Omicidio Alfano, buco nero italiano

In un modesto appartamento di Barcellona Pozzo di Gotto, Beppe Alfano è nascosto nel buio del suo salotto e osserva con un binocolo di là della finestra, tra gli alberi, un portone e il pezzo di strada adiacente annotando scrupolosamente tutto ciò che accade. Dopo aver cenato con la sua famiglia, ha passato in silenzio tutta la serata in quell’angolo, come tante altre volte in quel periodo, con sguardo fisso e distante, assorto nelle sue congetture. Se ne allontana bruscamente per un attimo quando sua figlia Sonia accende la luce entrando nella stanza, dimenticando per un momento anche lei che in quel silenzio e nel buio c’è suo padre che fissa di là della finestra, tra gli alberi, un portone e il pezzo di strada adiacente. Beppe Alfano la rimbrotta sottovoce, come se qualcuno potesse anche sentirlo, intimandole di spegnere la luce. Quell’attimo di distrazione dalle contingenti occupazioni, dai propri pensieri, dalle deduzioni e ossessioni, diviene consapevolezza soffocata da gorgoglii e dalle voci strozzate, i loro occhi si incrociano in un lampo di lucidità lasciando i corpi scossi dalla paura, immersi nuovamente nel buio. Poi, sperando che nessuno lo abbia visto, torna a fissare con il binocolo ciò che accade, tra gli alberi, in quel pezzo di strada addossato ad un portone, che si trova dall’altra parte della piazza.

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È il 1992, a maggio vengono uccisi dalla mafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro; in luglio a Palermo vengono ammazzati Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Barcellona Pozzo di Gotto con i suoi quarantamila abitanti è il secondo comune più popoloso della provincia. Dista quaranta km dal capoluogo Messina, meno di duecento da Palermo e poco più di cento da Catania, è circondata dai comuni di Milazzo, Merì, Santa Lucia del Mela, Terme Vigliatore e Castroreale, guarda il mar Tirreno dove all’orizzonte staglia l’isola di Vulcano. È una provincia babba, fessa in gergo mafioso, cioè priva di una criminalità organizzata locale radicata, in una situazione politica stabile governata dal democristiano Carmelo Santalco, senatore dal ’72 al ’94 ininterrottamente; un tranquillo e tipico paese dove si producono agrumi, vino e olio, che qualche mafioso come Tano Badalamenti, Bernardo Brusca o Antonino Santapaola, fratello di Nitto a capo dell’omonima famiglia catanese, al massimo lo ospita nel locale manicomio criminale. O almeno così sembra, ed è questa sua immagine pulita, la posizione geografica strategica a pochi chilometri dallo stretto, a renderla un ottimo crocevia sin dagli anni ‘70 per il contrabbando di sigarette e poi per il traffico di armi e di droga, che qui passa e viene raffinata, per le famiglie palermitane e catanesi. Diventa base appetibile per coltivare attività illecite nel decennio successivo: la speculazione edilizia del villaggio di Portorosa, i miliardi che piovono per i lavori di raddoppio della tratta ferroviaria Messina-Palermo, il completamento della stessa tratta autostradale e la realizzazione delle stazioni ferroviarie di Milazzo e Barcellona.

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Giuseppe Aldo Felice Alfano nasce il 4 novembre 1945 a Barcellona Pozzo di Gotto. Si diploma perito agrario e si iscrive all’università di Messina alla facoltà di Economia e Commercio. Cresciuto in una cultura di destra, milita in Ordine Nuovo dove, tra gli altri, incrocia persone che in futuro segneranno in qualche modo il suo destino: Pietro Rampulla – che sarà boss di Mistretta e l’artificiere della mafia che realizzerà il congegno che esploderà a Capaci – e Rosario Pio Cattafi. La morte del padre medico, però, costringe Alfano ad abbandonare l’università e a spingerlo a cercare un lavoro. Alle sue domande risponderà il provveditorato di Trento e nel 1971 con sua moglie Mimma Barbaro si trasferisce a Cavedine. Torna cinque anni più tardi dopo la nascita del secondo figlio e va a insegnare in una scuola media di Terme Vigliatore. Tornato a casa, finalmente, può mettere in pratica le sue passioni: il giornalismo e la radio. Entra a lavorare a Radio Peloro, dove si occupa di musica e sport, altro suo grande amore. Nei programmi più leggeri si firma “Giuseppe”, mentre come cronista sportivo sarà conosciuto ed apprezzato come “Aldo”, in studio realizza le prime radiocronache delle partite dando l’impressione, per la ricchezza di dettagli, di essere a bordo campo. Nel 1978 fonda con alcuni soci, tra i quali anche la moglie, Radio Canale 30. Struttura un vero e proprio palinsesto, alla musica s’alternano i programmi sportivi, si realizzano alcuni “notturni” e ci si apre al pubblico con un filo diretto telefonico, cominciano i primi programmi politici chi si limitano a piccole tribune elettorali. Con Radio Tele Mediterranea inizia l’esperienza televisiva e Alfano realizza le prime inchieste. Seguirà Tele News, il canale dell’imprenditore barcellonese Antonio Mazza, che comincerà a trasmettere a Messina dal 1987. La politica si fa inchiesta negli studi della nuova rete e l’insegnante di Terme Vigliatore inizia a fare nomi e cognomi degli uomini politici locali e li attacca. Punta sui problemi della quotidianità, capisce come colpire l’interesse del pubblico, fa audience. E quando gli invitati non si presentano, i commenti si fanno pungenti.

