come la famiglia che ispirò quella del romanzo, i Finzi-Magrini, ebrei borghesi molto conosciuti in città, non fu esattamente felice di ritrovarsi in versione romanzata seppur all’interno di un capolavoro della letteratura (“Bassani non cambiò neppure il nome del cane”, lamenta Andrea Pesaro), soprattutto perché si consideravano “moralmente molto diversi dai Finzi-Contini del romanzo”.

Se i Finzi Magrini si sentirono traditi da Bassani, lo scrittore provò lo stesso sentimento nei confronti di De Sica tanto da far causa e ottenere che sui manifesti venisse scritto “liberamente tratto da…”. Un risentimento probabilmente accresciuto dal successo della versione cinematografica, premiata dal pubblico e dalla critica, e vincitrice di un Academy Award come miglior film straniero.

Bassani parlò di “consumismo filmico”, aggiungendo che un napoletano come De Sica “non poteva sapere nulla degli ebrei di Ferrara”. E spiegò di essere stato ingannevolmente citato come autore della sceneggiatura (“Non hanno mai tenuto conto del mio parere”).

Una questione che, se affrontata con il distacco di chi non è coinvolto (al contrario, comprensibilmente, di ogni autore, tanto più nel caso di un libro se così radicato nella storia personale, sociale e intellettuale dell’autore), potrebbe apparire inutile, considerato che ogni versione cinematografica, per funzionare, non può che tradire la carta.

Il tradimento, in questo caso specifico, riguardava almeno due aspetti: il film non rispecchia la scelta narrativa del flashback e dell’io narrante ma, soprattutto, si conclude con la deportazione. E, qui, forse, risiede la ragione principale dell’irritazione di Bassani, per il quale, l’assenza di quell’episodio aveva un ruolo fondamentale.

In fondo, il giardino dei Finzi-Contini serviva proprio a quello: a creare una bolla temporale, un eterno presente, a tenere fuori dalle mura l’Olocausto, il razzismo, la guerra, la morte (benché già avvenuta) dei protagonisti.