“Zitti e buoni”, il contro-manuale del rock dai Maneskin a Vonnegut

Tutto si poteva riassumere con un’unica frase di Jack Black: il rock non ha mai preso una A. Perché chi l’ha suonato e ascoltato, in garage, cantine e vecchi locali, non ha mai esibito pretese da primo della classe, per essere amato dalle masse o confortato dal benvolere di un mondo adulto.

Dalla stampa ai dirigenti d’azienda, il rock esisteva per dispiacere, mica per ascoltarlo con genitori e insegnanti. “Esisteva una maniera di fregare il potente e si chiama: rock ‘n’ roll – continuava Jack Black/Dewey Finn nel film School of Rock  ma indovinate? Oh no! Il potente ha corrotto anche quello con una cosina di nome MTV! 

Dai videoclip si è passati ai talent, finché glitter, zatteroni e assoli di chitarra sono diventati moda, o peggio categoria esente da qualsiasi tipo di critica: iconici.

A chi piacerà il libro di Setola

Per questo il nuovo libro di Salvatore Setola, Zitti e buoni. Breviario per aspiranti Måneskin. Corso accelerato per non diventare una rockstar postmoderna (Arcana, 2023), piacerà soprattutto agli appassionati, rimasti ragazzi di un tempo, e non ai nostalgici dei riff di ZZ Top e Bon Jovi: seguendo il metodo e la lezione di Luciano Bianciardi di Non leggete i libri, fateveli raccontare, con ironia e senza salire nella cattedra del dogmatismo, Setola solleva la teca di cristallo dove è stato sepolto il rock, lo scrosta dei suoi elementi sacrali, lo spoglia di iconicità per metterlo in relazione con il passato, molta storia dell’arte moderna e “narrative” che non potranno mai diventare “narrazioni”.

Alternando l’irruenza punk e mai ipocrita de La guerra degli Antò, tra Silvia Ballestra e Riccardo Milani, e il piacere di dilungarsi nei dettagli da FMR di Franco Maria Ricci, la scrittura si stacca dai compiti in classe a cui la maggior parte della critica musicale italiana si è adeguata, per ribaltare la superficialità che il mondo contemporaneo impone come buona educazione.

Setola si diverte a rovesciare la banalità – il rock nato tra feste di Piedigrotta e spettacoli futuristi, Piero Ciampi un Modigliani fuori tempo e la squadra di Panatta e Bertolucci come migliore rock band italiana –  ma come ogni appassionato esigente si impone la regola non scritta di un gioco serissimo: provocatore, sì, ma su solide basi.

Il rock come espressione anticonformista

Non è un caso che ogni capitolo meriti durante la lettura una pausa costante per cercare tracce su YouTube, libri non letti e film da rivedere, ma soprattutto che si concluda con una tabella di “materiali didattici consigliati”, da buon corso di formazione.

Ma quello che fa la differenza in Zitti e buoni ed è un ulteriore recupero della radice identitaria del rock è il suo carattere anticonformista, la necessità quasi endemica della ricerca dello scontro, non come collisione fine a sé stessa, ma mezzo per esibire l’ipocrisia della società, ridicolizzare ciò che nel mondo contemporaneo ha velleità di nuovo sacro, non abbassare la testa di fronte a quello che la maggioranza impone come norma.

Così come per il politicamente corretto, Setola non ha timore di contestare o coinvolgere nella discussione Judith Butler, Gilles Deleuze e Michel Foucault.

Le sue pagine non soffrono il bisogno di contenersi nelle digressioni e spiegazioni, al contrario mettono in risalto gli incontri sul ring di Arthur Cravan, la diserzione di Hugo Ball, i libri Pier Vittorio Tondelli.

Un libro “pericoloso” che non vuole spiegare ma “divagare”

Perché non occorre subire la pressione del collegamento immediato, universalmente riconoscibile: Setola vuole recuperare la bellezza di quello che tra contro-cultura e circoli ufficiali si sta esaurendo, il piacere di perdere tempo, complicare il discorso per costringersi a nuove connessioni, e senza il timore di veder diminuire i like. Una giostra che avrebbe divertito Lester Bangs, anche solo per litigare a tarda notte sull’origine del punk.

Anni fa, probabilmente, avrebbero pensato a una fascetta per Zitti e buoni con su scritto: “Il libro che i vostri genitori non vorrebbero che leggeste”, mischiando l’eversione di Abbie Hoffman al senso dell’umorismo di Kurt Vonnegut, e decretando la lettura come l’imprescindibile impegno dei mesi a venire.

In questi strani giorni, al contrario, occorre quasi spiegare il motivo della sua pericolosità, come addestramento al senso critico, l’affrancarsi da una visione di fallimento sociale, l’essere felici di sé stessi, come Alfredo Cerruti, senza dare importanza alle vendite, al successo e all’orecchiabilità. Perché la libertà da sempre è il pericolo maggiore.