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Il 28 luglio 1991 a Terme Vigliatore c’è la festa della Santa Patrona, Maria Santissima delle Grazie. La cittadinanza partecipa allo spettacolo dei fuochi d’artificio che illuminano il paese. Sulla spiaggia di Acquitta, vicino al chiosco delle angurie, giacciono i corpi senza vita di due ragazzi, Maurizio Cambria, di 21 anni e Lorenzo Chiofalo, figlio di Pino, di 18. Nessuno ha potuto sentire, né accorgersi dei venti colpi calibro 7,65 che li hanno uccisi. Sul posto si trova Beppe Alfano, forse anche lui con la famiglia per la festa della Santa Patrona. Chiama subito a Catania il suo amico Gino Mauro, caporedattore de La Sicilia per comunicare la notizia e invitarlo a mandare un giornalista. Se ne dovrà occupare lui e Alfano non si lascia scappare l’occasione, raccoglie le informazioni che occorrono e detta il pezzo sul duplice omicidio. «L’omicidio si inquadra nella terribile lotta per il controllo delle attività illecite nell’hinterland barcellonese», Alfano parla di un paese investito dall’ondata di criminalità, con 30 morti solo della provincia di Messina, 8 tra Barcellona e Milazzo: «appare evidente a questo punto una vendetta trasversale da parte dei clan rivali». Il giorno dopo è “inviato” del giornale ai funerali del giovane Chiofalo, del quale è stato anche insegnante. Il paese è blindato, nessuno può avvicinare il padre Pino, in permesso speciale per assistere alla cerimonia. L’articolo non lo firma lui, è pur sempre un abusivo. La sua firma appare la prima volta qualche giorno più tardi, venerdì 2 agosto sotto l’articolo che si riferisce ad un altro agguato, l’omicidio dei fratelli Saporita, nel quale viene uccisa anche l’anziana madre, in cui attacca deciso: «È mattanza, una mattanza che adesso per la prima volta nella provincia di Messina non risparmia neanche le donne». Aveva dimenticato Graziella Campagna, la diciassettenne uccisa a Villafranca Tirrena nel 1985 per aver visto troppo. Il giorno dopo, 3 agosto, si occupa per la prima volta delle truffe agricole per avere le sovvenzioni dell’Unione Europea, frode che coinvolge anche l’Aima, l’azienda di Stato e che diventerà uno dei business più redditizi della criminalità.

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Fédération Internazionale des Etudiants Corda Fratres Consulat de Barcellona (Sicilia) è il nome dell’officina che ha forgiato i rampolli della borghesia locale. L’ultima sopravvissuta delle Corde goliardiche che animavano gli atenei italiani del dopoguerra, filiale di quella rifondata nel 1944 nell’Università degli Studi di Messina all’ombra del rettore-ministro, in odore di Massoneria, Gaetano Martino. Al tempo, tra gli studenti cordafratrini spiccavano le figure del figlio d’arte Antonio Martino, futuro ministro agli esteri e alla difesa dei governi Berlusconi; Enrico Vinci, poi segretario generale della Comunità europea; Francesco Paolo Fulci, prima ambasciatore a Washington e successivamente direttore del Cesis (il Comitato esecutivo a capo dei servizi segreti); Nicolò Amato, direttore generale degli istituti di pena. A Barcellona Pozzo di Gotto, il fior fiore dell’intellighenzia bordeggia: il letterato Nello Cassata (padre del giudice), lo scienziato Nino Pino Balotta, i magistrati Carlo Franchina e Gino Recupero, il poeta Bartolo Cattafi, il prefetto Ettore Materia. Quando alla fine degli anni ’60 i principi della Corda verranno messi all’angolo dai movimenti studenteschi ed operai, sarà proprio Antonio Franco Cassata, futuro Procuratore Generale di Messina, a mantenere in vita il circolo di Barcellona. Con soci e dirigenti in buona parte giudici ed avvocati, anche se non mancano uomini politici come Domenico Nania, annovera tra i soci onorari i magistrati Melchiorre Briguglio e Carmelo Geraci, due uomini di vertice dei Carabinieri, i generali Sergio Siracusa (già direttore del SISMI, il servizio segreto militare, ed ex comandante dell’Arma) e Giuseppe Siracusano (tessera n. 1607 della P2), indicato come «un fedelissimo di Gelli da antica data». Non pochi i frammassoni dell’associazione barcellonese. Su 36 fratelli risultati iscritti nel 1994 alla loggia Fratelli Bandiera del Grande Oriente d’Italia, ben 14 sono risultati soci Corda Fratres; altri due, avvocati, nella loggia La Ragione di Messina. Compresenze che hanno spinto la Guardia di Finanza a definire il circolo come paramassonico.

