I luoghi da romanzo di Maurizio De Giovanni

Da ragazzino ci andavo in giornata con gli amici: era l’esotico a portata di traghetto”. Così lo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni descrive Procida, l’isola scelta quest’anno come Capitale della cultura con 44 eventi tra musica e arte, teatro e letteratura (www.procida2022.com).

Un’immagine dell’isola di Procida, Capitale della Cultura 2022

E coincidenza vuole che i primi capitoli del suo ultimo romanzo, L’equazione del cuore (edito da Mondadori), siano ambientati proprio lì.

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Il protagonista è un tipo solitario e ruvido, nonché vedovo, che ha preso casa sul promontorio di Solchiaro per stare lontano dal vocìo dei turisti. Un uomo di poche chiacchiere, che vive di pesca e ricordi finché un evento tragico lo costringerà a partire per la città del nord dove vive sua figlia.

Perché ambientare L’equazione del cuore a Procida?

Volevo rendere il senso di isolamento del mio personaggio. Lo immaginavo in un posto bello, e con un bel silenzio. La solitudine per Massimo è una scelta, come per tutti quelli che, dopo la fine di un amore o dopo una perdita, vogliono evitare sofferenze. E Solchiaro, un promontorio con poche abitazioni, è quasi un’isola nell’isola. Una culla, per lui.

Il romanzo è dedicato a sua madre. È a lei che deve la passione per la scrittura?

Sicuramente è lei che mi ha insegnato a raccontare: le donne crescono e nutrono i figli anche con le storie e lei lo faceva pure in classe, come insegnante elementare. Quando riportava aneddoti della famiglia li recitava e faceva le voci, si commuoveva parlando. Era minuta, mentre io sono grande e grosso, quasi un metro e 90. Era meraviglioso starla a sentire ed era molto orgogliosa di me quando ho esordito a 50 anni passati: la mia è stata una carriera tardiva ma veloce e molto gratificante, e lei non si perdeva niente dei miei successi pubblici, si pavoneggiava, ahimè, tantissimo e se ne sentiva anche artefice. Aveva perfino dei profili su Instagram e Facebook, dai quali rispondeva a chi mi criticava senza svelare la sua identità. È morta nel 2020, avevo un legame fortissimo con lei.

Sotto la dedica c’è l’equazione matematica del titolo: (d+m)ψ = 0.

È di Paul Dirac, inglese che negli anni ’30 ottenne il Nobel per la fisica. Secondo il matematico, due sistemi che sono stati uniti, anche se separati, continuano a influenzarsi l’un l’altro per sempre: mi è sembrata una metafora dell’amore, della lontananza e del distacco.

Tornando a Procida, anche lei ama gli angoli più tranquilli e appartati?

Da ragazzo ci andavo soprattutto perché era la più vicina a Napoli e costava poco, con il traghetto e un panino passavi una giornata altrove mentre Ischia o Capri, apparecchiate per la villeggiatura, era più care e turistiche. Procida non si metteva in ghingheri e l’autenticità è ancora oggi la sua bellezza. E Solchiaro mi piaceva perché meno battuta. Del resto Procida ha un fascino letterario, ha ispirato molti scrittori a cominciare da Elsa Morante con L’isola di Arturo. C’è una deliziosa libreria, Nutrimenti (in via Roma, ndr), che ne coltiva il fascino organizzando eventi e resistendo, aperta, anche d’inverno (Come Procida Racconta, quest’anno l’8 giugno, ideato da Chiara Gamberale, in cui sei scrittori scrivono un racconto su altrettanti abitanti dell’isola, ndr).

È stata scenario anche di alcuni film, da Il postino di Michael Redford con Massimo Troisi a Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella con Matt Damon.

Il postino restituisce ancora oggi l’atmosfera e la luce di Marina della Corricella, il borgo di pescatori che si raggiunge scendendo dal centro storico medievale: già respirare quell’insieme di colori pastello è una gioia.

Ambienterebbe mai le sue storie in posti diversi da quelli dove ha vissuto lei stesso e che conosce bene?

Preferisco raccontare le atmosfere che conosco perché il realismo è necessario a coinvolgere chi legge, permette ai lettori di identificarsi. Napoli poi offre moltissimi punti di vista, è stata raccontata in modo diverso negli anni sia con la scrittura, da Eduardo De Filippo a Patrizia Rinaldi, sia nella fiction da Gomorra a L’amica geniale. Io stesso come scrittore mi sento in dovere di creare mondi diversi tra loro. E di divertirmi per poter divertire i lettori: se io mi appassiono 10, per dire, ho la speranza di entusiasmare 6 o 7 chi mi legge.

Nei suoi romanzi l’ambientazione partenopea si riconosce dal modo di parlare dei personaggi oltre che dalle descrizioni: come immagina rispetto agli ambienti in cui si muovono?

In 34 romanzi non ho mai nominato Napoli eppure la si riconosce perché è una città fortemente identitaria. Per ambientare le indagini de I Bastardi di Pizzofalcone ho scelto il quartiere che fu il primo nucleo abitativo, in cui oggi convivono realtà diverse: i Quartieri Spagnoli e Santa Lucia, che sono aree popolari; la Chiaia della borghesia commerciale; Piazza dei Martiri, che ostenta la ricchezza del mondo finanziario; poi il lungomare dell’aristocrazia nobiliare, insomma c’è uno spaccato dell’intera città, nel raggio d’azione dei Bastardi. Il commissario Ricciardi ambientato negli anni ’30 è più evocativo, come un album di fotografie color seppia, è ricordo e memoria storica: Ricciardi lo vedo muoversi intorno al Museo Archeologico che è un’area inalterata rispetto a quegli anni. Mina Settembre invece è colore: è la mia commedia, si muove nei Quartieri Spagnoli pieni di vita.

Tempo fa ha dichiarato che Napoli è il cuore culturale del nostro paese. La pensa ancora così?

È sempre stata effervescente e mai marginale, da inizio Novecento con Matilde Serao, Eduardo Scarpetta, i De Filippo, a oggi con i registi Mario Martone e Paolo Sorrentino. Purtroppo manca, però, un’industria culturale: abbiamo scrittori di successo eppure non c’è una casa editrice, abbiamo grandi musicisti ma neppure una casa discografica, abbiamo il Teatro San Carlo che è un’entità che ha attraversato i secoli. C’è vitalità culturale, eppure anche il 38 per cento della dispersione scolastica nel silenzio delle istituzioni. La bellezza va coltivata e merita un cambiamento.