von Clausewitz passa in rassegna la campagna italiana di Napoleone

Carl von Clausewitz (1780-1831), generale e scrittore militare prussiano, è citato con stima nei testi di Marx e Lenin, anche se non figura tra i fondatori del comunismo. Continua a essere ricordata ai nostri giorni la sua opera principale dal titolo Vom Kriege, cioè Della guerra. Forse perché, anche in un mondo che tendenzialmente crede nella pace, molteplici azioni sono simili a battaglie o aggressioni; forse perché l’uomo è intento a legalizzare (o moralizzare) la violenza sotto altre forme, che si presentano con sembianze economiche o comunicative.

Certo, von Clausewitz fa parte di un’epoca in cui i soldati erano vestiti con giubbe color pastello e si sparavano addosso stando ben schierati, ma le osservazioni di questo militare che combatté Napoleone restano filosoficamente preziose. Non a caso, Friedrich Engels, in una lettera a Karl Marx del 1858, definì l’opera del prussiano «eccellente» per le riflessioni che conteneva sulla condotta da tenersi nei conflitti. E Lenin, scrivendo nel 1915 Il fallimento della II Internazionale, riprende una celebre osservazione del generale: «Applica alla guerra, le regola principale della dialettica» e grazie a lui «apprendiamo che ‘la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi’ (precisiamo: con la violenza)». Aggiunge un complimento al vecchio stratega: «Uno dei più grandi scrittori di storia militare». Del resto, vale la pena ricordare che le considerazioni del prussiano sono ancora da meditare, anche per noi che combattiamo guerre dopo aver loro cambiato nome. Comunque sia, von Clausewitz nota: «Gli spiriti umanitari potrebbero immaginare che esistano metodi tecnici per disarmare o abbattere l’avversario senza infliggergli troppe ferite», ma per quanto «seducente ne sia l’apparenza, occorre distruggere tale errore poiché, in questioni così pericolose come la guerra, sono appunto gli errori risultanti da bontà d’animo quelli maggiormente perniciosi».

Non è il caso di chiedersi come sia mutata nel tempo la guerra e cosa si debba intendere oggi con questa parola, ci basti ricordare che von Clausewitz è un tecnico militare e cerca di analizzare ragioni e geometrie dello scontro. Così facendo, egli lascia all’umanità una disincantata riflessione sulla violenza organizzata che ci accompagna dall’inizio della storia.

Questo discorso va messo in margine a una delle opere minori di von Clausewitz, che ora vede la luce in italiano: 1796 La campagna d’Italia di Napoleone (Leg, pp. 336, euro 24). Il prussiano dedicò alle guerre europee, combattute tra il 1789 e il 1815, scritti attraverso cui andò costituendo la sua ideologia. Tra essi, quello ora tradotto ricostruisce le operazioni di Bonaparte nella lotta che lo vide trionfare contro austriaci e piemontesi. Passando al vaglio strategia, ricostruzioni di battaglie e un attento esame delle tattiche, il libro pone in evidenza due genialità militari e offre riflessioni su manovre e risultati.

Innanzitutto è bene ricordare che l’esercito francese del 1796, comandato da Napoleone, ha mezzi scarsi e vive totalmente a spese dei territori occupati; comunque ha notevoli capacità di manovra. Non è ancora l’armata imperiale e von Clausewitz riporta il discorso di Bonaparte quando, prima di varcare i confini, passa in rassegna le truppe. Eccone dei passi: «Soldati, voi siete spogli e affamati. Il Governo vi deve molto ma non può darvi nulla. La pazienza e il coraggio che mostrate in mezzo a queste rocce sono ammirevoli, ma non vi frutteranno alcuna gloria e nessuna luce risplenderà su di voi. Io vi condurrò nelle più fertili pianure del mondo. Ricche province e grandi città saranno nelle vostre mani. Là troverete onore, gloria e ricchezze». Von Clausewitz osserva: «Bonaparte non scrisse né parlò mai meglio che in quell’occasione».

Le fonti su cui il prussiano fonda le sue osservazioni sono i dati militari ed evita le « di Napoleone («I suoi ricordi storici per quanto riguarda i numeri non hanno alcun valore»); inoltre pone sotto esame comandanti, piani operativi, azioni, battaglie, risultati ottenuti. Cerca il genio militare di Napoleone nella sua capacità di organizzare e prevedere o anche di annientare i nemici. Gli ordini di combattimento sono da lui studiati attentamente e vede nella «ponderazione del rischio», seppur con «scarso esercizio di calcolo», quello che «trascinò Bonaparte sulla via della vittoria»; lui che era desideroso di giungere per primo alle porte di Vienna, «di proiettare il proprio nome fino a sovrastare quello dei suoi rivali dettando la pace all’imperatore».  Morale della vicenda e giudizio: «Egli osò fare un’enorme scommessa perché era nel suo carattere e nel suo interesse personale».

Von Clausewitz vede in questa campagna la genialità tattica di Napoleone che vince contro un esercito dotato di molti più mezzi e con il doppio dei soldati. La sua preoccupazione è stabilire le regole che determinano la vittoria. Ricorda che gli austriaci «non avevano capito cosa significasse avere di fronte un Bonaparte». E, meditando Machiavelli e Tacito, il prussiano sa che in guerra la ragione spetta a chi vince.

Del resto, se volessimo usare le parole del trionfatore della Campagna d’Italia, possiamo chiederle in prestito a Honoré de Balzac e a quanto raccolse sotto il titolo Massime e pensieri di Napoleone (Sellerio editore): «Se gli aggressori hanno torto nell’aldilà, hanno ragione in questo mondo». Von Clausewitz applaude.