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C’è anche qualche altra presenza imbarazzante tra i cordafratrini di Barcellona Pozzo di Gotto, un nome come quello di Giuseppe Gullotti ad esempio, detto l’avvocaticchiu, che del circolo culturale, nel 1989, fu per breve tempo membro del direttivo. «Venne ordinato uomo d’onore nel 1991, per intercessione del vecchio boss di San Mauro Castelverde, Giuseppe Farinella», ha raccontato Giovanni Brusca, «il Gullotti si sarebbe dovuto occupare di reperire l’esplosivo necessario per l’attentato che venne progettato tra il ’92 e il ’93 contro il leader del Partito socialista Claudio Martelli, attraverso l’interessamento e la mediazione del clan di Nitto Santapaola». Deponendo al processo Mare Nostrum Brusca ha dichiarato che il telecomando da lui adoperato per la realizzazione della strage di Capaci, gli era stato materialmente consegnato poco prima da Gullotti. L’assegnazione al barcellonese di tale incarico, secondo Brusca, sarebbe stata patrocinata da Pietro Rampulla, l’ex ordinovista artificiere di Capaci. Giuseppe Gullotti è il genero di Ciccio Rugolo, boss di Barcellona, di cui prende il posto. Ma c’è forse un nome ancora più indigesto tra i cordafratrini, quello dell’avvocato Rosario Pio Cattafi, la cui carriera criminale, dopo gli esordi ordinovisti prosegue a Milano coinvolto nell’inchiesta dell’autoparco di via Salomone, e continua per 40 anni. Fatto uomo d’onore da Nitto Santapaola sarebbe, secondo alcuni collaboratori di giustizia, la persona di collegamento fra Cosa Nostra, la politica, la massoneria segreta e gli ambienti dei servizi segreti, secondo altri, il boss dei boss di Barcellona Pozzo di Gotto.

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Quelli che sono articoli di denuncia o di ricostruzione dello scenario mafioso, diventano vere e proprie inchieste che Beppe Alfano firma per La Sicilia. Traffico di armi, di uranio impoverito, le Usl, infine l’Aias di Milazzo, associazione nazionale assistenza spastici, un ente a carattere nazionale che in Sicilia a sette sezioni. Non pagano i dipendenti, ma assumono parenti e amici dei dirigenti, acquistano numerose proprietà immobiliari. Viene minacciato, tentano di corromperlo, lui continua. Dove non è arrivato ancora con le informazioni, annusa con il suo intuito. Torna a occuparsi di Aima e dei contributi della comunità europea per la distruzione delle eccedenze produttive nella raccolta degli agrumi. C’è qualcosa che non gli torna: i camion tornano indietro con le arance intatte. C’è di più, è sicuro che il latitante Nitto Santapaola si rifugi lì, a Barcellona Pozzo di Gotto. Non potrà saperlo, ma aveva ragione, come spesso succedeva. Nitto Santapaola era stato latitante a Terme Vigliatore e a Barcellona, passato in via Trento, a pochi metri da casa sua, forse dietro quel portone che fissava con il binocolo.

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È la sera del 9 gennaio del 1992, Beppe Alfano scende da casa per andare alla stazione a prendere sua moglie Mimma. È infermiera a Patti, fino a dicembre la accompagnava una sua collega che, anche se ha gli stessi turni, le dice che non può più. Si avvia prima in cerca di una farmacia per trovare un analgesico perché ha mal di denti, o almeno così dice ai figli. Alla stazione il treno è in ritardo e Alfano aspetta finché, arrivato, vede scendere sua moglie dagli ultimi vagoni. Ritornano a casa, Alfano parcheggia la sua Renault 9 colore amaranto e si avvia al portone quando vede qualcosa. Si allontana di qualche metro, torna indietro e dice a sua moglie di salire e chiudersi dentro, risale in macchina, infila un senso unico, e gira in via Marconi. La sua auto sarà ritrovata pochi minuti dopo, un centinaio di metri più avanti, con il motore ancora acceso. Il finestrino del lato passeggero è completamente abbassato nonostante il freddo. Beppe Alfano, che ha ancora il piede sull’acceleratore, è stato ucciso da tre colpi calibro 22. Qualche istante più tardi, un numero estremamente nutrito di agenti di polizia e di agenti in borghese sarà a casa di Alfano. Porterà via tutti i suoi appunti e il computer.

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Nel 1999 Giuseppe Gullotti è stato condannato definitivamente a 30 anni come mandante esecutivo dell’omicidio di Beppe Alfano. È sotto indagato anche per aver corrotto il magistrato Olindo Canali per ottenere la revisione del processo. Lo stesso magistrato cui Beppe Alfano confidava le sue indagini. Per molti anni è stato ritenuto esecutore materiale Nino Merlino, ma nuovi processi e nuove dichiarazioni dei collaboratori di giustizia indicano altri responsabili. Ad oggi non si conoscono le ragioni, i mandanti e il contesto in cui operò la decisione di uccidere Beppe Alfano. Le indagini, dopo 28 anni, sono ancora aperte.